Il patriarca latino di Gerusalemme ad AsiaNews: “Tutti siamo responsabili”. Servirà oltre un miliardo per la ricostruzione, ma il vero problema è ricucire “le ferite che la guerra ha aperto nel cuore della gente”. Davanti ai morti e alla distruzione non si può pensare di “avanzare di processi in processi che non portano mai alla pace”.
Gerusalemme (AsiaNews) - “Tutti quanti siamo responsabili, anche chi ha taciuto non è innocente, mi metto anche io tra i primi: tutti siamo responsabili”. Mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, non nasconde la sua sofferenza davanti al perdurare della guerra e ai più di mille morti nella Striscia di Gaza. Interpellato da AsiaNews afferma: “Ho una domanda nella mia coscienza. Non facciamo altro che parlare, ma siamo incapaci di intervenire. Questo aiuta la riconciliazione o no? Genera un contesto per la pace o di provocazione?”.
Mons. Twal ripete ciò che il Papa va dicendo dall’inizio del conflitto: “Fermare la guerra subito. Ma manca un’intenzione di pace. Senza questa volontà, ogni mezzo o decisione sarà contrario alla pace. Bisogna avere il coraggio di parlare di pace. Si continua a parlare di tregue, di processo di pace, ma siamo stufi di 'avanzare', di 'processi' che non portano mai alla pace”.
La fragile tregua di sei mesi tra Hamas e Israele, scaduta il 19 dicembre, si è rivelata il terreno per preparare la guerra di oggi. “Chi ha rispettato la tregua?”, chiede il Patriarca, “è vera tregua se da un alto si continua l’assedio della Striscia via terra, mare e cielo e dall’altro si lanciano razzi contro Israele? Era una commedia, e continuare quella tregua non era normale: entrambe le parti lo sapevano. Non vogliono tornare alla situazione di prima. O c’è libertà di movimento, senza assedio e senza il lancio di razzi, o non è tregua. Perché questo sia vero, bisogna avere il coraggio della pace”.
Mons. Twal spera nel cessate il fuoco, ma guarda oltre: “C’è una domanda morale che riguarda tutti. Finita la guerra bisognerà ricostruire le case, gli ospedali, le scuole…. Hanno calcolato che ci vorrà almeno un miliardo di dollari per rimettere in ordine la città. Ma chi ricostruirà l’anima della gente? Chi ricucirà la ferita nel cuore dei giovani? La guerra non ha fatto altro che aprire ancora di più la ferita nel cuore di popoli che hanno paura e vivono nella paura. Dopo ogni guerra è quasi peggio, perché bisogna ricostruire le anime di gente che ha visto morire amici e parenti, che ha perso la casa, che ha sofferto oltre ogni misura. Più la guerra continua, più ci sono vittime, più la ferita si apre. Senza entrare in merito della politica non possiamo tacere della sorte di tutta questa gente. Non possiamo condannare a morte migliaia di persone perché i politici non sono d’accordo”.
Tra la popolazione della Striscia ci sono circa 3mila cristiani, per lo più greco ortodossi. “I nostri cristiani di Gaza - dice il Patriarca - fanno parte della città. Non sono un’eccezione, né privilegiati: stanno soffrendo come tutti e aspirano alla pace come tutti. La nostra comunità è stata 'fortunata' perché solamente tre cristiani sono morti in questi massacri. Le tre scuole e l’ospedale sono danneggiati come tanti altri edifici. Ma anche per loro c’è soprattutto il problema di ricostruire il cuore. Con i vescovi del Coordinamento per la Terra Santa [presuli di Europa e dell’America del nord che visitano annualmente la regione - Ndr] abbiamo avuto la possibilità di celebrare la messa a Ramallah. Lì abbiamo incontrato 70 famiglie uscite da Gaza per celebrare il Natale con i parenti. C’erano state delle bellissime celebrazioni, partecipate e intense. Poi, due giorni dopo, l’attacco e la guerra hanno soffocato la nostra gioia. Le famiglie non sono potute tornare nella Striscia. Alcuni sono da soli, altri con tutta la famiglie. Ma hanno lasciato a Gaza parenti e amici. Un giovane che era a Ramallah ha cercato di parlarci, ma continuava a piangere perché nella Striscia ci sono la moglie e due bambine, una di sei mesi. Lui e gli altri cristiani di Gaza hanno trovato ospitalità presso famiglie di Ramallah che però spesso non possono tenerli per più di due tre giorni. Per questi nostri fratelli oltre alla sofferenza per essere lontani dai loro cari c’è anche la fatica di sentirsi di peso per chi cerca di aiutarli: è un circolo vizioso”.
Per mons. Twal il perdurare del conflitto è motivo di una sofferenza continua per tutti, chi vive a Gaza come chi vive nel resto della Terra Santa: “ Soffriamo perché non siamo con loro ad aiutarli e perché siamo impotenti, non possiamo fare nulla per fermare la guerra”.
“Abbiamo iniziato il nuovo anno nel modo peggiore”, dice il Patriarca, “non possiamo fare altro che augurarci che la situazione migliori, la guerra finisca presto …… Continuiamo a pregare – certo – e chiediamo a tutti i cristiani di farlo per farci sentire la loro vicinanza. Gli chiediamo anche di continuare a venire in Terra Santa in pellegrinaggio perché è un modo concreto per testimoniare la loro partecipazione e compassione alla nostra vita. Devono farci sentire che non siamo soli a soffrire a sperare per più giustizia e la pace”. (RP)
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