Nel nuovo numero della rivista «La Nuova Europa», organo della Fondazione Russia Cristiana fondata da padre Romano Scalfi, Lidija Golovkova (Università Ortodossa Umanistica di Mosca) presenta alcuni materiali inediti frutto di un ventennale lavoro di ricerca, per riportare alla luce i nomi e i volti delle vittime del terrore.
Il terrore veniva esercitato ovunque, paradossalmente nei luoghi più visibili (perfino nel centro di grandi città come Mosca o Leningrado), o in chiese e monasteri, spesso utilizzati come prigioni o come poligoni di fucilazione. Tutti questi luoghi, così come le fosse comuni, erano stati poi dimenticati o volutamente cancellati: vengono ora ritrovati, e torniamo a conoscerne il nome (Butovo, Kommunarka, Suchanovka…); qui si torturava e si fucilava, in genere senza alcun processo (sulla base di semplici ordini amministrativi, seguendo la cosiddetta «procedura speciale»).
Lidija Golovkova e un gruppo di studiosi di associazioni come «Memorial» stanno portando avanti un progetto per identificare le vittime del terrore, stabilire in quali fosse comuni riposano e ricostruirne le vicende personali.
L’intervento della Golovkova mette in luce anche alcune scioccanti realtà: che i sovietici hanno anticipato tecniche poi applicate dai nazisti (come l’uso del gas di scappamento dei camion per eliminare i prigionieri); che i prigionieri handicappati, o ritenuti inabili al lavoro forzato, venivano eliminati: «In questi casi si cominciò a condannare indiscriminatamente a morte, a prescindere dai capi d’imputazione, applicando in fondo la stessa politica che sarebbe stata ripresa dal nazismo con la pratica dell’eutanasia di massa nei riguardi delle “esistenze senza valore”. Per lo stesso motivo in Urss, nei decenni precedenti, la polizia segreta aveva già ucciso mutilati, sordomuti, anziani».
Un’altra verità sconosciuta è che, diversamente da quanto si pensa, «il terrore non è da addebitare esclusivamente a Stalin ma è nato con la stessa Rivoluzione»: i primi campi di concentramento furono aperti a Mosca nel 1918, nei monasteri di San Giovanni, di Andronico e del Salvatore Nuovo. Tra il 1918 e il 1922, sempre a Mosca, furono organizzati 11 lager di vario tipo.
Materiali fotografici inediti
L’intervento della Golovkova è accompagnato da immagini impressionanti: prigioni di Mosca sconosciute agli stessi moscoviti, elenchi di nomi dattiloscritti (e spuntati una volta avvenuta la fucilazione), i volti dei torturatori e le fosse comuni dove giacciono migliaia di cadaveri in parte ancora anonimi: «Abbiamo raccolto gli incartamenti relativi a 30 mila sacerdoti perseguitati e uccisi dal potere sovietico. Guardando le loro foto segnaletiche, terribili eppure bellissime, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a icone di moderni martiri».
I numeri della memoria
Dal 1937 all’autunno 1938, durante la cosiddetta «era di Ezov», i condannati – secondo un conteggio verosimilmente inferiore ai dati reali – furono 681.692; lo stesso Ezov, rapidamente caduto in disgrazia, fu giustiziato a sua volta nel febbraio 1940.
Nel solo poligono di Butovo (alla periferia di Mosca), ribattezzato «Golgota russo», morirono e furono sepolte decine di migliaia di persone, finora identificate appena in parte. Fino a oggi sono stati catalogati almeno 800 punti di morte immediata in tutta la Russia, ma solo in pochissimi casi è stato possibile fare qualcosa per conservarne la memoria.
Il terrore veniva esercitato ovunque, paradossalmente nei luoghi più visibili (perfino nel centro di grandi città come Mosca o Leningrado), o in chiese e monasteri, spesso utilizzati come prigioni o come poligoni di fucilazione. Tutti questi luoghi, così come le fosse comuni, erano stati poi dimenticati o volutamente cancellati: vengono ora ritrovati, e torniamo a conoscerne il nome (Butovo, Kommunarka, Suchanovka…); qui si torturava e si fucilava, in genere senza alcun processo (sulla base di semplici ordini amministrativi, seguendo la cosiddetta «procedura speciale»).
Lidija Golovkova e un gruppo di studiosi di associazioni come «Memorial» stanno portando avanti un progetto per identificare le vittime del terrore, stabilire in quali fosse comuni riposano e ricostruirne le vicende personali.
L’intervento della Golovkova mette in luce anche alcune scioccanti realtà: che i sovietici hanno anticipato tecniche poi applicate dai nazisti (come l’uso del gas di scappamento dei camion per eliminare i prigionieri); che i prigionieri handicappati, o ritenuti inabili al lavoro forzato, venivano eliminati: «In questi casi si cominciò a condannare indiscriminatamente a morte, a prescindere dai capi d’imputazione, applicando in fondo la stessa politica che sarebbe stata ripresa dal nazismo con la pratica dell’eutanasia di massa nei riguardi delle “esistenze senza valore”. Per lo stesso motivo in Urss, nei decenni precedenti, la polizia segreta aveva già ucciso mutilati, sordomuti, anziani».
Un’altra verità sconosciuta è che, diversamente da quanto si pensa, «il terrore non è da addebitare esclusivamente a Stalin ma è nato con la stessa Rivoluzione»: i primi campi di concentramento furono aperti a Mosca nel 1918, nei monasteri di San Giovanni, di Andronico e del Salvatore Nuovo. Tra il 1918 e il 1922, sempre a Mosca, furono organizzati 11 lager di vario tipo.
Materiali fotografici inediti
L’intervento della Golovkova è accompagnato da immagini impressionanti: prigioni di Mosca sconosciute agli stessi moscoviti, elenchi di nomi dattiloscritti (e spuntati una volta avvenuta la fucilazione), i volti dei torturatori e le fosse comuni dove giacciono migliaia di cadaveri in parte ancora anonimi: «Abbiamo raccolto gli incartamenti relativi a 30 mila sacerdoti perseguitati e uccisi dal potere sovietico. Guardando le loro foto segnaletiche, terribili eppure bellissime, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a icone di moderni martiri».
I numeri della memoria
Dal 1937 all’autunno 1938, durante la cosiddetta «era di Ezov», i condannati – secondo un conteggio verosimilmente inferiore ai dati reali – furono 681.692; lo stesso Ezov, rapidamente caduto in disgrazia, fu giustiziato a sua volta nel febbraio 1940.
Nel solo poligono di Butovo (alla periferia di Mosca), ribattezzato «Golgota russo», morirono e furono sepolte decine di migliaia di persone, finora identificate appena in parte. Fino a oggi sono stati catalogati almeno 800 punti di morte immediata in tutta la Russia, ma solo in pochissimi casi è stato possibile fare qualcosa per conservarne la memoria.
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