UNA GIOIA ANTICA E NUOVA di G.K. Chesterton
Casa Editrice Marietti Genova-Milano 2011
(Appreciations and Criticism of the Works of Charles Dickens – 1911)
Una grande meraviglia colpisce il giovane che avendo iniziato a leggere tutto Shakespeare, dopo aver letto l’Otello, il Giulio Cesare ecc. si imbatte nel Sogno di una Notte di Mezza Estate o nella Tempesta e trova che lo stesso scrittore, che aveva trattato di omicidi e di altre nefandezze, è in grado di descrivere con leggerezza folletti e fate ben diverse dalle fatidiche sorelle del Macbeth.
Una sorpresa non minore colpisce l’appassionato lettore di GKC che, saturato da densissimi testi come Ortodossia, Uomo Eterno ecc., trova finalmente tradotta questa serie di critiche letterarie e vi respira un’aria completamente diversa.
Nelle opere polemiche il nostro affronta problemi su problemi con un apparente disordine dominato dall’urgenza di scuotere il lettore con un rosario di paradossi, resi ancora più estranianti dal fatto che non sempre si riesce a capire chi sia il bersaglio della polemica.
In questa serie di critiche, originariamente poste come introduzione alle opere di Charles Dickens e poi riunite in un volume nel 1911, invece, lo stile è radicalmente diverso: la trattazione è distesa e lineare ed i paradossi rari. Il paradosso e l’evocazione lasciano il posto alle definizioni ed alla narrazione particolareggiata, la contrapposizione audace alla meditata elencazione ed alla comparazione puntuale. Il registro rilassato si trova d’altronde anche negli altri scritti di critica letteraria rimarcando con questo una scelta consapevole e voluta determinata dal genere. Si vedano anche ad esempio L’Età Vittoriana nella Letteratura ed il George Bernard Shaw.
La critica letteraria infatti, ci dice lo stesso Chesterton, non ha lo scopo di sorprendere il lettore ma di far balzare sulla sedia l’autore e questo è forse il più paradossale dei paradossi dato che sembra piuttosto difficile che Chesterton facesse fare i balzi sulla sedia ad un autore che era già morto prima che lui nascesse. Il desiderio di far sobbalzare l’autore non trovava comunque origine nell’aspirazione superomistica di porsi come colui che separa i bravi scrittori da quelli scarsi ma dalla tensione di immedesimarsi nell’autore per farne emergere le buone qualità.
Era sicuramente in relazione a Dickens, in effetti, che Chesterton doveva trovare più spontaneamente la condivisione di impulsi e di valori. Del romanziere infatti diceva che sapeva trattare gli uomini con originalità e le idee con superficialità; tratti questi che troviamo anche nel nostro, a patto di definire meglio ciò che intendiamo dire parlando di superficialità riguardo le idee. La superficialità sappiamo bene non è indifferenza, è invece l’approccio con il quale Chesterton coglie di un’idea o di un movimento di pensiero solo gli aspetti che lo interessano.
Prendiamo un esempio dalle critiche a Charles Dickens, più precisamente al Nicholas Nickelby, del quale loda il romanticismo causando una reazione di ripulsa in chi (come chi vi scrive) del romanticismo conosce e con poca simpatia le opere liriche come La Traviata o racconti come quelli del giovane Verga. Fortunatamente Chesterton si esprime descrivendo come intende il romanticismo; in questo modo fa sì che il lettore comprenda come la sua idea di romanticismo sia più vicina allo spirito cavalleresco che non alla letteratura di fine Ottocento. Chesterton, infatti, non si è preoccupato di mettere a tema tutti gli aspetti di quella corrente letteraria, ma ne ha enucleato alcuni. Dice infatti: “amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore ma lussuria”. Del romanticismo non considera ad esempio né l’interesse verso la morte né il pessimismo verso la famiglia ma soltanto quel legame tra “guerra e corteggiamento”.
Questo comportamento fa attribuire senz’altro a Chesterton la qualifica di superficiale, ma gli consente di approvare quei valori che i seguaci del romanticismo (e questi sono uomini) professano in accordo con lui, e quindi di amarli per “aspetti originali e con creatività” nella condivisione di valori riconducibili all’essere e non disvalori riconducibili al non essere.
Pochi anni dopo aver steso queste critiche (nel 1913) Chesterton compilò una ampia rassegna della letteratura inglese dell’età vittoriana, alla quale abbiamo accennato più sopra, ove diede resoconto del fatto che Dickens “godeva” di tutti gli uomini che trattava nei suoi libri. Ed anche i lettori partecipano di questo godimento nato dall’amore verso gli uomini.
I punti di curiosità e di ripresa delle polemiche non sono comunque rari in questa raccolta di recensioni, vi troviamo infatti riferimenti allo stato servile, al filantropismo, al calvinismo, all’evoluzionismo e ad altre strutture di pensiero e pratiche che minano la grandezza dell’uomo. Ne L’Età Vittoriana nella Letteratura ricorderà anche come Dickens simpatizzasse “veramente con ogni sorta di vittima di ogni sorta di tiranni” e questo “contrariamente ai riformatori sociali”.
Questa raccolta non è infatti un’opera polemica, ma una dichiarazione di amore di Chesterton verso Dickens, un amore che non è cieco, anzi aiuta a discernere meglio i suoi difetti e le sue carenze letterarie. A questo proposito torna alla mente quanto diceva in Ortodossia a proposito dell’amore verso la Patria, che non deve farcene dimenticare le colpe. A partire dal Nicholas Nickelby dice infatti che i libri successivi saranno romanzi ed anche di pessima qualità; in altre occasioni parlerà di creatività scadente.
In ciascun capitolo del libro Chesterton esamina una diversa opera: dal Circolo Pickwick al Davide Copperfield all’Oliver Twist ed alle altre opere; lasciamo al lettore appassionato di godere della precisione e dell’attenzione con cui le esamina e le critica.
Ci soffermiamo invece sull’analisi che Chesterton compie dell’ultima opera rimasta incompleta di Dickens che è particolarmente interessante in quanto ci illumina sul suo approccio verso il romanzo poliziesco.
Il Mistero di Edwin Drood doveva essere un giallo rimasto però irrisolto a causa della morte dell’autore e perciò non possiamo sapere chi sia l’assassino. Chesterton riporta le teorie di diversi critici letterari che avevano cercato di dipanare la vicenda presentando ipotesi talvolta semplici, talaltra fantasiose sulla parte del romanzo che non era stato scritto. Il nostro, appassionato lettore di quel genere di letteratura ancor prima che autore egli stesso, esamina e critica quelle ipotesi ed esprime delle argomentazioni favorevoli o contrarie che sono una valida fonte di informazioni su come intendesse quel genere.
Edwin Drood è un giovane architetto scomparso dopo aver passato una serata in compagnia di uno zio (Jasper) che lo ama e di un signore (Landless) con il quale si è rappacificato dopo un periodo di aspra ostilità. Chesterton trova interessanti, e descrive nei particolari, gli accorgimenti stilistici con i quali Dickens fa credere che il colpevole della sparizione sia lo zio. In effetti questi esprime il rimorso per aver causato la morte del nipote. Sembrerebbe tutto sistemato, ma Dickens negli ultimi capitoli fa comparire un personaggio divertente e spigliato (Datchery) che, camuffato sotto una parrucca, è impegnato a trovare le prove dell’omicidio compiuto da Jasper. A quel punto la narrazione si interrompe a causa della morte di Dickens.
Ovviamente la cosa non è finita qui, infatti diversi critici hanno cercato, se non di completare il romanzo, almeno di scovare il colpevole e di svelare la vera identità di Datchery. Alcuni critici hanno ipotizzato che Jasper, essendo dedito all’oppio avrebbe drogato il nipote e sotto l’influsso della droga avrebbe compiuto un tentativo non riuscito di strangolarlo. Entrambi poi, al momento di tornare allo stato di coscienza, prima il nipote e poi lo zio, non avrebbero ricordato con precisione l’accaduto. Drood per sincerarsi sul comportamento dello zio avrebbe assunto l’identità di Datchery per poter compiere le indagini più liberamente.
Chesterton nega che questa possa essere la soluzione progettata da Dickens, fa notare dapprima come sia bizzarro che ad investigare su un omicidio sia proprio la vittima (è immediato per noi ricordare il Delitto a Villa Roung di Achille Campanile). Esamina poi il carattere comico e vivace di Datchery, che trova incongruente con il carattere dubbioso e cupo che ci si aspetterebbe in un Drood redivivo alla ricerca di chi aveva tentato di ucciderlo.
Con argomentazione analoga Chesterton rigetta l’altra ipotesi, secondo la quale Datchery sarebbe il riuscito travestimento della sorella di Landless che era apparsa all’inizio del romanzo come una “principessa barbara” “scontrosa e misteriosa”. Per poter diventare Datchery sarebbe dovuta essere fin dall’inizio più gradevole e simpatica, altrimenti (ed è il caso) la trasformazione risulterebbe non credibile.
In conclusione Chesterton ci avverte sulla differenza essenziale che caratterizza i romanzi polizieschi rispetto agli altri generi di romanzi. Il romanziere classico ha lo scopo di tenere concentrati i lettori, al contrario lo scrittore di romanzi gialli cerca di distrarli. Le ipotesi fatte, quindi, siano pure le più plausibili ma, proprio per questo motivo, sono destinate a risultare false in quanto effetto dei depistaggi che l’abile Dickens ha seminato nella trama.
Recensire una recensione senza giudicare il recensito ma soltanto il recensore? Forse saremo riusciti nel compito se avremo sollecitato a leggere le recensioni nelle quali gli amanti di Dickens potranno trovare giudizi e posizioni con i quali confrontarsi; gli amanti di Chesterton potranno goderne uno stile di scrittura particolare ed accurato nelle argomentazioni.
Per quanto riguarda questa recensione delle recensioni mi è doveroso fare due conti. Per recensire le circa diecimila pagine delle opere di Dickens (stima nasometrica) Chesterton ha impiegato 200 pagine con un rapporto di circa 50 a 1. Per recensire le 200 pagine di Chesteron qui ne sono impiegate 4, di nuovo con un rapporto di 50 a 1. Chi volesse iterare l’operazione, scrivendo la recensione della recensione delle recensioni, non avrebbe a disposizione che 2 o 3 righe per stendere i suoi commenti benevoli o malevoli che siano.
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