La lezione di Charles Dickens sul controllo delle nascite (da Libero)
Edoardo Rialti
Pubblicato il giorno: 24/12/09
Attualità di “Christmas Carol”
Tornato al cinema per vedere l’ultimo adattamento di Canto di Natale di Charles Dickens, non si può non ammirare con gratitudine il genio dello scrittore nell’averci donato una storia così profonda e commovente, un autentico mito moderno, capace di parlare al cuore di ogni uomo. Vi si racconta infatti come anni di solitudine ed egoismo possano essere spazzati via dalla misericordia umana e divina, e come un cuore congelato nella morsa dell’avidità, della diffidenza, e, in fondo, della paura possa sempre aprirsi al pentimento e all’amore; vi si racconta come si possa sempre tornare ad essere se stessi, quella vera identità unica ed irripetibile custodita dalle nostre memorie più pure, e che le menzogne e le scelte sbagliate possono eclissare e deturpare, ma mai cancellare.
Il vecchio e perfido Scrooge, che all’inizio del racconto viene paragonato alle pietre dure ed aguzze, alle tempeste, alle pioggie gelide dei pomeriggi più squallidi, diventa alla fine «un amico, un padrone, un uomo così buono come mai poteva averne conosciuto quella buona vecchia città»; questo grazie ad un cammino di conoscenza e conversione la cui profondità richiederebbe un commento assai più lungo.
Tuttavia, tra le numerose verità contenute nell’apparizione dell’ orribile spettro di Marley e nel confronto con gli Spiriti del Natale Passato, Presente e Futuro, spicca una figura che costituisce l’autentico perno della vicenda, la persona che cambierà più di ogni altra l’animo indurito del protagonista: si tratta del piccolo Tim, il bambino gravemente storpio dell’impiegato Bob Cratchit. Un ragazzino piagato e sfortunato, ma buono e gentile, che non ha paura delle sue malformazioni, ed anzi proprio grazie ad esse ha più chiaro di molti altri cosa sia davvero il Natale, il miracolo di Dio sceso ad abbracciare e sanare tutto il male che grava sulla vita dell’uomo: «Tornando a casa, mi ha detto che sperava che la gente lo avesse visto in chiesa, perché era storpio e per loro poteva essere un piacere rammentarsi nel giorno di Natale di Colui che fece camminare gli storpi e vedere i ciechi».
Sarà proprio lo struggimento per il destino di questo bambino a fare definitivamente breccia nel cuore di Scrooge. Ed è a questo bambino che l’autore affida l’ultima battuta della storia: «Che Dio ci benedica, ciascuno di noi!», ben più profondo che dire “tutti noi”: ciascuno esprime l’assoluto valore di ogni singolo essere umano, nella sua specificità, nei suoi aneliti e nelle sue ferite. Dio è sceso ad abbracciare ciascuno di noi. A vincere laddove sembrerebbe non esserci più speranza è dunque proprio uno degli inutili, degli infelici, dei reietti che all’inizio della storia il vecchio usuraio vorrebbe vedere rinchiusi o, meglio ancora, mai venuti al mondo: «Così si riduce la popolazione in eccesso», sentenzia Scrooge.
In una sua introduzione al grande classico, G.K. Chesterton notava: «La risposta a chiunque se ne vada parlando di popolazione in eccesso sta nel domandargli se la popolazione in eccesso non sia proprio lui, oppure, altrimenti, come faccia a sapere di no».
Ben pochi oggi si riconoscerebbero nel vecchio che, all’inizio della storia, irride e disprezza lo spirito del Natale, la gioia delle feste e della comunione tra gli uomini; ma siamo poi così sicuri di non essere più Scrooge di quanto pensiamo? La gelida e esplicita indifferenza per i deboli ed indifesi ha lasciato il posto alla cosidetta “pietà” con la quale si decide preventivamente di eliminare queste persone al momento stesso del loro concepimento, in maniera così gentile, “compassionevole” e “pulita” con milioni di aborti in tutto il mondo.
Scrooge disprezzava il suo impiegato e la sua numerosa famiglia, e quante volte oggi questi cosiddetti “uomini buoni” considerano “egoisti” le madri o i padri che faticano con amore e dedizione per mantenere i loro figli handicappati. Quello che il vecchio avido si augurava è oggi sostenuto con serafica serenità da tanta «gente buona» la cui posizione di fondo è esattamente la stessa, e con assai maggiore ipocrisia in effetti: non vogliamo seccature, non vogliamo che ci sia qualcosa o qualcuno che ci obblighi ancora una volta a sfondare le nostre sicurezze e comodità.
Dickens non dice affatto che non si debba lottare contro il dolore e la miseria, anzi: sarà proprio la generosità del vecchio usuraio a salvare la vita del piccolo Tim, di cui «divenne come un secondo padre». Ma Dickens ci sta mostrando come la prima risposta a tutte le sofferenze sia sempre ed innanzitutto un abbraccio d’amore, che ci mette in discussione e spacca le nostre previe misure.
Proprio per questo ci introduce sempre più nella pienezza e nella gioia: donare la nostra vita vuol dire, davvero ritrovarla, ed il vecchio Scrooge, arriva a sperimentare da vecchio quello che sembrava perduto negli errori della giovinezza: la gioia dell’amicizia e della paternità.
1 commento:
grande Rialti....
ne approfitto per fare i miei auguri di un Santo e lieto Natale !
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