mercoledì 31 dicembre 2008

Buon Anno 2009!

Per augurarvi buon anno 2009, vi raccontiamo una favola vera accaduto ad un chestertoniano.

Il chestertoniano va in macchina, la figlia di quattro anni vede al lato della strada un negozio con un Babbo Natale altezza uomo.

Dice al padre: lo sai che quel Babbo Natale si muove?

Il babbo: ma no, babbo, quello è finto!

La figlia: guarda che quel Babbo Natale è magico...

Il babbo chestertoniano: perché?

La figlia: perché la sera di Natale quel Babbo Natale si muove, parte e porta i regali a tutti i bambini! Quindi è magico!

Molto più chestertoniana la figlia del padre!

Auguriamo a tutti un 2009 altrettanto magico!

Un aforisma al giorno - 88

"Avevo sempre creduto che il mondo implicasse la magia: ora pensavo che forse implicava un mago".

G. K. Chesterton, Ortodossia

Chesterton è attuale - 25 - L'Uomo che fu Giovedì su Nonsolocinema.com

Da Nonsolocinema.com

"L’UOMO CHE FU GIOVEDÌ" DI G. K. CHESTERTON
VERITÀ E MENZOGNA: IL MONDO SECONDO CHESTERTON
di Elisa De Marchi

Pubblicato martedì 30 dicembre 2008 - NSC anno V n. 7

Una vicenda incredibile, al limite tra sogno e realtà, che ruota attorno ad una società segreta di anarchici. Tutto comincia con un bizzarro invito da parte del poeta Lucian Gregory; il protagonista, Gabriel Syme, lo accetta, scettico: “la sua proposta è talmente idiota che non può essere rifiutata”. Inizia così un’avventura folle e avvincente, che terrà il lettore col fiato sospeso, fino all’ultima pagina.
L’uomo che fu Giovedì è uno dei romanzi più famosi di Gilbert Keith Chesterton, che fu giornalista e scrittore fertilissimo. Tutti i suoi scritti si caratterizzano per un umorismo brillante e per la forza del paradosso, ma soprattutto, in quest’opera, ha espresso la sua particolare visione del mondo, una visione che diventa via via sempre più assurda, eppure chiara e condivisibile. La storia di questa cospirazione anarchica, capeggiata dalla misteriosa figura di Domenica, mette in dubbio ogni certezza: non c’è fatto o affermazione che non venga, subito dopo, smentito; non c’è personaggio che non indossi una o più maschere. Verità e menzogna si inseguono e si confondono, anzi, di più: sono la stessa cosa.

La trama è intensa e ben progettata; i numerosi dialoghi, le scene d’azione, i passaggi di riflessione filosofica si susseguono in maniera armoniosa; il lettore si immedesima subito nel protagonista, con lui fugge disperatamente da Domenica, con lui indaga sulla sua vera identità. L’opera offre molteplici spunti di riflessione ma è anche, semplicemente, un bellissimo romanzo. Ambientato in una Londra misteriosa e surreale, siamo coinvolti nei progetti di un gruppo anarchico governato dall’ideale di un mondo nuovo, libero dal giogo delle tradizioni e della religione; il Consiglio Centrale Anarchico si compone di sei uomini ben distinti e, allo stesso tempo, molto simili tra loro, che rappresentano il filosofo, il poeta, il candido, il sognatore, lo scettico e l’ottimista. Syme, infiltratosi nell’organizzazione, tenterà di fermare la rivoluzione già pronta, scoprendo al suo fianco nemici imprevisti e amici ancora più inaspettati.

Una lettura davvero piacevole, una favola grottesca che, attraverso i meccanismi dell’assurdo, si fa rivelatoria (“un paradosso è il mezzo più utile per aprire gli occhi del mondo a una verità negletta” ripeteva spesso l’autore). Nulla è stabile, sicuro, comprensibile: ogni personaggio è in lotta con tutti gli altri, in un turbine intricato di sospetti, paure, inganni. Salvo scoprire, alla fine, che remavano tutti nella stessa direzione, che combattevano, senza saperlo, per lo stesso ideale. Non è semplicemente un libro, è una rivelazione: mette a nudo la verità, benché questa sfugga ai tentativi di fissarla e definirla. Ma Chesterton ci riesce. Pagine indimenticabili per il loro surrealismo, per l’atmosfera irreale, i luoghi noti e allo stesso tempo irriconoscibili, gli eventi illogici, contraddittori. E’ proprio questo che conquista nell’opera di Chesterton: la capacità di trasportarci, in poche pagine, in un quadro di Magritte. O in un sogno.

Gilbert Keith Chesterton, L’uomo che fu Giovedì, Bompiani, Milano, 2007, pp. 240, euro 7,80.

sabato 27 dicembre 2008

Orson Welles e Chesterton.

Lo sapevate che Orson Welles, nell'ambito di The Mercury Theater on Air (quello dell'arcifamoso War of the Worlds, per intenderci), il 5 settembre 1938 trasmise in radio una spettacolare versione de L'Uomo che fu Giovedì?



Ecco, ora lo sapete...

venerdì 26 dicembre 2008

Un aforisma al giorno - 87

"Non sarà necessario che qualcuno combatta la proposta di una censura della stampa. Non c'è bisogno di una censura della stampa. Abbiamo una censura ad opera della stampa".



G. K. Chesterton, Ortodossia

Un aforisma al giorno - 86

"È consuetudine lamentarsi del trambusto e del dinamismo della nostra epoca; ma in verità la caratteristica principale di quest'epoca è la sua profonda pigrizia e stanchezza, ed è precisamente questa effettiva pigrizia la causa dell'apparente trambusto. Prendete un caso visibilissimo: le strade sono piene del rumore dei taxi e delle automobili, dovuto non all'attività, ma al riposo umano. Ci sarebbe meno trambusto se ci fosse più attività: se la gente semplicemente andasse a piedi. Il nostro mondo sarebbe più silenzioso se fosse più energico".



G. K. Chesterton, Ortodossia.

giovedì 25 dicembre 2008

Auguri catalani!

Abbiamo il piacere di avere tra i nostri soci un catalano, Josep Carbonell, che ha avuto la bella idea di scriverci nella sua armoniosa lingua. Siccome i saluti sono per tutti, eccoveli!
Grazie, Josep!

Benvolguts,

Que la Joia i la Pau de Nadal omplin a ple el vostre esperit.

Que els somnis i els desigs s’acompleixin el proper Any Nou.

Ara i sempre,

Josep Carbonell

mercoledì 24 dicembre 2008

... sono ancora io e ancora auguri a tutti! Buon Natale!!! e state allegri!

Auguri poliglotti per tutti quelli che ci seguono dal resto del mondo (non sono pochi...)

Happy Christmas!
Jouyeux Noel!
Feliz Natal!
Feliz Navidad!
Nollaig chridheil!
LL Milied Lt-tajjeb!
Fröhliche Weihnachten!
Bonu nadale!
Bon Nadal!

Massimo Borghesi sul discorso di Papa Benedetto del 22/12 - Un futuro da incubo: se la natura umana viene rinnegata in nome dell’eugenetica “positiva”

di Massimo Borghesi da IlSussidiario.net

martedì 23 dicembre 2008

La difesa della “natura” umana, richiesta da Benedetto XVI nel suo discorso del 22 dicembre, non è una posizione di retroguardia rispetto all’incalzare del progresso tecnico che pare, ogni giorno, abbattere e dissolvere confini che sembravano eterni. Si tratta di una posizione “progressista”, non maltusiana,che intercetta, al presente, talune delle voci più significative della cultura contemporanea. Valga per tutte la riflessione di Jürgen Habermas che, proprio in un testo del 2001, si poneva il problema de Il futuro della natura umana (Einaudi 2002). La pretesa della tecnica moderna di modificare la natura dell’uomo, intervenendo nel patrimonio genetico, lascia intravedere scenari inquietanti, creazioni di “chimere”. Le nanotecnologie immaginano fusioni produttive di uomo e macchina, l’ingegneria informatica disegna robot umanoidi destinati a sostituire gli uomini. Questo attacco concentrico all’idea di uomo, all’uomo così come è stato concepito fino ad oggi, tende, secondo Habermas a «modificare la nostra autocomprensione etica del genere fino al punto da coinvolgere la stessa coscienza morale, intaccando quei requisiti di naturalità in assenza dei quali non possiamo intenderci quali autori della nostra vita e membri giuridicamente equiparati della comunità morale». Per Habermas la disinvoltura con cui il naturalismo positivistico gioca con i mattoni della vita prelude ad un’idea selettiva che mina, alla radice, l’autonomia del soggetto e l’ordinamento democratico. Paradossalmente l’autottimizzazione genetica del genere umano potrebbe essere portata avanti in direzioni diverse. Secondo Allen Buchanan, citato da Habermas, «dobbiamo ammettere la possibilità che, a partire da un certo momento del futuro, diversi gruppi di esseri umani possano seguire, usando l’ingegneri genetica, strade evolutive divergenti. Se questo accadrà, ci saranno gruppi diversi di esseri, ciascuno con la sua propria “natura” che si relazionano l’un l’altro solo attraverso un comune antenato (la razza umana)».
Questo processo di diversificazione può essere iniziato da subito con un programma di eugenetica positiva, tesa a “migliorare” la specie. In tal modo le parti ricche del pianeta potranno, sin d’ora, avviare programmi di selezione dei migliori. Gli altri, gli abitanti delle zone povere, rimarrebbero allo stadio attuale della “natura”, retrocessi a sotto-uomini, individui del passato portatori di difetti e di malattie. A questo quadro, affatto pacificante, si aggiunga l’ipotesi della clonazione richiamata da Habermas con esemplificazioni tratte da Hans Jonas. Per essa un individuo futuro viene privato del suo “presente”, di uno sviluppo originale. Un altro (che non è Dio), decide per lui, in anticipo, la forma della sua personalità, lo priva della sua identità. Egli è il “doppione” di ciò che è già stato. In tutti questi esempi è evidente la svolta “antidemocratica” a cui porta la genetica “liberale”, le conseguenze maltusiane, selettive;quelle conseguenze che una sinistra “post-moderna”, dimentica della propria tradizione, non riesce più a riconoscere come patrimonio storico della destra. Il post-umanesimo, naturalisticamente declinato, non promette un futuro radioso ma un tempo di disuguaglianze e di lotta. Se la “natura” umana diviene un concetto mobile, modificabile – così come da tempo lascia intendere la teoria evoluzionistica – la stessa dottrina morale che legittima il quadro democratico, fondata su diritti personali e sull’uguaglianza, appare desueta. La tecnica mutando la forma dell’uomo, la sua natura, relativizza anche i valori morali che divengono relativi all’uomo così come lo conosciamo ora. L’uomo del futuro, che possiamo solo immaginare come “analogo” in qualche modo con quello di oggi, avrà valori diversi. La coscienza morale viene a dipendere dal progresso tecnologico. Quel progresso afferma, da ora, di essere in grado di sciogliere le differenze che hanno segnato la storia dell’umanità, quelle tra uomo e donna, tra uomo e animale, tra naturale ed artificiale. Il risultato è un “terzo genere”, un ibrido, una sorta di coincidentia oppositorum. Una rivoluzione che fa saltare tutte le categorie morali.
La spinta, apparentemente irresistibile, che muove la tecnica odierna è quindi la negazione della natura come ambito di forme immutabili. La natura è, al contrario, la “metamorfosi”, il continuo mutare delle forme ad opera di una tecnica che, come riconosce giustamente Emmanuele Severino, è ormai il surrogato della fede. Tecnica e nichilismo: è l’essenza del positivismo odierno. Non è esatto chiamarlo “naturalistico” poiché la ragione lungi dal conformarsi alla natura tende qui a rifiutarla. Essa riconosce solo quanto è sua “produzione”. La ragione puramente tecnica è una ragione senza “logos”, senza un ordine oggettivo del mondo. Donde la critica di Habermas, ultimo erede della Scuola di Francoforte, a questa “ragione strumentale”. Sulla sua linea si colloca il discorso di Benedetto XVI. Il recupero dell’idea di “natura” umana non è, oggi, un’idea fuori moda. È un punto di difesa dell’umano a fronte di un processo di mercificazione dell’umano che non conosce confini.

martedì 23 dicembre 2008

Eluana Englaro - Il neurologo Dolce: «Eluana deglutisce»

Da Avvenire.it di oggi 23 Dicembre 2008

Ci sono aspetti della condizione di Eluana Englaro che non solo l’opinione pubblica ma anche i giudici mostrano di non avere valutato (o addirittura saputo) e che modificano taluni dei presupposti su cui si basa il decreto della Corte d’Appello. Di questo è convinto il neurologo Giuliano Dolce, direttore scientifico dell’Istituto Sant’Anna di Crotone, casa di cura ad alta specialità riabilitativa che ospita un reparto con persone in stato vegetativo o di minima coscienza. Il professor Dolce è uno dei medici che hanno visitato Eluana Englaro e, dopo che alcuni di questi sono da tempo intervenuti nella vicenda, ora fa sentire la sua voce: «È accaduto lo scorso 18 gennaio. Dopo gli ultimi sviluppi, credo di non poter tacere che Eluana ha mantenuto la deglutizione. Si tratta di un particolare non indifferente. Infatti tra le persone in stato vegetativo alcune non riescono a deglutire, altre sì. La differenza è visibile, perché i primi perdono bava dalla bocca, e questo non era il caso di Eluana. Le suore mi hanno confermato che mai aveva perso questa capacità e che, nei primi anni, veniva alimentata dalla madre con un cucchiaino. Addirittura mi hanno riferito che ha ancora il riflesso della tosse: un particolare decisivo per poterla alimentare per bocca». Ma la riflessione a questo punto passa su un altro piano: «Il decreto – spiega Dolce – dice che si può sospendere l’alimentazione artificiale con il sondino, non che si può lasciar morire di sete e di fame una persona che può essere alimentata per via naturale. Credo che se i giudici avessero nominato una commissione medica per valutare le condizioni di Eluana, questi elementi sarebbero emersi. Si sarebbero anche potuti effettuare altri esami, come la videofluoroscopia per valutare quanto la deglutizione sia valida, o la risonanza magnetica dinamica. Si doveva chiarire che gli specialisti non parlano più di stato vegetativo permanente o persistente». La vicenda di Eluana, secondo Dolce, è tutt’altro che chiusa: «Abbiamo già scritto una lettera al direttore sanitario della clinica di Udine per spiegargli questi argomenti. Ma certamente, se qualcuno pensasse di mettere in atto il decreto, ci rivolgeremmo alla procura». Se arrivati a questo punto il professor Dolce in coscienza non si sente più di tacere, e per questo invia ad un giornale la sua testimonianza, neppure "Avvenire" se la sente di lasciare questo scritto nel cassetto. Per tutti infatti è il momento della coscienza e della massima responsabilità.

«La situazione che stiamo vivendo è veramente paradossale, soprattutto per noi medici, poiché siamo costretti ad ascoltare le diverse opinioni di persone che parlano, senza alcun fondamento scientifico. Questo succede quando si pretende di prendere una intransigente posizione senza conoscere bene la materia. La confusione che ne deriva però è veramente drammatica perché riguarda la vita di una persona che vive in mezzo a noi.

Io ho visitato a gennaio scorso Eluana Englaro con il consenso del padre. Eluana si trovava in uno stato vegetativo conclamato per cui non è stato possibile ottenere alcuna risposta consistente, ma alcune funzioni erano conservate. In modo particolare la deglutizione.

Eluana ingoia e ha sempre ingoiato la saliva e dalla anamnesi è risultato che nei primi anni veniva spesso alimentata per bocca dalla madre anche se la pratica richiedeva tempo. Per ragioni di praticità venne poi preferita esclusivamente la nutrizione attraverso sondino. Veniva poi riferito che da pochi mesi era ritornato il ciclo mestruale dopo anni dal momento dell’incidente.

Prima di sospendere la nutrizione artificiale quindi, è assolutamente necessario valutare bene le residue capacità funzionali della deglutizione con un particolare esame radiologico, anche perché ne deriva che il medico che applicasse il dispositivo della sentenza rischia di essere accusato di aver fatto morire di fame e di sete una grave disabile, capace di essere nutrita per via naturale. Oltre al reato di omicidio si configura anche quello aggravante di tortura di incapace.

In modo particolare la sete è intollerabile dopo uno o due giorni e tutti chiederebbero l’acqua, cambiando le disposizioni anticipate date decenni prima, o anche il giorno prima. Se si interviene con antidolorifici che potrebbero sicuramente alleviare il disagio, allora non si pratica più l’abbandono attivo, ma una eutanasia crudele perché l’evento morte non è immediato ma si prolunga nel tempo.

La sentenza del tribunale di Milano autorizza la sospensione delle terapie compresa la idratazione e la nutrizione artificiale e non certo quella naturale! Va detto che anche dopo molti anni i dolori fisici spontanei o provocati da malattie intercorrenti o da inadeguate manovre vengono percepiti dai pazienti in stato vegetativo e verosimilmente anche quelli provocati dalla fame e dalla sete.

Proprio su questo punto è stata vergata una dichiarazione condivisa cui hanno aderito 26 specialisti della materia italiani, francesi, spagnoli e tedeschi in una recente riunione internazionale tenutasi a Roma presso l’istituto Santa Lucia. In questo congresso sono state rese note diverse comunicazioni che mettono in luce come durante lo stato vegetativo, anche dopo anni è possibile registrare attività di coscienza sommersa, anche in assenza di consapevolezza in altre parole il cervello lavora.

Infine, e non per importanza, il tutore il curatore e tutti quelli che si adopereranno a mettere in esecuzione il decreto della Corte d’appello di Milano, devono necessariamente tenere presente che la procedura in esso indicata non è assolutamente praticabile sotto un profilo medico per due ragioni: per eliminare le sofferenze provocate dalla fame dalla sete, il sanitario deve eliminare per prima cosa la causa della sofferenza e ciò si può fare solamente somministrando acqua e non sedativi. Lo esige la buona pratica medica. Se invece si somministra una forte sedazione prolungata, praticamente si esegue una forma di eutanasia che In italia, attualmente, costituisce un reato grave.
È altrettanto grave che il tribunale non abbia disposto una perizia sulle reali condizioni di Eluana alla luce delle recenti novità in campo scientifico.

Evidentemente i giudici non erano bene informati sulle capacità funzionali di una persona in stato vegetativo, e sono altresì convinto che gli stessi giudici, una volta adeguatamente informati, condannerebbero quelle persone pronte oggi a dare esecuzione alla sentenza».
Giuliano Dolce, neurologo e direttore scientifico dell’Istituto Sant’Anna di Crotone

Buon Natale a tutti!

I misteri della Grotta

Natale, per noi, è diventato
semplicissima cosa. Mentre
tocca note complicate
e tutte insieme: umiltà, gioia,
mistica paura, drammatica perfino
l'Attesa! Non è soltanto
la più grande delle parole
("pace", "festa", "amore").
Natale: è una sfida che fa rimbombare
bruscamente
campane a mezzanotte, come cannoni.
Messaggeri di una battaglia appena vinta:
è la gioia della grotta, un'allegria
da trincea, da città fortificata.
Questo bimbo da una grotta
erompe –
sotterranea divinità che esplode – :
ha minato il mondo. Scrolla dal basso
palazzi e parlamenti; e il gran re che avverte
la vibrazione sotto i piedi, trema
nel tremante suo palazzo.
E tra i misteri della grotta
questo è forse il più grande: anche
se gli uomini sotto terra
l'inferno hanno cercato, sotterra il cielo
hanno trovato. Questo il paradosso:
le più Alte Idee da quel giorno solo dal basso
possono agire. E il Regno
non può ricostituirsi senza
ribellione. Perché la Chiesa non nacque
principato, ma per esser – contro il principe
del mondo –
universale rivoluzione.


(G. K. Chesterton, adattamento da un brano de L'Uomo Eterno)

Buon Natale di cuore dalla Società Chestertoniana Italiana!
--
Società Chestertoniana Italiana
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"Quando vale la pena di fare una cosa, vale la pena di farla male" (G.K. Chesterton)

Carissimi Amici di Chesterton, Buon Natale!

I misteri della Grotta

Natale, per noi, è diventato
semplicissima cosa. Mentre
tocca note complicate
e tutte insieme: umiltà, gioia,
mistica paura, drammatica perfino
l’Attesa! Non è soltanto
la più grande delle parole
("pace", "festa", "amore").
Natale: è una sfida che fa rimbombare
bruscamente
campane a mezzanotte, come cannoni.
Messaggeri di una battaglia appena vinta:
è la gioia della grotta, un’allegria
da trincea, da città fortificata.
Questo bimbo da una grotta
erompe –
sotterranea divinità che esplode – :
ha minato il mondo. Scrolla dal basso
palazzi e parlamenti; e il gran re che avverte
la vibrazione sotto i piedi, trema
nel tremante suo palazzo.
E tra i misteri della grotta
questo è forse il più grande: anche
se gli uomini sotto terra
l’inferno hanno cercato, sotterra il cielo
hanno trovato. Questo il paradosso:
le più Alte Idee da quel giorno solo dal basso
possono agire. E il Regno
non può ricostituirsi senza
ribellione. Perché la Chiesa non nacque
principato, ma per esser – contro il principe
del mondo –
universale rivoluzione.


(G. K. Chesterton, adattamento da un brano de L’Uomo Eterno)

Buon Natale di cuore dalla Società Chestertoniana Italiana!

Paolo Pegoraro recensisce sull'OR "L’anello e la croce. Significato teologico de Il Signore degli Anelli di Andrea Monda

Il nostro Paolo Pegoraro recensisce il nostro Andrea Monda chestertontolkieniano.

Da L'Osservatore Romano


Il Magnificat di Tolkien


Nessun classico del Novecento può vantare tanti appassionati lettori quanti Il Signore degli Anelli. Ma a cosa si deve il successo di questo corposo romanzo, che ci si ostina a confinare nel genere “fantasy”? Potrà sembrare un paradosso, eppure una delle ragioni principali è il suo realismo. Perché chi scrive racconti fantastici, metteva in guardia Flannery O’Connor, deve prestare «un’attenzione ancor più rigorosa al particolare concreto, rispetto a chi scrive in chiave naturalistica – perché quanto più la storia forza i limiti della credibilità, tanto più convincente dovrà essere l’ambientazione». E Tolkien è stato di una meticolosità imbattibile: ci fornisce il calendario di viaggio dei protagonisti, appendici storico-sociali, alberi genealogici, tavole linguistiche, regole per la pronuncia, note di costume, una mappa dettagliata… Il puntiglio del filologo applicato alla multiformità dell’immaginazione. Tolkien non ne ha mai fatto mistero. Scrivere romanzi non era uno sfogo individuale, ma la diretta conseguenza dei suoi studi, al punto che alla base del suo capolavoro «c’è l’invenzione dei linguaggi. Le “storie” furono create per fornire un mondo […] avrei preferito scrivere in elfico». Eppure tanta precisione non preclude il mistero. Al contrario. Gli basta la citazione improvvisa di un nome sconosciuto, fatta quasi en passant, per evocare nel lettore il senso d’infinite storie non raccontate ma presenti, che occhieggiano da dietro le quinte. Ecco un altro forte tratto di realismo: è quella “suggestione del non detto” – lo notò Erich Auerbach nel suo Mimesis – affluita nella letteratura occidentale attraverso la narrativa biblica.
Approfondimenti critici, e non solo, si trovano nel bel saggio L’anello e la croce. Significato teologico de Il Signore degli Anelli (Rubbettino, pp. 252, € 12) di Andrea Monda, lettura scorrevolissima quanto puntuale che, a dispetto del sottotitolo dichiaratamente “di parte”, rende un servizio critico – sia come introduzione all’opera di Tolkien, sia come valutazione complessiva del suo capolavoro – davvero notevole. Tra i pregi di questa ricerca, il principale è, a nostro avviso, quello di aver rimesso al centro dell’attenzione l’epistolario tolkienano, tradotto anche in italiano (La realtà in trasparenza, Rusconi 1990) eppure stranamente poco considerato dagli esperti, come constatato dalla stessa Priscilla Tolkien, terzogenita dell’autore.
Il punto di partenza è la lettera del 2 dicembre 1953 dove Tolkien scrive di essersi reso conto a posteriori, non in fase di stesura ma durante la correzione, che Il Signore degli Anelli è un’«opera fondamentalmente religiosa e cattolica». Come e dove si espliciti la cattolicità di questa saga è questione che ha già interessato anche alcuni studiosi italiani – da Guido Sommavilla a Guglielmo Spirito, da Franco Manni a Ferdinando Castelli, da Saverio Simonelli a Paolo Gulisano –, eppure Monda riesce a cogliere un accento particolarmente felice. E cioè quell’avverbio, «fondamentalmente». Perché la cattolicità dell’opera non è definita da elementi secondari o decorativi (Tolkien afferma anzi di aver espunto volontariamente qualsiasi accenno a culti e religioni), ma coincide con la novità principale de Il Signore degli Anelli: l’invenzione degli hobbit. Che bisogno c’era di affiancare esseri leggendari di nobile tradizione, come nani ed elfi, con queste creature indolenti e provinciali, partorite dalla singolare fantasia di Tolkien in un caldo pomeriggio d’estate? Se al centro de Il Silmarillion c’erano i fascinosi e malinconici elfi, perché Tolkien si propose di differenziare Il Signore degli Anelli facendone un romanzo «hobbit-centrico»? E soprattutto: chi sono gli hobbit? Tolkien sgombra subito il campo da confusioni: niente a che vedere con gnomi o folletti, gli hobbit sono uomini come noi – la storia, infatti, «si svolge su questo pianeta in una certa epoca del Vecchio Continente» – privi di particolari poteri. Non solo non hanno nulla in più rispetto agli uomini, ma hanno addirittura qualcosa in meno. Non sono né creativi né geniali, anzi, il loro amore per la terra confina quasi con la chiusura mentale. E sono del tutto privi «di ambizione o di brama di ricchezza». Paiono quasi caricature della stirpe umana, che infatti li chiama spregevolmente “Mezzuomini”: non solo per la loro bassa statura fisica, dunque, ma anche per l’assenza di quella spinta interiore – l’ambizione, la brama – propria dell’uomo che vuole farsi grande da sé. Gli hobbit sono uomini “monchi” nel corpo e nello spirito. Sono gli ultimi, anche cronologicamente, perché comparsi sulla Terra di Mezzo dopo le altre razze. Vivono dentro buchi nella terra: sono letteralmente gli humiles, gli anawìm della Bibbia, i poveri che – proprio a causa della loro condizione di mancanza – sono “malleabili” e si lasciano guidare dalla Provvidenza e dalla Grazia. Per questo, se anche non corrispondono ai canoni dell’eroe, si avvicinano a quelli del santo. Poirché, come scriveva Jean Danielou, se l’eroismo dimostra quel che può fare l’uomo, la santità dimostra quel che può fare Dio. Il Signore degli Anelli è allora essenzialmente strutturato – parola di Tolkien! – come «uno studio della nobilitazione (o santificazione) degli umili». E infatti proprio gli hobbit verranno chiamati a salvare la Terra di Mezzo, mentre i sapienti (Saruman, Denethor), i forti (Boromir) e i potenti (Sauron) saranno abbattuti uno a uno dal loro stesso sguardo autoreferenziale, ovvero dalla cecità che affligge quanti sono dispersi «nei pensieri del loro cuore» (Lc 1,51).
Questo intreccio fondante con il Magnificat è solo un assaggio delle ricchissime considerazioni che Monda supporta sempre con prove testuali (il romanzo) e testimonianze della intentio auctoris (l’epistolario). Ma c’è un altro filone da considerare. Tolti gli hobbit, non vi sono molti altri elementi altrettanto originali. Il filologo Tolkien attinge a piene mani dagli stilemi delle saghe nordiche, ma se da un lato sa riprodurli minutamente – come avviene ne Il Silmarillion –, d’altro canto sa innervarvi modulazioni significative, quando non addirittura veri e propri capovolgimenti. Diversi elementi fanno anzi pensare che Il Signore degli Anelli sia una “critica narrativa” all’epica pagana, cui viene contrapposta un’epica cattolica di matrice evangelica. Appare ad esempio il modello della quest, ma a rovescia (si confronti il finale de Il Signore degli Anelli con quello della Tetralogia wagneriana). Appare il modello tragico del re che di propria volontà corre incontro a un Destino all’apparenza ineluttabile (Denethor come Macbeth), ma alla sua figura, valutata negativamente, è contrapposta la non voluta eppure obbediente salita di Frodo su un Monte Fato assai simile al Calvario. Appare il culto del passato e delle tradizioni – specie nella figura degli elfi, definiti «imbalsamatori» –, ma per essere criticato e aperto alla necessità del nuovo (l’avvento della Quarta Era come tempo degli uomini e degli hobbit). E lo schema della battaglia manichea tra Bene/Male viene disinnescato fin dal titolo, cupo riferimento allo strapotere apparentemente omnipervasivo di Sauron che non sarà sconfitto da eserciti di valorosi, ma dalla umilissima – e umanissima – via crucis che si consuma proprio nel cuore del suo regno.

Paolo Pegoraro

lunedì 22 dicembre 2008

Eluana Englaro - Corte Europeo: ricorso dei cattolici irricevibile.

Da IlGiornale.it

Strasburgo - La Corte europea per i diritti dell’uomo ha respinto, giudicandolo "irricevibile", il ricorso presentato da diverse associazione contro la sentenza della Corte d’appello di Milano sul caso di Eluana Englaro. Nella decisione resa nota oggi la Corte osserva tra l’altro che "i ricorrenti non hanno alcun legame diretto" con Eluana. Inoltre, il procedimento giudiziario di cui "criticano il risultato e temono le conseguenze, non li tocca direttamente" perché la decisione della Corte d’appello di Milano del 28 giugno scorso riguarda "solo le parti direttamente coinvolte e i fatti oggetto" della sentenza. Il giudizio di "irricevibilità" emesso oggi dalla Corte di Strasburgo - si legge in una nota diffusa dalla stessa Corte - riguarda i ricorsi presentati tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre da rappresentanti di persone gravemente handicappate, un’associazione di difesa dei diritti dell’uomo, medici e avvocati. Tra quelli respinti figura anche il ricorso numero 55185/08 al quale la Corte di Strasburgo aveva rifiutato, lo scorso 20 novembre, l’applicazione della cosiddetta regola 39, ovvero la procedura d’urgenza.

Il Vaticano contrario "L’uomo non può decidere sulla vita di una persona". Questo è un fatto oggettivo e "ammazzare un innocente è qualcosa di totalmente negativo". Parola del cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del pontificio consiglio per gli operatori sanitari, una sorta di ministro della Salute, commentando la decisione della Corte di Strasburgo di respingere il ricorso di alcune associazioni sul caso di Eluana. "La settimana scorsa il ministro Sacconi ha fatto una circolare dicendo che non si deve staccare la spina - prosegue Barragan - la bontà o la malignità di una azione non dipende da quello che un uomo o una collettività decidono, ma da una realtà oggettiva, e la realtà oggettiva è la vita". Per il porporato "hanno fatto bene le associazioni a presentare il ricorso, volendo far applicare il quinto comandamento, che è 'non uccidere'. Ammazzare un innocente è qualcosa di totalmente negativo. Un'azione è buona o cattiva secondo la sua oggettività - conclude il ministro vaticano - non secondo la decisione di chicchessia, ma sulla base dell’oggettività".

UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI , 22.12.2008

  • Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Cardinali con i membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi.

    Nel corso dell’incontro, dopo l’indirizzo di omaggio al Santo Padre del Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

  • DISCORSO DEL SANTO PADRE

    Signori Cardinali,

    venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

    cari fratelli e sorelle!

    Il Natale del Signore è alle porte. Ogni famiglia sente il desiderio di radunarsi, per gustare l’atmosfera unica e irripetibile che questa festa è capace di creare. Anche la famiglia della Curia Romana si ritrova, stamane, secondo una bella consuetudine grazie alla quale abbiamo la gioia di incontrarci e di scambiarci gli auguri in questo particolare clima spirituale. A ciascuno rivolgo il mio saluto cordiale, colmo di riconoscenza per l’apprezzata collaborazione prestata al ministero del Successore di Pietro. Ringrazio vivamente il Cardinale Decano Angelo Sodano, che, con la voce di un angelo, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti e anche di quanti sono al lavoro nei diversi uffici, comprese le Rappresentanze Pontificie. Accennavo all’inizio alla speciale atmosfera del Natale. Mi piace pensare che essa sia quasi un prolungamento di quella misteriosa letizia, di quell’intima esultanza che coinvolse la santa Famiglia, gli Angeli e i pastori di Betlemme, nella notte in cui Gesù venne alla luce. La definirei "l’atmosfera della grazia", pensando all’espressione di san Paolo nella Lettera a Tito: "Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr Tt 2,11). L’Apostolo afferma che la grazia di Dio si è manifestata "a tutti gli uomini": direi che in ciò traspare anche la missione della Chiesa e, in particolare, quella del Successore di Pietro e dei suoi collaboratori, di contribuire cioè a che la grazia di Dio, del Redentore, diventi sempre più visibile a tutti, e a tutti rechi la salvezza.

    L’anno che sta per concludersi è stato ricco di sguardi retrospettivi su date incisive della storia recente della Chiesa, ma ricco anche di avvenimenti, che recano con sé segnali di orientamento per il nostro cammino verso il futuro. Cinquant’anni fa moriva Papa Pio XII, cinquant’anni fa Giovanni XXIII veniva eletto Pontefice. Sono passati quarant’anni dalla pubblicazione dell’Enciclica Humanae vitae e trent’anni dalla morte del suo Autore, Papa Paolo VI. Il messaggio di tali avvenimenti è stato ricordato e meditato in molteplici modi nel corso dell’anno, così che non vorrei soffermarmici nuovamente in questa ora. Lo sguardo della memoria, però, si è spinto anche più indietro, al di là degli avvenimenti del secolo scorso, e proprio in questo modo ci ha rimandato al futuro: la sera del 28 giugno, alla presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli e di rappresentanti di molte altre Chiese e Comunità ecclesiali abbiamo potuto inaugurare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura l’Anno Paolino, nel ricordo della nascita dell’Apostolo delle genti 2000 anni fa. Paolo per noi non è una figura del passato. Mediante le sue lettere, egli ci parla tuttora. E chi entra in colloquio con lui, viene da lui sospinto verso il Cristo crocifisso e risorto. L’Anno Paolino è un anno di pellegrinaggio non soltanto nel senso di un cammino esteriore verso i luoghi paolini, ma anche, e soprattutto, in quello di un pellegrinaggio del cuore, insieme con Paolo, verso Gesù Cristo. In definitiva, Paolo ci insegna anche che la Chiesa è Corpo di Cristo, che il Capo e il Corpo sono inseparabili e che non può esserci amore per Cristo senza amore per la sua Chiesa e la sua comunità vivente.

    Tre specifici avvenimenti dell’anno che s’avvia alla conclusione saltano particolarmente agli occhi. C’è stata innanzitutto la Giornata Mondiale della Gioventù in Australia, una grande festa della fede, che ha riunito più di 200.000 giovani da tutte le parti del mondo e li ha avvicinati non solo esternamente – nel senso geografico – ma, grazie alla condivisione della gioia di essere cristiani, li ha anche avvicinati interiormente. Accanto a ciò c’erano i due viaggi, l’uno negli Stati Uniti e l’altro in Francia, nei quali la Chiesa si è resa visibile davanti al mondo e per il mondo come una forza spirituale che indica cammini di vita e, mediante la testimonianza della fede, porta luce al mondo. Quelle sono state infatti giornate che irradiavano luminosità; irradiavano fiducia nel valore della vita e nell’impegno per il bene. E infine c’è da ricordare il Sinodo dei Vescovi: Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio, che era stata innalzata in mezzo a loro; intorno alla Parola di Dio, la cui grande manifestazione si trova nella Sacra Scrittura. Ciò che nel quotidiano ormai diamo troppo per scontato, l’abbiamo colto nuovamente nella sua sublimità: il fatto che Dio parli, che Dio risponda alle nostre domande. Il fatto che Egli, sebbene in parole umane, parli di persona e noi possiamo ascoltarLo e, nell’ascolto, imparare a conoscerLo e a comprenderLo. Il fatto che Egli entri nella nostra vita plasmandola e noi possiamo uscire dalla nostra vita ed entrare nella vastità della sua misericordia. Così ci siamo nuovamente resi conto che Dio in questa sua Parola si rivolge a ciascuno di noi, parla al cuore di ciascuno: se il nostro cuore si desta e l’udito interiore si apre, allora ognuno può imparare a sentire la parola rivolta appositamente a lui. Ma proprio se sentiamo Dio parlare in modo così personale a ciascuno di noi, comprendiamo anche che la sua Parola è presente affinché noi ci avviciniamo gli uni agli altri; affinché troviamo il modo di uscire da ciò che è solamente personale. Questa Parola ha plasmato una storia comune e vuole continuare a farlo. Allora ci siamo nuovamente resi conto che – proprio perché la Parola è così personale – possiamo comprenderla in modo giusto e totale solo nel "noi" della comunità istituita da Dio: essendo sempre consapevoli che non possiamo mai esaurirla completamente, che essa ha da dire qualcosa di nuovo ad ogni generazione. Abbiamo capito che, certamente, gli scritti biblici sono stati redatti in determinate epoche e quindi costituiscono in questo senso anzitutto un libro proveniente da un tempo passato. Ma abbiamo visto che il loro messaggio non rimane nel passato né può essere rinchiuso in esso: Dio, in fondo, parla sempre al presente, e avremo ascoltato la Bibbia in maniera piena solo quando avremo scoperto questo "presente" di Dio, che ci chiama ora.

    Infine era importante sperimentare che nella Chiesa c’è una Pentecoste anche oggi – cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell’essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in essa sono presenti i molteplici modi dell’esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell’esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio. Tuttavia abbiamo anche appreso che la Pentecoste è tuttora "in cammino", è tuttora incompiuta: esiste una moltitudine di lingue che ancora attendono la Parola di Dio contenuta nella Bibbia. Erano commoventi anche le molteplici testimonianze di fedeli laici da ogni parte del mondo, che non solo vivono la Parola di Dio, ma anche soffrono per essa. Un contributo prezioso è stato il discorso di un Rabbì sulle Sacre Scritture di Israele, che appunto sono anche le nostre Sacre Scritture. Un momento importante per il Sinodo, anzi, per il cammino della Chiesa nel suo insieme, è stato quello in cui il Patriarca Bartolomeo, alla luce della tradizione ortodossa, con penetrante analisi ci ha aperto un accesso alla Parola di Dio. Speriamo ora che le esperienze e le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati.

    Della presenza della Parola di Dio, di Dio stesso nell’attuale ora della storia si è trattato anche nei viaggi pastorali di quest’anno: il loro vero senso può essere solo quello di servire questa presenza. In tali occasioni la Chiesa si rende pubblicamente percepibile, con essa la fede e perciò almeno la questione su Dio. Questo manifestarsi in pubblico della fede chiama in causa ormai tutti coloro che cercano di capire il tempo presente e le forze che operano in esso. Specialmente il fenomeno delle Giornate Mondiali della Gioventù diventa sempre più oggetto di analisi, in cui si cerca di capire questa specie, per così dire, di cultura giovanile. L’Australia mai prima aveva visto tanta gente da tutti i continenti come durante la Giornata Mondiale della Gioventù, neppure in occasione dell’Olimpiade. E se precedentemente c’era stato il timore che la comparsa in massa di giovani potesse comportare qualche disturbo dell’ordine pubblico, paralizzare il traffico, ostacolare la vita quotidiana, provocare violenza e dar spazio alla droga, tutto ciò si è dimostrato infondato. È stata una festa della gioia – una gioia che infine ha coinvolto anche i riluttanti: alla fine nessuno si è sentito molestato. Le giornate sono diventate una festa per tutti, anzi solo allora ci si è veramente resi conto di che cosa sia una festa – un avvenimento in cui tutti sono, per così dire, fuori di sé, al di là di se stessi e proprio così con sé e con gli altri. Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.

    Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell’unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C’è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall’immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L’incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L’incontro con la Croce suscita nell’intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l’evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi: quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all’Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell’insieme, perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l’estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: "L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia". Secondo la Scrittura, la gioia è frutto della Spirito Santo (cfr Gal 5, 22): questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta.

    La gioia come frutto dello Spirito Santo – e così siamo giunti al tema centrale di Sydney che, appunto, era lo Spirito Santo. In questa retrospettiva vorrei ancora accennare in maniera riassuntiva all’orientamento implicito in tale tema. Tenendo presente la testimonianza della Scrittura e della Tradizione, si riconoscono facilmente quattro dimensioni del tema "Spirito Santo".

    1. C’è innanzitutto l’affermazione che ci viene incontro dall’inizio del racconto della creazione: vi si parla dello Spirito creatore che aleggia sulle acque, crea il mondo e continuamente lo rinnova. La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente, il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell’ordine matematico, nell’esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati, è più che matematica – è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta.

    Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine "gender", si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo – senza modificare il messaggio della creazione – ha poi accolto nella storia della salvezza come sacramento della nuova alleanza. Fa parte dell’annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l’Enciclica Humanae vitae: l’intenzione di Papa Paolo VI era di difendere l’amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell’uomo contro la sua manipolazione.

    2. Solo qualche ulteriore breve accenno circa le altre dimensioni della pneumatologia. Se lo Spirito creatore si manifesta innanzitutto nella grandezza silenziosa dell’universo, nella sua struttura intelligente, la fede, oltre a ciò, ci dice la cosa inaspettata, che cioè questo Spirito parla, per così dire, anche con parole umane, è entrato nella storia e, come forza che plasma la storia, è anche uno Spirito parlante, anzi, è Parola che negli Scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento ci viene incontro. Che cosa questo significhi per noi, l’ha espresso meravigliosamente sant’Ambrogio in una sua lettera: "Anche ora, mentre leggo le divine Scritture, Dio passeggia nel Paradiso" (Ep. 49, 3). Leggendo la Scrittura, noi possiamo anche oggi quasi vagare nel giardino del Paradiso ed incontrare Dio che lì passeggia: tra il tema della Giornata Mondiale della Gioventù in Australia e il tema del Sinodo dei Vescovi esiste una profonda connessione interiore. I due temi "Spirito Santo" e " Parola di Dio" vanno insieme. Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma: "Il Signore è lo Spirito" (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l’unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza: nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l’unità della Bibbia.

    3. Con ciò siamo ormai giunti alla terza dimensione della pneumatologia che consiste, appunto, nella inseparabilità di Cristo e dello Spirito Santo. Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli: il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell’uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio: "Abba, Padre!" (cfr Gv 20, 22; Rm 8, 15).

    4. Così, come quarta dimensione, emerge spontaneamente la connessione tra Spirito e Chiesa. Paolo, in Prima Corinzi 12 e in Romani 12, ha illustrato la Chiesa come Corpo di Cristo e proprio così come organismo dello Spirito Santo, in cui i doni dello Spirito Santo fondono i singoli in un tutt’uno vivente. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Corpo di Cristo. Nell’insieme di questo Corpo troviamo il nostro compito, viviamo gli uni per gli altri e gli uni in dipendenza dagli altri, vivendo in profondità di Colui che ha vissuto e sofferto per tutti noi e che mediante il suo Spirito ci attrae a sé nell’unità di tutti i figli di Dio. "Vuoi anche tu vivere dello Spirito di Cristo? Allora sii nel Corpo di Cristo", dice Agostino a questo proposito (Tr. in Jo. 26, 13).

    Così con il tema "Spirito Santo", che orientava le giornate in Australia e, in modo più nascosto, anche le settimane del Sinodo, si rende visibile tutta l’ampiezza della fede cristiana, un’ampiezza che dalla responsabilità per il creato e per l’esistenza dell’uomo in sintonia con la creazione conduce, attraverso i temi della Scrittura e della storia della salvezza, fino a Cristo e da lì alla comunità vivente della Chiesa, nei suoi ordini e responsabilità come anche nella sua vastità e libertà, che si esprime tanto nella molteplicità dei carismi quanto nell’immagine pentecostale della moltitudine delle lingue e delle culture.

    Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono; e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Come Paolo qualifica la gioia frutto dello Spirito Santo, così anche Giovanni nel suo Vangelo ha connesso strettamente lo Spirito e la gioia. Lo Spirito Santo ci dona la gioia. Ed Egli è la gioia. La gioia è il dono nel quale tutti gli altri doni sono riassunti. Essa è l’espressione della felicità, dell’essere in armonia con se stessi, ciò che può derivare solo dall’essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Fa parte della natura della gioia l’irradiarsi, il doversi comunicare. Lo spirito missionario della Chiesa non è altro che l’impulso di comunicare la gioia che ci è stata donata. Che essa sia sempre viva in noi e quindi s’irradi sul mondo nelle sue tribolazioni: tale è il mio auspicio alla fine di quest’anno. Insieme con un vivo ringraziamento per tutto il vostro faticare ed operare, auguro a tutti voi che questa gioia derivante da Dio ci venga donata abbondantemente anche nell’Anno Nuovo.

    Affido questi voti all’intercessione della Vergine Maria, Mater divinae gratiae, chiedendoLe di poter vivere le Festività natalizie nella letizia e nella pace del Signore. Con questi sentimenti a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

  • domenica 21 dicembre 2008

    Ortodossia... arrivata! Gratitudine... dimostrata! Allegria... distribuita!

    Molti dei lettori sapranno dell'iniziativa della Società Chestertoniana e di padre Roberto Brunelli, frate minore conventuale, di pubblicare una nuova edizione strenna dell'Ortodossia di Chesterton. L'opera è stata fatta e allora uno degli amici che ce ne aveva richieste delle copie l'ha ricevute e ci ha mandato questo bel messaggio che vogliamo parteciparvi per la sua immediatezza:

    «Cari amici chestertoniani,

    mi è stato appena recapitato il libro (edizione bellissima). Vi ringrazio davvero di avermi reso partecipe di questa bella iniziativa.
    Nel salutarvi, sperando di non avervi disturbato, desidero rivolgervi, in occasione del Santo Natale, un beneaugurante pensiero, condividendo con voi uno dei passi a me più cari del libro ("Gesù di Nazaret") di un altro Uomo Vivo, Papa Benedetto:

    "Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato?
    La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio. Quel Dio, il cui volto si era prima manifestato a poco a poco da Abramo fino alla letteratura sapienziale, passando per Mosè e i Profeti - quel Dio che solo in Israele aveva mostrato il suo volto e che, pur sotto molteplici ombre, era stato onorato nel mondo delle genti -questo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio vero Egli ha portato ai popoli della terra.
    Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto, ora noi possiamo invocarlo. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza; la fede, la speranza e l'amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Sì, il potere di Dio nel mondo è silenzioso, ma è il potere vero, duraturo. La causa di Dio sembra trovarsi continuamente come in agonia. Ma si dimostra sempre come ciò che veramente permane e salva. I regni del mondo, che Satana poté allora mostrare al Signore, nel frattempo sono tutti crollati. La loro gloria, la loro doxa, si è dimostrata apparenza. Ma la gloria di Cristo, la gloria umile e disposta a soffrire, la gloria del suo amore non è tramontata e non tramonta".

    Grazie e buon Natale!

    Filippo».

    E' allora spontaneo e cosa buona ed istruttiva associare alla gratitudine di Filippo quello che pensa Chesterton di gratitudine ed altro proprio in Ortodossia:

    «La misura di ogni felicità è la riconoscenza. Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino. L'indovinello dice: "Che disse il primo ranocchio?" La risposta è questa: "Signore come mi fai saltare bene". In succinto c'è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare».

    G. K. Chesterton, Ortodossia

    venerdì 19 dicembre 2008

    Eluana Englaro - Mirabelli (ex presidente della Corte Costituzionale): il documento Sacconi è legittimo. La sentenza Englaro? "Creativa"

    Il provvedimento del Ministro Maurizio Sacconi ha ricreato nella giornata di ieri i soliti schieramenti contrapposti tra i “sostenitori” del potere giudiziario e quelli del potere politico con reciproci scambi di accuse sulla liceità di provvedimenti o sentenze e accuse di invasioni di campo. Per Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, raggiunto da ilsussidiario.net, la polemica sembra però essere di piccolo cabotaggio: «ci può essere un’interferenza in quanto agli effetti ma ciascuno ha esercitato i suoi poteri. Si può anche ritenere che questo atto non sia legittimo nei suoi contenuti, ma chi lo ritiene ha la possibilità di attivare quegli strumenti di reazione giuridica che l’ordinamento prevede».

    Presidente Mirabelli, il suo giudizio personale su questo provvedimento qual è?

    Il mio giudizio è che siamo di fronte a una direttiva di carattere generale e non a una “contro-sentenza”. Non si tratta infatti di una direttiva che va “contro” la sentenza della Cassazione, perché si pronuncia sua una situazione che riguarda molte persone ed è rivolta alle strutture sanitarie, nel pieno esercizio di una competenza che il ministro ha: è un atto di indirizzo e di comportamento per garantire una uniformità di comportamento sul territorio nazionale. Si rivolge alle strutture pubbliche o convenzionate, ma non riguarda nello specifico la condizione di Eluana o il “caso Englaro”, sebbene possa avere certamente dei riflessi su questa situazione.

    In che senso?

    La sentenza che riguarda Eluana autorizza il tutore ad attuare quella che è stata ritenuta – esattamente o meno – la volontà di Eluana, cioè di non ricevere quelli che sono stato qualificati come atti invasivi di natura medica e, quindi, terapie. L’atto di indirizzo e coordinamento si rivolge invece alle strutture sanitarie, che non sono le destinatarie del provvedimento, dal momento che la sentenza non le obbliga a cooperare a quella richiesta; l’atto inoltre, in conformità a orientamenti dati dal Comitato Nazionale per la Bioetica e dalla Convenzione Onu sulle persone disabili, stabilisce che in presenza di uno stato di disabilità sarebbe discriminatorio non dare a questi soggetti il sostegno adeguato per l’alimentazione e l’idratazione. Sotto questo aspetto si rivolge a chi dovrebbe compiere questi atti, escludendo appunto che sia possibile compierli nelle strutture alle quali questo documento si rivolge.

    In un comunicato dall'avvocato della famiglia Englaro, si legge che “la lettera del ministro, la quale non è atto amministrativo vincolante né ha contenuto prescrittivo, non è idonea a produrre alcun effetto giuridico sull'attuazione dei pronunciamenti della Corte di Cassazione e della Corte di Appello di Milano concernenti l'interruzione dei trattamenti di Eluana Englaro”. E' una interpretazione corretta?

    Da un lato è corretta, ma dall’altro la sentenza non può imporre alle strutture pubbliche di compiere un atto omissivo o di sottrazione dell’alimentazione. Non c’è un contrasto diretto, ma la sentenza non può costituire un obbligo per altri soggetti o per strutture ad attivarsi per compiere gli atti necessari a che Eluana Englaro sia lasciata senza cibo e acqua. Io credo che questo atto, che legittimamente - per quanto riguarda le competenze – il Ministro ha compiuto, ha una sua efficacia e quindi se qualcuno ritiene che ci sia la lesione di un diritto o una illegittimità può rivolgersi alle sedi giudiziarie competenti. Ma l’atto, nello stato in cui si trova, è valido ed efficace.

    Il sottosegretario Roccella dalle colonne di questo giornale ha sottolineato fortemente la connotazione di politica sociale del provvedimento: "Si tratta dell’idea che la vita di Eluana e delle persone che vivono nella sua stessa condizione sia una vita di “serie B”, e quindi non degna di essere vissuta. Ma questo è un concetto umanamente e socialmente inaccettabile". Lei cosa ne pensa?

    Non ci può essere una discriminazione nella dignità della vita, quale che sia il momento o le modalità nelle quali viene vissuta. E’ una linea di principio che mi pare corretta e il provvedimento è in linea con questo principio, cioè la dignità di una vita non viene giudicata dalla qualità della stessa, con cui si introdurrebbe un metro di giudizio soggettivo. Altro problema è quello della volontà di accettare o meno alcune terapie rispetto ad altre; ma questo discorso introduce il problema del consenso informato rispetto alle scelte terapeutiche che deve essere in qualche misura attuale e sulla base direi di un rapporto di dialogo con il medico. Sotto questo aspetto è una situazione complessa, ed è difficile dire della rilevanza di una dichiarazione o addirittura di un comportamento o una posizione ideale nei confronti di una posizione futura ed ipotetica che possa valere come una decisione presa sulla base di un consenso attuale ed informato. Nel caso poi della sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione – qui introduciamo un altro elemento di carattere ancor più generale – si tratta di capire se costituiscano un atto terapeutico o siano un trattamento elementare in qualche modo comunque dovuto.

    Mi pare di capire che lei dissente rispetto ai “presupposti” su cui si basa la sentenza su Eluana…

    Mi pare che sia molto “creativa” la sentenza della Cassazione. Ovviamente si tratta di problemi molto complessi nei quali la discussione è aperta e che vanno affrontati avendo presente la drammaticità di alcune situazioni e, d’altra parte, quelle che possono essere le esigenze di tutela della persona e della dignità della persona non distinguendo una vita che ha qualità e una “senza” qualità.

    In molti concordano nel dire che un decreto legge avrebbe chiuso ogni discussione, ma la ricerca di una legge condivisa da approvare in parlamento sul fine vita sta allungando i tempi. Come auspica sia il comportamento della magistratura durante questo periodo di lavoro della politica?

    La magistratura nei suoi tempi non è condizionata dall’andamento del percorso politico, quindi si comporta secondo quello che l’ordinamento in atto prevede. Sarebbe opportuno di fatto, e quindi anche nel comportamento di tutti, attendere quello che è una soluzione legislativa a questi problemi; ma – ripeto – anche qui non c’è alcun dovere della magistratura di attendere nel prendere le sue decisioni. Ci può essere nell’ambito di queste decisioni una diversità di orientamenti giurisprudenziali, questo non è dato a prevedere…

    India - Orissa: ucciso il catechista assalito dai fondamentalisti indù



    di Nirmala Carvalho

    Yuvraj Digal, 40 anni, era stato picchiato in maniera brutale da una folla di 20 persone. Dopo il pestaggio si erano perse le sue tracce e si temeva un rapimento. Oggi la conferma della morte con il ritrovamento del cadavere.


    Bhubaneshwar (AsiaNews) – È stato ucciso il catechista scomparso il pomeriggio del 16 dicembre dopo aver subito un assalto da parte di una folla di estremisti indù. Yuvraj Digal, 40 anni, era originario del villaggio di Kanjamedi, nel distretto di Kandhamal (Orissa). Egli era un catechista stimato ed era considerato un leader all’interno della comunità cristiana locale.

    Fonti di AsiaNews confermano che il suo corpo è stato ritrovato quest’oggi privo di vita, a causa delle violenze subite durante l’attacco. Verso le 18.30 del 16 dicembre Yuvraj Digal e il figlio – Bidyadhar, 20 anni – stavano rientrando a casa dal villaggio di Tikabali – distante circa 50 chilometri – a bordo di un motociclo. Secondo il racconto fornito dal figlio Bidyadhar, nei pressi del villaggio di Sitapanga il duo si è imbattuto in “un gruppo di una ventina di persone” che ha riconosciuto Yuvra e lo “ha fermato, insultato e picchiato duramente e senza alcuna pietà”. Il figlio è riuscito a sfuggire all’assalto della folla e ha subito chiesto aiuto ad una stazione della polizia poco distante dal luogo dell’assalto. Gli agenti hanno avviato le ricerche, ma del padre si era persa ogni traccia.

    Bidyadhar riferisce che il gruppo di assalitori era formato da una ventina di elementi. La folla, prima di procedere al brutale pestaggio, ha accusato il catechista e il figlio di essere coinvolti nell’assassinio dello Swami Laxmanananda Saraswati.

    Da tempo i gruppi radicali indù hanno lanciato una campagna sistematica contro sacerdoti, suore e catechisti, primi responsabili di conversioni di Dalit e Tribali al cattolicesimo. Dalla fine di agosto il pogrom anti-cristiano ha causato circa 500 morti.

    Eluana Englaro - Gambino: la sentenza non è esecutiva. Gli ospedali devono seguire le indicazion

    Com’era forse prevedibile, l’intervento del ministero della Salute, con cui si dà indicazione precisa agli ospedali del Servizio sanitario nazionale di non mettere in atto l’abbandono di un disabile grave, ha provocato forti reazioni. “Diktat” del ministero, è stato definito da alcuni giornali. Ma veramente si tratta di un intervento imperioso calato dall’alto? È un atto ostruzionistico, o invece un’azione con piene motivazioni dal punto di vista giuridico? Alberto Gambino, ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile nell’Università Europea di Roma, è convinto non solo della legittimità, ma anche dell’assoluta opportunità di questo intervento.

    Professor Gambino, quali sono i fondamenti normativi che hanno portato il ministero a fare questo atto?

    L’atto di indirizzo si fonda intanto su quelle che sono niente meno che le prerogative stesse del ministro della Salute, che per disposizione costituzionale deve garantire su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute per tutti i cittadini. Si tratta di un interesse pubblico, e in quanto tale non può che avere una guida e una direzione imputata agli organismi centrali dello Stato, nel caso specifico il ministero della Salute. Questo il motivo per cui il ministero può a pieno titolo emanare direttive e atti di indirizzo, rivolte agli enti regionali, dal momento che la sanità è organizzata su base regionale. Pertanto bisogna affermare che l’atto riguardante il non abbandono della persone disabili, che si ripercuote sul caso Englaro, non solo è legittimo, ma è anzi opportuno. L’opportunità dell’atto non riguarda poi solo l’aspetto procedurale, ma anche il merito, dato che il dibattito sul fatto che alimentazione e idratazione possano in certe condizioni essere considerate trattamento sanitario è decisamente aperto.

    Che cosa si può dire di certo su questo ultimo aspetto? C’è chi insiste nel dire che l’alimentazione forzata sia accanimento terapeutico.

    Quel che si può dire con certezza è che la questione è ampiamente dibattuta. Basta guardare i diversi disegni di legge sull’argomento. E si tratta per altro di disegni approntati da politici che hanno notevole esperienza in capo medico, a dimostrazione che è proprio tra gli esperti che manca l’accordo. Le ipotesi sono le più diverse: c’è chi parla di alimentazione e idratazione come di un trattamento sanitario; chi avanza l’ipotesi che si tratti di accanimento terapeutico; chi invece dice che non è nemmeno trattamento sanitario, ma semplice accudimento della persona. In un momento in cui non c’è certezza sull’argomento, la politica però non può sottrarsi dal dare delle indicazioni nazionali. Non potremmo certo accettare che ogni Regione decida di testa propria, dal momento che il diritto alla salute è un diritto di tutta la collettività, così come previsto dalla Costituzione italiana, e non un semplice diritto del singolo, come ad esempio previsto dall’ordinamento americano.

    Vediamo le conseguenze normative di questo atto: cosa deve fare adesso un ospedale, che si trovasse indeciso tra l’atto di indirizzo del ministero e la sentenza sul caso Englaro?

    La sentenza del tribunale autorizza un'unica persona, cioè il tutore, a interrompere il trattamento per Eluana Englaro. Il tutore, e nessun altro che il tutore. La sentenza si ferma lì. Le modalità con cui il tutore può porre in essere sono poi indicate, ma non sono obbligatoriamente esercitabili in struttura pubblica sanitaria. L’atto del ministro è invece specificamente indirizzato alle sue amministrazioni, le quali fino a prova contraria non possono fare altro che seguire la linea nazionale. In caso contrario ci troveremmo ad avere venti diversi tipi di Sanità; il che, evidentemente, non è costituzionale. Quindi le strutture non possono far altro che seguire l’indirizzo del ministero. Questo è semplicemente l’“abc” della giurisdizione dello Stato, secondo quanto dice l’articolo 32 della Costituzione. Quindi è sorprendente che ci possano essere reazioni contrarie. Certo, altro discorso è poi quello del tutore: su di lui l’atto del ministero non ha ripercussioni. Il tutore potrà fare quello che si sente di fare in coscienza; e in virtù della sentenza, quello che solitamente sarebbe considerato un reato qui non lo è.

    Il giudice della Corte d’Appello di Miano, Filippo Lamanna, ieri ha detto però che la sentenza è ormai esecutiva, a prescindere dall’atto del ministero: è così?

    La sentenza non è esecutiva, per il semplice motivo che non c’è un obbligo in capo a qualcuno. Se il dottore volesse, può (non deve, può) decidere di staccare il sondino con cui Eluana viene nutrita. Questo fa capire con tutta evidenza che la sentenza non è esecutiva: è un decreto di attuazione che dà un potere discrezionale, che come tale è in contraddizione con le sentenze esecutive. Le sentenze esecutive, per intendersi, sono quelle di condanna, in cui interviene la forza pubblica per effettuare quanto previsto dalla sentenza stessa. I decreti di attuazione della sentenza sul caso Englaro, invece, non sono suscettibili di esecuzione forzata, perché lasciano la discrezionalità al tutore. Non si dice che si deve per forza far cessare l’alimentazione. Parlare di sentenza esecutiva è quindi un’interpretazione del tutto erronea.

    Ipocriti

    "Eluana sarà accompagnata da venti volontari esterni alla clinica udinese che lavoreranno gratuitamente negli ultimi giorni di vita", viene detto con ripetizione pressoché da disco rotto dai cosiddetti giornalisti (sui quali cada la totale condanna del nostro Chesterton).

    Accompagnata: sarà portata a morire, e lì la uccideranno. Pensate che aberrazione: è come se prendessimo nostra figlia e dicessimo: vieni, andiamo a fare una bella partita a mosca cieca, ed invece la buttiamo giù dal precipizio.

    Volontari: una volta l'executor mortis (il boia) veniva pagato bene, perché faceva un lavoro considerato sporco ma ritenuto (purtroppo ed erroneamente) necessario. Oggi è ritenuto così nobile e bello da non dover essere sporcato con i soldi (anche questa è una forma di ipocrisia).

    Tutto ciò fa schifo alla ragione, prima ancora che alla morale.

    Ipocriti, come diceva Nostro Signore Gesù Cristo, cioè attori.

    giovedì 18 dicembre 2008

    Risvegliata una ragazza in stato vegetativo a Torino con una nuova tecnica.

    Cliccate il titolo.

    E' un articolo di Repubblica, va letto il fatto nudo e crudo che è la conferma che comunque queste persone sono vive, vitali e capiscono tutto e che si può lavorare per farli stare meglio.

    Il resto delle considerazioni lasciatele stare, Repubblica trova spunto anche da queste cose per dimostrare che Eluana deve morire.

    Dice padre Livio di Radio Maria che loro sono atei, e come disse Dostoevskji, morto Dio tutto è possibile.

    Spade s'incroceranno..

    Abbiamo ballato...

    Un aforisma al giorno - 85

    "Un funerale fra gli uomini è forse una festa fra gli angeli".

    G. K. Chesterton

    Mons. Angelo Amato sostiene (azzeccandoci) che in Spagna avanza la statolatria.



    da IlGiornale.it

    Roma - In Spagna sta avanzando l’indottrinamento laico, la "statolatria", ovvero l’ingerenza dello Stato nella vita personale di ognuno. A denunciarlo, con parole molto forti in un’intervista alla rivista "Il Consulente Re", è monsignor Angelo Amato, attuale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, già ex segretario della Dottrina della Fede, ed amico personale di Papa Ratzinger.

    Indottrinamento "Ovviamente qui a Roma noi sappiamo bene di questo grave problema", ha osservato il presule, che quasi certamente diverrà cardinale nel prossimo concistoro. "Fortunatamente - ha aggiunto - possiamo contare su una Chiesa spagnola che ha approfondito seriamente il problema e ha dato una risposta pubblica e chiara, in base al principio cattolico della difesa della libertà religiosa e dei principi della dignità della vita e di ogni persona". "La questione - ha aggiunto - è che in tutta Europa si sta introducendo la categoria della cosiddetta biopolitica. Lo Stato cioè entra sempre più nella vita personale di ognuno: obbliga le famiglie a scegliere determinate scuole con determinate materie, non d’istruzione ma d’indottrinamento".

    La statolatria rientra dalla finestra "Avanza - ha aggiunto - la statolatria, che, apparentemente eliminata, rientra dalla finestra. Certo la Chiesa in Spagna è molto reattiva, sta reagendo molto bene con grande dignità e grande fermezza a un’intrusione statale assolutamente illegittima sul tema dell’educazione dei propri giovani". Sono considerazioni che mons. Amato ha fatto, partendo dalle cosidette "leggi etiche" del governo Zapatero, tra cui l’introduzione nelle scuole dell’ "Educazione alla cittadinanza".

    "L'Osservatore Romano" a Fini: "meschino opportunismo politico"


    A proposito delle dichiarazioni sulle leggi raziali del 1938

    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 dicembre 2008 (ZENIT.org).- "L'Osservatore Romano" ha qualificato come frutto di un "meschino opportunismo politico", le dichiarazioni circa l'atteggiamento della Chiesa di fronte alle leggi razziali emanate nel 1938 in Italia, rilasciate questo martedì da Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei deputati italiana.
    "Di certo, sorprende e amareggia il fatto che uno degli eredi politici del fascismo - che dell'infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze - chiami ora in causa la Chiesa cattolica. Dimostrando approssimazione storica e meschino opportunismo politico", afferma il quotidiano vaticano, nell'edizione del 18 dicembre, in un articolo senza firma.
    In occasione di un convegno per il 60° anniversario dell'introduzione delle leggi razziali in Italia, Fini aveva detto: "Ma l'ideologia fascista non spiega da sola l'infamia. C'è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica".
    Non è vero che la Chiesa italiana non si oppose alle leggi razziali del 1938, ha puntualizzato subito la “Radio Vaticana”, intervistando due autorevoli contemporaneisti che hanno dedicato importanti studi al periodo in questione: Francesco Malgeri, dell'università di Roma “La Sapienza”, e Andrea Riccardi, dell'università di “Roma Tre”.
    I silenzi di un Paese intero titola oggi in prima pagina il “Corriere della Sera”, riportando un dettagliato articolo del Vicedirettore Pierluigi Battista che mostra come quasi tutti gli intellettuali, senatori e antifascisti tacquero allora.
    "Fini 'scivola' su leggi razziali e Chiesa", ha titolato invece ieri sul suo sito in rete "Avvenire", che critica anche il leader del Partito democratico, Walter Veltroni, il quale nel pomeriggio di ieri aveva definito l'analisi di Fini "di una verità palmare".

    mercoledì 17 dicembre 2008

    Sulle cose storicamente inesistenti dette dal signor Gianfranco Fini e confermate dal signor Walter Veltroni e da tanti altri sulle leggi razziali

    Dal blog di Andrea Tornielli.
    Cliccando il nostro titolo, potete leggere l'articolo che Tornielli dedica all'argomento.

    (...) Chi ha scritto il discorso del presidente della Camera ha commesso a mio avviso un’imprudenza, perché da quel passaggio ne veniva l’idea di una Chiesa acquiescente e muta di fronte alla legislazione antisemita. Le cose non stanno così: Pio XI parlò subito dopo la pubblicazione del “Manifesto della razza” per tre volte, al punto che il governo fascista (che non amava le opposizioni, come insegna il caso Matteotti, e forse Fini facendo chiamate in correità alla Chiesa e alla società italiana lo dimentica un po’ troppo facilmente) mise il bavaglio agli organi di stampa cattolica proibendo per decreto che prendessero posizioni contrarie. Dopo la promulgazione delle leggi razziali, il Vaticano fece il possibile, con trattative tesissime, per mitigarne - invano - gli effetti. Come ha ricordato padre Sale, Pio XI fu l’unica autorità pubblica a intervenire contro la discriminazione degli ebrei. Capisco la necessità di Fini di chiudere certe pagine di storia, ma devo dire che mi ha piuttosto sconcertato sentire richiami alla Chiesa e alla società italiana da un esponente politico che ha militato in un partito che per anni ha fatto riferimento a radici innestate nel Ventennio. Le leggi razziali non le hanno promulgate la Chiesa o la società italiana, ma il governo di Benito Mussolini. Il presidente della Camera, vista la sua figura istituzionale, poteva chiarire meglio il senso del suo discorso. Ma evidentemente lui - o chi glielo ha scritto - non conosceva bene quella pagina di storia, come ha dichiarato il gesuita padre Sale, che su “Civiltà Cattolica” ha affrontato più volte l’argomento sulla base dei documenti degli archivi vaticani.
    Rassegna stampa del Forum delle Famiglie del 17 Dicembre 2008
    17 Dicembre 2008 - Liberazione
    Ru486
    SI PARLA DI NOI :: L'Aifa ritarda il via libera 71 KB

    17 Dicembre 2008 - Avvenire
    Eutanasia
    SI PARLA DI NOI :: ELUANA. In piazza per il diritto di vivere 114 KB

    17 Dicembre 2008 - Sole24ore
    Eutanasia
    ELUANA. Niente stop all'alimentazione negli ospedali 155 KB

    17 Dicembre 2008 - Piccolo
    Eutanasia
    ELUANA. Fermato il trasferimento in Friuli 105 KB

    17 Dicembre 2008 - CorrieredellaSera
    Eutanasia
    ELUANA. I giuristi si dividono 104 KB

    17 Dicembre 2008 - Repubblica
    Eutanasia
    ELUANA. Sofri: se una sentenza non vale nulla 91 KB

    17 Dicembre 2008 - CorrieredellaSera
    Politiche Familiari
    LOMBARDIA. Otto milioni per le famiglie 71 KB

    17 Dicembre 2008 - Giornale
    Politiche Familiari
    MILANO, in arrivo il bonus spesa 146 KB

    17 Dicembre 2008 - Foglio
    Ru486
    Mozione d'ordine 93 KB

    17 Dicembre 2008 - Avvenire
    Parità Scolastica
    Open day contro i tagli 83 KB

    16 Dicembre 2008 - Avvenire
    Senza famiglia l'Europa muore 66 KB

    17 Dicembre 2008 - Sole24ore
    Volontari: record di associazioni 109 KB

    16 Dicembre 2008 - Libero
    I papa laici danno lezione a Ratzinger 152 KB

    martedì 16 dicembre 2008

    Eluana Englaro - Intesa su una clinica a Udine Lo stop del ministero.

    Da IlGiornale.it

    Udine - C'è l'accordo. I legali della famiglia Englaro hanno stabilito tutti i dettagli con la clinica friulana "Città di Udine". Un protocollo di natura legale che stabilisce le modalità per l’esecuzione a Udine della sentenza della Cassazione su Eluana. Il documento legale - anticipato oggi dal Messaggero Veneto e del quale si è avuta conferma in serata a Udine - è stato concordato al termine di una serie di incontri, che si si sono svolti a Milano e Udine e che si sono conclusi nella giornata di ieri. La donna di origine friulana, che da 17 vive in stato vegetativo, potrebbe così essere trasportata da Lecco a Udine. Nessun particolare è trapelato sui tempi dell’eventuale trasferimento.

    Il trasferimento Eluana trascorrerà gli ultimi giorni a Udine. Dopo voci e smentite, l'accordo tra la famiglia della donna in stato vegetativo da 17 anni e la casa di cura "Città di Udine" è stato trovato. Nessuna conferma ufficiale, ma forse già domani ci sarà il trasferimento dalla clinica Talamoni di Lecco, dove Eluana è ricoverata. Ad accoglierla dovrebbe essere il primario udinese di rianimazione, il professor Amato De Monte, luminare di anestesia che da tempo era in contatto con il padre di Eluana, Beppino e aveva dato la propria disponibilità.

    Lo stop del ministero In qualsiasi struttura del servizio sanitario pubblico, sia essa pubblica, convenzionata o privata abilitata, non è possibile interrompere idratazione e nutrizione ai pazienti che si trovano in stato vegetativo. Unica deroga, il fatto che questi trattamenti che non sono considerati "medicali, ma di assistenza" vengano rifiutati dal fisico del malato. È quanto il senso dell’atto di indirizzo generale che il ministro del Lavoro e della Salute, Maurizio Sacconi, ha inviato a tutte le Regioni italiane e che tiene conto del parere del comitato nazionale per la bioetica, della convenzione sui diritti delle persone con disabilità dell’Onu e dell’articolo 32 della Costituzione italiana.

    Il caso Eluana Gli effetti di questo provvedimento sono evidenti sul caso di Eluana Englaro, anche se Sacconi ha ribadito più volte che "si tratta di un atto di ricognizione generale per fare chiarezza: era nostro dovere compierlo per non essere farisaici, non considerando l’incertezza che si sarebbe determinata nelle strutture del servizio sanitario nazionale". Le strutture che non si attengono a questo provvedimento compiono "un’illegalità" ha aggiunto Sacconi. In base a questo atto non sarà possibile interrompere l’alimentazione e l’idratazione per Eluana Englaro in strutture appartenenti al servizio sanitario nazionale. "Nel decreto della Corte d’appello del resto - ha sottolineato il sottosegretario Eugenio Roccella - non si parla di strutture pubbliche. Si danno delle indicazioni su un singolo caso ma non c’è il riconoscimento di un diritto".