domenica 8 giugno 2014

Blake di Chesterton recensito da Il Manifesto


Il Blake di Chesterton, un cockney dalla linea secca

Chesterton. Erudita biografia, quasi psico-fisica, di Blake, genio fanatico dei nitidi contorni, che aveva una visione lussureggiante della vita


Il dipinto di Blake citato nel libro di Chesterton
Il più amato dei cat­to­lici inglesi è G.K. Che­ster­ton, anche il più vivace e gio­ioso (Cec­chi) – il meno amato è Hop­kins, il più grande poeta vit­to­riano, ancora oggi rim­pro­ve­rato per la sua dram­ma­tica vesti­zione da gesuita. Un con­fronto tra GKC e Sha­ke­speare su Wiki­pe­dia dà la misura della loro fama. La voce su Sha­ke­speare di poco è più lunga, ma per ovvie ragioni. Comun­que Che­ster­ton lo aveva pre­vi­sto: «Sha­ke­speare è così grande che nasconde l'Inghilterra» aveva detto un secolo fa. I suoi scritti occa­sio­nali sul tea­tro sha­ke­spea­riano sono stati rac­colti e pre­fati da Dale Alquist, The Soul of Wit. G.K. Che­ster­ton on Wil­liam Sha­ke­speare, una rac­colta di dise­guale inte­resse per­ché troppo allar­gata, ma in cui bril­lano tre o quat­tro saggi memorabili.
Adesso di Che­ster­ton esce per la prima volta in Ita­lia, nella accu­rata tra­du­zione di Luana Sal­va­rani, Wil­liam Blake, a cura di Ales­san­dro Zac­curi, che pre­mette un'introduzione («G.K. Che­ster­ton, Pic­tor Igno­tus»), e con cin­que belle illu­stra­zioni, tra cui quella più rara e per­tur­bante Il fan­ta­sma di una pulce (Medusa, pp. 109, euro 14,00). È un capo­la­voro di disin­volta eru­di­zione, pub­bli­cato nel 1910, quando anche tra i pro­fes­sori uni­ver­si­tari l'arte della sag­gi­stica era alta. Bio­gra­fia psico-fisica d'un genio per metà pazzo, per metà di straor­di­na­ria lun­gi­mi­ranza, un'analisi inso­li­ta­mente illu­mi­nante del secolo più can­giante, il Set­te­cento, il secolo in cui visse l'impossibile Wil­liam Blake. Ma anche una lunga sofi­sti­cata con­ver­sa­zione d'arte, antro­po­lo­gia, psi­co­lo­gia, poe­sia, reli­gione che in toni inso­liti avanza ardite ipo­tesi, ori­gi­nali sug­ge­stioni, senza la volontà di imporsi sul giu­di­zio comune – che è costan­te­mente sfi­dato. Con afo­ri­smi, para­dossi, improv­visi rove­scia­menti o spa­lan­ca­menti della pro­spet­tiva. Si resta affa­sci­nati da quel metodo che in appa­renza non è un metodo. Se non avete mai amato Blake, «fiero repub­bli­cano e accu­sa­tore di re», e le sue abnormi figure, le donne aggres­sive e mostruo­sa­mente fem­mi­nili, e i suoi eroi con­ven­zio­nali, «ma con eroi­smo non con­ven­zio­nale», adesso ne sarete entu­sia­sti. I suoi ani­mali sono asso­luti, «come su uno stemma aral­dico». Così anche per la sua poe­sia più per­fetta «Tiger! Tiger! bur­ning bright / In the forest of the night» (Tigre! Tigre! Che bru­ciando brilli nella fore­sta della notte), per cui si dimen­tica il Bam­bin Gesù di Sou­th­well, «A pretty babe all bur­ning bright / Did in the air appear» (Un bel bam­bino che bru­ciando brilla, apparve in aria). Il mas­sone Blake sosti­tui­sce al Bam­bin Gesù del poeta secen­te­sco la sua tigre dalla sim­me­tria per­fetta, paurosa.
T.S. Eliot scrisse di lui, nel 1920: «Era nudo, e vedeva l'uomo nudo, dal cen­tro del suo pro­prio cri­stallo… Si avvi­ci­nava alle cose con una mente sgom­bra dalle idee cor­renti. Non c'era in lui niente della per­sona supe­riore. Que­sto lo ren­deva ter­ri­fi­cante». Che­ster­ton aveva indi­vi­duato la radice di quel rea­li­smo spe­ciale – che era anche quello di Hop­kins – nella filo­so­fia medie­vale, nella quid­di­tas delle cose che le fonda come uni­che, affer­ra­bili, eppur divine. «Nel XII secolo un rea­li­sta era un uomo che ini­ziava dall'interno di una cosa». Del motore si sarebbe inte­res­sato alla sua «moto­rità» ultima, di una scim­mia della sua «scim­mità». «Con­tro la Natura, Blake – il poeta dell'Anti-Natura – poneva una deter­mi­nata entità che chia­mava Imma­gi­na­zione… e con Imma­gi­na­zione inten­deva imma­gini eterne: le imma­gini eterne delle cose». Non era la mucca nera o viola degli impres­sio­ni­sti che lui con­tem­plava, ma la «muc­chità», l'idea bianca della mucca, più reale della mucca che pascola nel prato. «Per­ché il più alto dogma dello spi­ri­tuale è affer­mare il mate­riale». Non avrebbe mai amato gli impres­sio­ni­sti, l'atmosfera rare­fatta che nasconde la forma, né la nebu­lo­sità del colo­ri­sta, essendo, come Flax­man, un fana­tico della linea netta, dei con­torni nitidi e fermi. In pit­tura e in poe­sia atteg­giava le figure, muo­veva il rac­conto secondo un dise­gno alle­go­rico, uno stile fon­dato «sul gusto per la linea secca e per il trat­ta­mento aspro ed eroico». Anche se molti dei suoi dise­gni sono oltrag­giosi, nes­suno è sem­pli­ce­mente sug­ge­stivo o peg­gio informe. «La figura dell'uomo può evo­care un mostro, ma è un mostro concreto».
Così la sua parola è gesto, schiaffo. Aveva opi­nioni su tutti i temi, ed erano opi­nioni vio­lente, aggres­sive e la maniera in cui le espri­meva era più fem­mi­nile che maschile. Blake era in effetti un coc­k­ney, come Keats – l'idea è di Che­ster­ton –, e i coc­k­ney in gene­rale avreb­bero una «visione della vita troppo poe­ti­ca­mente lus­su­reg­giante e imma­gi­na­tiva… Era vane­sio al mas­simo grado; ma era l'allegra ed esplo­siva vanità di un bam­bino, non l'orgoglio coatto di un maniaco».
Ci sono idee anti-umane in Blake, che Che­ster­ton chiama sem­pli­ce­mente manie: il caso della sua tanto pub­bli­ciz­zata nudità e il caso della cro­ci­fis­sione, che lui negò fosse una buona idea per un figlio di Dio. Erano occa­sioni in cui un poeta cessa d'essere poeta – argo­menta Che­ster­ton –, a cui si offre uno spa­zio per infi­lare giu­dizi rapidi e affi­lati sul Puri­ta­ne­simo, sulla neces­sità della bel­lis­sima litur­gia cat­to­lica, sulla dif­fe­renza tra i misteri pagani e quelli cri­stiani, ari­sto­cra­tici i primi, e così demo­cra­tici quelli cri­stiani «che nes­suno li capi­sce mai del tutto»; sulle forme della paz­zia, «Ci sono pazzi come Blake, che impaz­zi­scono in salute, e pazzi che impaz­zi­scono in malat­tia»; nel nostro mondo moderno è dif­fi­cile capire la mappa o il dise­gno gene­rale della bat­ta­glia che stiamo affron­tando, «La bat­ta­glia fon­da­men­tale in cui, a dispetto di tutto que­sto acca­lo­rarsi e frain­ten­dersi a capo­fitto, Wil­liam Blake è dalla parte giu­sta, richie­de­rebbe un libro sulla bat­ta­glia e non su Wil­liam Blake».
E ancora sulla dif­fe­renza tra il misti­ci­smo del cri­stia­ne­simo e quello dell'orientalismo, l'agnosticismo con­fu­ciano, il patriot­ti­smo giap­po­nese, il mistero della dis­so­lu­zione come è enfa­tiz­zato in Oriente e «il mistero della con­cen­tra­zione e dell'identità mani­fe­sto nelle chiese sto­ri­che della cri­stia­nità…. Il cri­stia­ne­simo è 'per­so­nale' nel senso in cui uno scherzo vol­gare è 'per­so­nale': cor­po­reo, vivido, forse spia­ce­vole». L'onestà e l'acutezza, il wit, di Che­ster­ton pos­sono essere ter­ri­fi­canti. Ma vedia­molo al lavoro su un testo da lui scelto, il dise­gno di una figura gigan­te­sca e nuda in un tetro cor­ri­doio, appena illu­mi­nato da una luce ros­sa­stra. È Il fan­ta­sma di una pulce – la pulce era già stata innal­zata a dignità sacra­men­tale da John Donne in una poe­sia epo­nima, poi­ché in essa è mesco­lato il san­gue dei due amanti. Il suo metodo è sem­plice ma cal­zante con l'oggetto-pulce. Prima il titolo e il sog­getto, poi l'aspetto e la forma, poi i prin­cipi basi­lari e le impli­ca­zioni. «La visione di una pulce è una visione di san­gue; ed è ciò che ne ha fatto Blake… Ogni grande mistico se ne va in giro con una lente d'ingrandimento».

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