sabato 29 novembre 2008

Di chi sarò questo cappello?

... ma è di Gilbert!

Sta nel Centro Studi del professor Caldecott (di cui Lindau pubblicherà presto un saggio) ad Oxford. E lì ci sono altre "memorabilia" (come amano dire da quelle parti per indicare le cose appartenute a qualcuno particolarmente importante...) del nostro caro Gilbert.

Chissà a quanti voli, a quante folate di vento, a quante dimenticanze sarà sopravvissuto...

venerdì 28 novembre 2008

Ortodossia per Natale!

Carissimi Chestertoniani e simpatizzanti,

raccolgo molto volentieri e spingo dinanzi a voi la bella graditissima, fantastica iniziativa del nostro amico padre Roberto Brunelli (qualcuno di voi lo conosce, venne qualche anno fa alla Festa in cui facciamo anche il Chesterton Day e disse pure la messa in suffragio di Gilbert e Hilaire! Io ho pensato che a questo punto potremmo chiamarlo padre Roberto Brownelli...) che trovate qui in calce.
Vi chiedo di aderire al più presto, se vogliamo fare questo bellissimo regalo ai nostri amici.
Padre Vincent McNabb, amico del cuore di Gilbert, diceva di possedere solamente la sua tonaca di frate domenicano, la Bibbia, il Breviario e la Summa di san Tommaso d'Aquino: un vero chestertoniano dovrebbe in aggiunta a ciò possedere a memoria l'Ortodossia di Chesterton!
E' un'ottima occasione per averla a prezzo oserei dire ridicolo e di fare un regalo di grande valore e personalissimo.
Vi preghiamo di farci sapere qualcosa entro e non oltre la serata di lunedì 1 Dicembre 2008.
Il tempo stringe.

Grazie!

"Carissimo, sono fra Roberto Brunelli, un frate francescano della Marche. Oltre a essere viceparroco a Pesaro mi interesso di editoria religiosa e ho pubblicato per il nostro Centro Missionario Francescano alcune vite di santi e altri libri di spiritualità cristiana.
Quest'anno mi è prepotentemente balzata in testa l'idea di ripubblicare in edizione economicissima, a 100 anni di distanza dalla sua prima uscita (Londra 1908) , lo straordinario volume "Ortodossia" di Chesterton.
Saltando case editrici e distribuzioni varie (avendo un amico tipografo che mi pubblica a stracciato), sto cercando 50 Chestertoniani di ferro che acquistino 50 copie del volume ad un prezzo vertiginosamente basso: solo 2 euro l'uno!
L'altra cosa simpatica è che i nomi di chi ha promosso questa edizione saranno stampati sul libro, a perenne memoria della sana passione verso GKC.
Il testo sarà accompagnato da illustrazioni dello stesso Chesterton, uscite sul volume The coloured lands, mai pubblicato in Italia.
Le copie ordinate vi saranno consegnate per posta entro il 15 dicembre, giusto in tempo per essere depositate sotto l'albero di Natale dei vostri amici.
Se la cosa vi garba inviate la vostra adesione al progetto, entro il 20 novembre, scrivendo alla mia email:laperlapreziosa@libero.it

Il Signore vi dia la Pace!
fra Roberto Brunelli

P.S. Se volete vi mando in pdf la bozza del lavoro
Se conoscete qualche altro fissato di GKC avvisatelo voi del progetto!".

Marco Sermarini, presidente SCI

"La carità cambia la vita" - Torna la Colletta Alimentare, giunta alla dodicesima edizione.



Come sempre organizzata dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus e CDO Impresa Sociale, con la collaborazione dei Volontari Vincenziani, l'Associazione Nazionale Alpini e tanti tanti volontari e buona gente, l’iniziativa si svolge ogni anno, l’ultimo sabato di novembre.

Pochi giorni fa l’ISTAT ha rilevato il forte aumento della povertà in Italia che ora tocca il 12,8% della popolazione. Così il Banco Alimentare rinnova l’invito, per sabato 29 novembre, ad un gesto di carità e alla condivisione del bisogni.

Sarà infatti possibile consegnare in oltre 7600 supermercati parte della propria spesa da devolvere in beneficenza ai centomila volontari che impegnati in tutta Italia. Tutti gli alimenti raccolti saranno distribuiti a 8500 enti convenzionati con il Banco Alimentare. per lo più mense per i poveri, comunità per minori, banchi di solidarietà o centri d’accoglienza.

Troverete sul sito della Fondazione Banco Alimentare (cliccate qui) l'elenco di tutti i supermercati aderenti.

Comunque, andando in giro, se vedrete delle persone con una pettorina gialla su cui campeggia una formichina affaccendata a portare la spesa (come quella qui sopra!), bene, lì fanno la Colletta Alimentare! Fermatevi e fate qualcosa!

La Società Chestertoniana Italiana invita caldamente tutti i soci, gli amici e i simpatizzanti a collaborare fattivamente alla Colletta, aiutando, comprando e versando offerte alla Fondazione!

Katyn, un film da non perdere.

Qui sotto in calce al post trovate il trailer del film Katyn.
Forse non tutti conoscono questa storia, una delle tante taciute dal comunismo.

E' stato definito un capolavoro, questo film presentato fuori concorso a Torino, al Festival, Katyn di Andrzej Wajda (regista di film come L’uomo di marmo, L’uomo di ferro, Danton), sul massacro stalinista di decine di migliaia di soldati polacchi durante la seconda guerra mondiale.
Con stile secco e incalzante, Wajda rievoca la tragedia di un popolo, invaso due volte – dai nazisti a ovest, dai sovietici ad est – e di cui la classe dirigente viene sterminata. Se i nazisti occupano le università e deportano nei campi di concentramento professori universitari, Stalin e i suoi architettano l’eliminazione scientifica di un’intera leva di ufficiali dell’esercito, di leva o provenienti dalla società civile in posizioni di prestigio. Oltre 12.000 ufficiali, più qualche migliaio di soldati semplici, furono deportati e uccisi uno ad uno con un colpo alla nuca nel 1941, attorno alla foresta di Katyn. Un massacro addossato ai nazisti, nonostante i tanti superstiti o parenti cercassero di proclamare la verità. Qualcuno lo fece, pagando con la vita; altri preferirono il silenzio, per cercare di ricostruire dalle macerie un popolo.
Solo dopo la caduta del muro di Berlino la verità è emersa.

Ma non è solo un documento storico, Katyn. È la rievocazione di un popolo orgoglioso delle proprie radici e saldo nella propria fede (da commozione vedere gli ufficiali andare incontro alla la morte recitando il Padre Nostro), è il racconto delle donne che aspettavano a casa invano mariti, padri, figli e che spesso dovettero scegliere tra la verità e la vita. Un film bellissimo, da non perdere, che riapre una pagina che pochi conoscono e che è fondamentale conoscere.


Chesterton amava profondamente la Polonia.

giovedì 27 novembre 2008

Esce il San Tommaso d'Aquino per Fede&Cultura


Ci permettiamo di sottolineare che questa edizione contiene la prefazione di Fabio Trevisan, nostro socio e protagonista di molti Chesterton Day.
L'editore è Fede e Cultura.

“Nessuno potrà cominciare a capire la filosofia tomistica, o anche la filosofia cattolica, se non comprenderà che la parte primaria e fondamentale di essa non è altro che l’esaltazione della vita, l’esaltazione dell’Essere, l’esaltazione di Dio in quanto creatore del mondo”. Con questa frase tratta dal suo saggio su S. Tommaso, Chesterton sintetizza in modo mirabile il profilo popolare ed appassionante del grande santo della Chiesa Cattolica. Chesterton rivela, con una maestria impareggiabile ed uno stile paradossale, quella connaturalità al vero, al bello e al buono che ci fa pensare, ci fa sorridere e spesso commuovere. Dio, l’uomo ed ogni altra cosa del creato meritano di essere conosciuti ed amati: è questo il pensiero fecondo di S. Tommaso, al quale Chesterton aderisce pienamente. In questo saggio, Chesterton antepone alla follia dell’uomo moderno la filosofia perenne di S .Tommaso, poiché essa è la più vicina all’uomo della strada, cioè a colui che cerca in modo semplice come stanno davvero le cose. Ecco condensarsi così in poche righe un’intuizione folgorante di intensa bellezza: “La vita è una storia viva, con un grande inizio e un gran finale, che ha le sue radici nella primigenia gioia di Dio”.


Pagine 112
Altezza 21
Larghezza 15
Tipo di copertina: brochure
Prezzo: € 13,00 (estero 22,00)
Isbn: 978-88-89913-91-8

Islam - Migliaia di musulmani assediano chiesa copta al Cairo

Nel giorno dell’inaugurazione di una chiesa nei sobborghi della capitale egiziana, i dimostranti islamici hanno preso d’assalto l’edificio costringendo circa 800 fedeli a rimanere asserragliati nella chiesa.


Il Cairo (AsiaNews/Agenzie) – Alcune migliaia di musulmani hanno preso d’assalto la chiesa copta della Vergine Maria a West Ain Shams, nei sobborghi del Cairo. All’interno della chiesa sono rimasti asserragliati 800 fedeli che partecipavano alla prima messa.

I manifestanti hanno assediato l’edificio nel giorno dell’inaugurazione, il 23 novembre. I tumulti sono iniziati alle prime ore del mattino quando un gruppo di musulmani si è impossessato del primo piano di un edificio davanti alla chiesa trasformandolo in luogo di preghiera. Verso le 5 del pomeriggio altri manifestanti hanno bloccato la strada di accesso da entrambe i lati e iniziato l’assalto. L’edificio era in origine una fabbrica, riadattata a luogo di culto per la comunità copta ortodossa dopo una trafila burocratica durata cinque anni.

Si tratta di un ennesimo atto di violenza verso i cristiani. I copti sono la principale minoranza religiosa che vive in Egitto e rappresentano il 15% della popolazione su un totale di 80milioni di abitanti circa. Negli ultimi 30 anni la stima dei fedeli rimasti uccisi o feriti in attacchi si aggira attorno alle 4mila vittime. Nel corso del 2008 si contano decine di avvenimenti simili a quello accorso alla comunità del sobborgo del Cairo.

Interpellato da AsiaNews, padre Milad Sidky Zakhary, direttore dell’Istituto cattolico di scienze religiose del Cairo, spiega: “Il problema è che non vengono date facilmente autorizzazioni legali ai cristiani per costruire Chiese. Capita spesso che comunità o gruppi siano costretti a ritrovarsi in case o edifici privati per adempiere il precetto domenicale. Se qualcuno li scopre non denuncia il fatto né lo notifica alle autorità come potrebbe, ma attacca direttamente i fedeli”.

Secondo quanto afferma Voice of the Copts, associazione di cristiani copti con base in Italia e negli Usa, i manifestanti che hanno attaccato la chiesa erano 10mila circa. Altre fonti locali parlano di 20mila persone e riportano che, con il sopraggiungere della polizia, la folla si è diretta verso negozi e proprietà di cristiani nelle vicinanze agitando bastoni e scandendo incitamenti al jihad. I resoconti riportano le notizie di due auto bruciate e di cinque feriti oltre che di danni alla chiesa appena consacrata.

Testimoni raccontano che tra i manifestanti erano presenti anche donne e bambini. Video che riprendono momenti dell’assalto alla Chiesa sono stati pubblicati su internet dall’agenzia Assyrian international (Aina).

Anticipazione tolkienian-chestertoniana...E’ vero, a gennaio pubblicheremo un saggio di Stratford Caldecott (già nel comitato di redazione della rivis



E’ vero, qualcuno ce lo aveva detto e abbiamo avuto poco fa una autorevole conferma: a gennaio l'editore Lindau pubblicherà un saggio di Stratford Caldecott (già nel comitato di redazione della rivista “Communio”), intitolato “Il fuoco segreto. La ricerca spirituale di J.R.R. Tolkien”.

Stratford Caldecott, cattolico inglese che si divide tra la madrepatria e l'America, è anche membro del benemerito Chesterton Institute for Faith and Culture, quello di padre Ian Boyd, per capirci. Un chestertoniano doc, per capirci ancora meglio.

Nel nostro blog troverete un suo interessante intervento, in un post di molto tempo fa. Basta che mettiate "Caldecott" nel nostro motore di ricerca.

Siamo lieti che Lindau continui lungo il filone degli Uomini Sani e Vivi.

Parla Bobby, il fratello di Terri Schiavo: date a noi Eluana

Da IlSussidiario.net, l'intervista a Bobby Schindler, il fratello di Terry Schiavo, la Eluana Englaro d'America.

Eluana come Terri Schiavo. Fin dal giorno della sentenza, il dibattito sul caso Englaro è stato attraversato da questo continuo paragone: un accostamento forse improprio, per quanto riguarda alcuni aspetti più strettamente legali, ma che certo aiuta ad evocare e a far presagire quella che potrebbe essere la sorte che attende Eluana. Come per Terri, una morte per fame e per sete, resa “dolce” (!) dalla somministrazione di forti dosi di morfina.
Bobby Schindler è il fratello di Terri. In sua memoria ha dato vita a una Fondazione (Terri Schindler Schiavo Foundation), e lotta tutti i giorni per il diritto alla vita di chi, come sua sorella, non può esprimere la propria volontà. Ha accettato di parlare con ilsussidiario.net del caso di Eluana, così simile a quello di Terri.

Signor Schindler, ci racconti innanzitutto della Fondazione che lei ha eretto in memoria di sua sorella.

Fondamentalmente aiutiamo altre famiglie che si trovano in situazioni simili a quella che abbiamo vissuto noi. Si tratta di un aiuto legale e morale per quelle famiglie i cui membri stanno per essere uccisi, senza cibo né acqua, attraverso una sorta di eutanasia. Ci sono moltissime persone che mi contattano, dicendo che stanno pregando Terri che illumini Beppino Englaro, e gli dia la forza di cui ha bisogno, e impedisca che Eluana venga uccisa.

Ha già affrontato uno dei temi centrali del dibattito: ha parlato di omicidio…

Eluana, come Terri prima di lei, non è affatto morta. Vive. Il suo cervello funziona. Non ha alcuna malattia terminale. Il problema è se noi siamo in grado di usare compassione, di partecipare del loro dramma. Io credo che noi siamo obbligati a prenderci cura di persone in questo stato. Eluana ha bisogno della nostra compassione, e ha bisogno di cibo e acqua: questo è tutto. Dovremmo darglieli. La nostra famiglia sarebbe molto felice di poter prendersi cura di Eluana.

C’è però chi insiste nel dire che le cure date a Eluana sono una forma di accanimento terapeutico: cosa ne pensa?

Io non capisco come siamo potuti giungere a questo punto, in cui pensiamo a cibo e acqua come una cura medica. Qui non si tratta affatto di accanimento terapeutico, non c’è una terapia medica intensiva ("medical care"): qui si tratta di fornire il sostentamento basilare, si tratta semplicemente di dare da mangiare e da bere. Non vedo proprio come si possano considerare cibo e acqua come un trattamento medico. Per mia sorella Terri c’era un macchinario apposito, la “macchina gravitazionale”, che operava al posto delle persone; l’avremmo fatto noi della sua famiglia, se non ci fosse stata la macchina, e se suo marito ci avesse lasciato prenderci cura di lei. C’erano oltre trenta organizzazioni locali che ci aiutavano a prenderci cura di Terri; a noi della famiglia era impedito dal marito di lei, Michael. Noi potevamo solo andarla a trovare alla nursing home. L’ultima settimana di vita di Terri è stata disumana, impensabile: qualcosa che non auguro a nessuno, cui nessuna famiglia dovrebbe giungere.

Forte di questa sua drammatica esperienza personale, cosa si sentirebbe di dire al padre di Eluana, Peppino Englaro?

Gli direi che lo capisco, che la sua è una condizione davvero difficile, trovarsi davanti a sua figlia in quelle condizioni. Ci sono passato, so cosa vuol dire. Tuttavia, penso che un genitore dovrebbe amare i suoi figli, e non compiere un percorso alla fine del quale essi vengono uccisi. Penso che dovremmo amare i nostri figli senza porre condizioni: anche se si trova in una situazione difficilissima, Eluana ha ancora bisogno dell’amore e delle cure di suo padre.

In Italia c’è stato un ampio dibattito sul caso di Terri Schiavo, e attualmente il caso di Eluana è al centro delle discussioni sui media e tra la gente. È lo stesso negli Stati Uniti?

Sì, è un tema molto dibattuto anche da noi, e francamente non capisco perché. Dovremmo poter stabilire chi deve vivere e chi deve morire in base alla qualità della loro vita, in base a ciò che possono o non possono fare? Io ritengo che non possiamo arrivare a questo punto: qual è il discrimine, chi stabilisce dove dobbiamo fermarci? La domanda cui dobbiamo rispondere non è: “Chi vorrebbe vivere in quel modo?” Nessuno vuol vivere come Eluana o Terri, è vero; ma la realtà è che ci sono decine di migliaia di persone, negli Stati Uniti e altrove, che si trovano a vivere in quelle condizioni. La domanda dovrebbe essere piuttosto: “Perché non ci vogliamo prendere cura di quelle persone?” La domanda non riguarda tanto Eluana o le persone come lei: riguarda noi, e come noi intendiamo prenderci cura delle persone che han bisogno di noi.

Qui i giudici dicono di non voler fare altro che rispettare la volontà di Eluana.

Penso che dobbiamo prestare enorme attenzione nello stabilire ciò che è stato detto o no dalle persone in un passato spesso lontano. La volontà della persona ha un valore fondamentale, ma qui spesso si tratta di commenti casuali, come nel caso di mia sorella, che non costituiscono prove evidenti della volontà della persona stessa. Cosa risponderebbe a tutti quelli che ritengono che per Eluana sarebbe preferibile morire? Non possiamo decidere noi se ci tocca morire o no, sulla base di quello che siamo in grado o non siamo in grado di fare. Se decidiamo di uccidere le persone gravemente disabili, dove dobbiamo fermarci? Chiunque divenisse disabile si troverebbe in pericolo, a rischio di venire ucciso. C’è da aver paura. Ma costoro, i più deboli della società, hanno un valore infinito per noi: ci insegnano la compassione (la capacità di soffrire insieme), ci insegnano ad amare, perché dipendono completamente da noi. Se avessimo la possibilità di scegliere, nessuno deciderebbe che esistessero casi come quello di Eluana. Ma non possiamo scegliere. La realtà è che queste persone ci sono, e han bisogno delle nostre cure e del nostro amore. Non è semplice prendersi cura di persone come Eluana o Terri, ma quale scelta abbiamo? È un problema che riguarda noi “sani” anzitutto, non loro. La loro situazione non comporta logicamente il ragionamento “Stanno male, dobbiamo ucciderli”. Qui in America le persone si sono accorte per la prima volta del rischio che si corre a causa di ciò che è accaduto a mia sorella Terri, e che continua ad accadere ogni giorno in America.

Pensa che la fede possa incidere sulla capacità di prendersi cura delle persone come Eluana?

Certamente l’essere cattolici ha sostenuto i miei genitori, ad esempio. Ma io penso che noi siamo tutti uguali, in quanto persone: è per questo che dovremmo essere trattati in maniera eguale. Semplicemente: ha bisogno di acqua, bisogna dargliela. Tutto qui.

USA/ Sapete chi è Melody Barnes, la nuova consigliere di Obama?


Da IlSussidiario.net di oggi, un articolo di don Lorenzo Albacete (a sinistra), pirotecnico e geniale sacerdote portoricano dal profilo chestertoniano, su una dei collaboratori di Obama (a destra).
Giusto per capire.


La crisi economica continua questa settimana a dominare le notizie negli Stati Uniti. L’Amministrazione Bush sta rapidamente sparendo e il presidente eletto Obama cerca di riempire il vuoto con la nomina della sua squadra economica e promettendo una serie di misure per stimolare l’economia. Obama ha anche cominciato a riempire le caselle dei suoi consiglieri politici anche in altre aree, ma queste ultime non hanno ricevuto molta attenzione dalla stampa.

Tra questi consiglieri c’è Melody Barnes, che dovrebbe diventare direttore del Domestic Policy Council (Consiglio di politica interna). Ignorata dai principali media, che sono focalizzati sulla crisi finanziaria, la nomina della Barnes è stata accolta con grande preoccupazione dal Movimento pro-life, compresa la Chiesa cattolica.

La sua reputazione è infatti quella di essere un’esponente dell’estrema sinistra del Partito Democratico, molto attiva nel creare alleanze con la “sinistra religiosa”, accusando Bush di aver creato l’impressione che gli Stati Uniti fossero una Stato monolitico sotto il profilo religioso, così da escludere i non cristiani e quelli senza un credo religioso.

La Barnes ha anche sostenuto un maggiore impiego dei preservativi per combattere l’Aids, incolpando l’Amministrazione Bush per il fatto che i neri sono più colpiti dall’Aids rispetto ai bianchi, e vuole inoltre eliminare ogni restrizione alla ricerca sulle staminali embrionali.

La sua posizione pesantemente in favore dell’aborto spiega la sua presenza come consigliere nei consigli di amministrazione di potenti organizzazioni abortiste, come il Planned Parenthood Action Fund. Il suo esempio di un’organizzazione pro-aborto, ma al contempo religiosa, è Catholics for Free Choice, un’organizzazione denunciata dai vescovi cattolici come anticattolica.
Questa è la persona che sarà ora uno dei più potenti e intimi consiglieri del presidente Obama.

Molti commentatori annotano che il nuovo presidente dovrà ora ripagare la “sinistra dei valori” del suo partito, così da potersi spostare verso il centro in altre aree cui tiene realmente, ma qualcuno sperava che si sarebbe mosso in modo più graduale e non così a sinistra. A quanto sembra si sbagliava.

Nello stesso tempo, il gruppo di transizione di Obama sta cercando un ambasciatore per la Santa Sede, sperando di ottenere la collaborazione di vescovi cattolici “comprensivi”e di importanti cattolici, quali il senatore Edward Kennedy, che è completamente coinvolto nel movimento pro-choice.

L’Amministrazione Obama sembra incapace di trovare qualcuno che sappia spiegarle quali sono le reali preoccupazioni della Chiesa.

Notizie su: Eluana Englaro, Scuole paritarie, embrioni e brevetti.

27 Novembre 2008 - Avvenire
Eutanasia
Eluana non riviva l'agonia di Terri 219 KB

27 Novembre 2008 - Foglio
Scuola
Scuole paritarie più sicure di quelle statali 99 KB

27 Novembre 2008 - Avvenire
Parità Scolastica
Nuove promesse sui fondi agli istitui non statali 118 KB

27 Novembre 2008 - Sole24ore
Manipolazioni Genetiche
Suglie embrioni nessun brevetto 99 KB

Chesterton è attuale - 24 - Un bell'articolo di Ubaldo Casotto su Tempi

L’epoca più immorale che si sia conosciuta

È il tempo in cui si prende la fissazione per ragione, il narcisismo per amore, il suicidio per martirio. Chesterton e l’Ortodossia

di Ubaldo Casotto (vicedirettore de Il Riformista) - da Tempi del 21 Novembre 2008
Parliamo dell’“atto che vede”, dell’intelligenza, o, come la chiama GKC, della “salute mentale”. È uno degli argomenti più avvincenti di Chesterton, un capitolo di Ortodossia che andrebbe citato per intero, dove si spiega che il pazzo è colui che crede in se stesso («Oggigiorno ognuno crede esattamente in quella parte dell’uomo in cui dovrebbe non credere: se stesso, e dubita esattamente di quella parte di cui non dovrebbe dubitare: la ragione divina»); è il fissato, monomaniaco fino alla monotonia («Il pazzo… è preso dalla nitida e ben illuminata prigione di un’idea: è teso verso un punto solo, fino all’esasperazione»); è logico in modo esasperato perché cerca di ridurre la complessità dell’universo e dell’esistenza a un ordinamento semplificatore che sia alla sua misura («Il logico pre-tende di rinchiudere il cielo nella sua testa», «La coerenza del suo spirito è quello che lo rende stupido e pazzo allo stesso tempo»). Non è il poeta a essere lunatico, come facilmente si è portati a credere, ma il ragionatore: «Il pazzo non è l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto fuor che la ragione». Il pazzo è colui che «come il determinista, vede in ogni cosa un eccesso di causa». «Se si potesse parlare di azioni umane senza causa, esse sarebbero semmai certe piccole azioni che un uomo sano compie senza annettervi importanza: fischiettare camminando, colpire l’erba col bastone, darsi pedate sui garretti, o fregarsi le mani. È l’uomo felice che fa cose inutili, l’uomo malato non ha la forza di abbandonarsi all’ozio. Queste azioni fatte negligentemente e senza scopo sono proprio di quelle che il pazzo non potrebbe mai capire». Il pazzo ha sempre coerenza e lucidità, ma è chiuso in un mondo piccolo: «La sua mente si muove in un cerchio perfetto ma ristretto. Un cerchio piccolo è infinito, come un cerchio grande, ma pur essendo ugualmente infinito non è ugualmente grande. Allo stesso modo una spiegazione assurda è completa come una spiegazione giusta, ma non abbraccia un campo altrettanto vasto. Una pallottola è tonda come il mondo, ma non è il mondo». Il primo problema dell’uomo contemporaneo non è che non sa risolvere l’enigma del mondo, è che non vede l’enigma. Lo censura, lo imprigiona dentro le sue idee, le sue fissazioni, le sue voglie confondendole con il desiderio, cerca di chiudere il mondo nella sua testa «e la testa gli scoppia». E gli scoppia, paradossalmente, non perché non regge la novità, non perché vi continui a entrare troppa realtà, troppe cose nuove da fuori, ma perché dal di dentro premono contro le sue pareti idee sempre più assurde.
Basterebbe aprire gli occhi. Tutta la differenza tra il cristianesimo e un generico buddismo, nel quale (in quanto filosofia interiore) Chesterton vede la sintesi dell’atteggiamento mentale dell’uomo contemporaneo ripiegato su di sé, è rivelata dalle rispettive statue: «Il santo buddista tiene sempre gli occhi chiusi e il santo cristiano li tiene ben spalancati… il buddista guarda con particolare attenzione dentro se stesso; il cristiano è rimasto a guardar fuori con intensità tragica».

L’importanza della separazione
Questa alternativa postura degli occhi rende ragione delle diverse avventure della conoscenza e dell’amore (o della libertà, che è la stessa cosa) cui ci si apre o ci si condanna.
Chesterton per spiegarsi ricorre al paradosso: per vivere la grande aspirazione dell’unità in cui consistono la conoscenza e l’amore bisogna accettare la separazione. È il primo caposaldo dell’Ortodossia, la spada che separa. E la prima separazione da riconoscere e accettare è tra il Creatore e la sua creatura. Come la nascita è una separazione, una unità che vive nella nuova forma di due vite che si allontanano, così è la creazione. «Dio è creatore allo stesso modo che è creatore un artista. Un poeta è così separato dal suo poema che ne parla come di una piccola cosa “gettata giù”. Nel darlo alla luce egli se ne è distaccato… tutta la creazione e la procreazione è un distacco… Una donna perde il bambino nel momento in cui lo partorisce. Ogni creazione è separazione. La nascita è un solenne commiato con la morte».
Che la natura non sia Dio ci permette di studiarla e di scoprirne le leggi (bisogna chiedersi perché la scienza sia nata nel mondo giudaico-cristiano e non nell’ambito di filosofie panteistiche), che l’altro non sia me mi permette di amarlo. «Io voglio amare il mio prossimo, non perché egli è me, ma precisamente perché non è me. Voglio adorare il mondo non come uno ama lo specchio perché vi ritrova se stesso, ma come uno ama una donna perché è totalmente diversa da lui. Se le anime sono unite, l’amore è evidentemente impossibile. Si può dire vagamente che un uomo ama se stesso, ma non che un uomo è innamorato di se stesso; se fosse, sarebbe un amore molto monotono». Ditemi se non è la descrizione del narcisismo dell’uomo contemporaneo sul quale pende una terribile pena del contrappasso: la solitudine. Chesterton ne accenna quando parla della Trinità e ne fa una questione di civiltà: «La religione occidentale ha sempre acutamente sentito l’idea che “non è bene che l’uomo sia solo”… è più salutare avere una religione trinitaria che una religione unitaria. Perché per noi trinitari… per noi Dio stesso è una società. È un mistero teologico senza fondo… (ma) questo triplice enigma è confortante come il vino e accogliente come un focolare inglese, questa cosa che turba l’intelligenza calma completamente il cuore; ma dal deserto, dai luoghi dell’aridità e dei terribili soli vengono i crudeli figli del Dio solitario: i veri unitari che con la scimitarra in mano hanno devastato il mondo. Perché non è bene che Dia sia solo». L’uomo è destinato a essere insieme a tutto ciò che c’è non perché è Dio, ma perché è fatto a immagine di Dio, e Dio è una comunione. È nel mistero della Trinità la radice del fatto che l’io non è solo.

Il male assoluto
Permettetemi un inciso che prende spunto dall’accenno alle violenze dell’islamismo radicale per mostrare quanto Chesterton sia attuale, o profetico. È un punto in cui due visioni apparentemente opposte si toccano, il laicismo ateo occidentale e, appunto, l’islamismo radicale: si tratta della questione del suicidio. Sentite cosa scriveva GKC cento anni fa: «Nacque la discussione se l’uccidersi fosse una bella cosa. Certi odierni sapienti ci hanno insegnato che non bisogna dire “pover’uomo” di uno che s’è fatto saltare le cervella, poiché egli era una persona invidiabile, e, se si è colpito al cervello, è perché aveva un cervello eccezionalmente fine… Per me il suicidio (e l’eutanasia come frutto di autodeterminazione ne è la forma più raffinata, ndr) non è soltanto un peccato, è il peccato; è il male supremo e assoluto, il rifiuto di prendere interesse all’esistenza, di prestare il giuramento di fedeltà alla vita. L’uomo che uccide un uomo, uccide un uomo; l’uomo che uccide se stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda distrugge il mondo… il ladro i diamanti lo appagano; il suicida no… il ladro rende omaggio alle cose che ruba se non al loro proprietario; il suicida insulta tutte le cose per il fatto stesso di non rubarle. Rifiutando di vivere per amore di un fiore, oltraggia tutti i fiori. Non c’è al mondo la più piccola creatura cui egli non irrida con la sua morte». Io capisco che sia un modo di argomentare duro, ma è l’unico modo di argomentare razionalmente: avere il coraggio del pensiero, distaccarlo dalle emozioni e dal sentimento dopo che questi ci hanno obbligato a interessarci a un fatto, e svolgerlo in tutte le sue conseguenze. Usare il pensiero come una spada appuntita, secondo l’immagine di Chesterton.
Anche sul suicida arriverà la pietà, ma non sul suicidio. Questa è una delle altre grandi separazioni che la spada dell’Ortodossia ha operato generando il paradosso della carità, che consiste nel «perdonare azioni imperdonabili, amare persone non amabili». Ciò che non riesce al razionalista, il quale ritiene che «fin dove l’atto è perdonabile, è perdonabile l’uomo», invece «il cristianesimo è arrivato all’improvviso come una spada, e ha diviso il delitto dal delinquente: il delinquente può essere perdonato fino a settanta volte sette; il delitto non deve essere perdonato affatto».
Incapace di reggere a questa morale «più larga» in cui consiste il «paradosso cristiano dei sentimenti paralleli», l’intellettuale moderno pensa di ridurre la religione a morale, privandola della sua forza di avvenimento e di pensiero: «Una inconsapevole grande chiesa di tutta l’umanità. I credi, si diceva, dividono gli uomini, la morale li unisce» (sembra di sentire Jovanotti). Ma chi sostiene queste tesi sostiene anche che la morale è sempre cambiata e che ciò che era vero in un’età era falso nell’altra. «Se cercavo un altare mi si rispondeva che non ce n’era bisogno, ma se osservavo che sempre gli uomini hanno desiderato un altare, mi dicevano che sempre gli uomini sono stati nelle tenebre della superstizione dei selvaggi».

Quando i vizi diventano valori
Giustamente Ernesto Galli Della Loggia osservava sul Corriere della Sera del 3 novembre scorso che l’unico elemento comune cui giungono tutte le correnti della modernità, laiche o marxiste che siano, è la critica alla religiosità e l’espulsione del cattolicesimo dalla vita pubblica. Ne è testimonianza in negativo il silenzio di fronte alle persecuzioni dei cristiani nel mondo. Costoro, osserva GKC, non si accorgono che la conseguenza dell’espulsione di Dio dalla vita di una società è il disprezzo per l’uomo. Non si rendono conto che gli «uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono col combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa». Il risultato del moralismo contemporaneo è che invece di cercare di cambiare la nostra vita nei confronti dell’ideale cui tendiamo, troviamo più semplice cambiare di volta in volta l’ideale, «è più facile», con la conseguenza che l’epoca del trionfo dei discorsi sull’etica è l’epoca più profondamente immorale che si sia mai conosciuta, non perché piena di vizi, ma perché ha dato loro la dignità di valori. (Pensate a cosa vuol dire questo nei confronti dell’accoglienza di una persona handicappata: modificare il mondo perché sia adatto ad accoglierla o modificare l’ideale, ritenere cioè la sua vita indegna di essere vissuta ed evitargli l’incombenza di viverla).
Ma torniamo alla questione del suicidio, c’è un ulteriore passaggio che rende attuale questo pensiero, e riguarda quella forma particolare di suicidio che sono i kamikaze, per i quali si usa impropriamente il termine “martire”. Dice GKC: «Ho letto una solenne bestialità di qualche libero pensatore: il quale dice che il suicida è qualche cosa come un martire… Un suicida è evidentemente l’opposto di un martire. Il martire è un uomo che si appassiona a qualche cosa che è fuori di lui fino a dimenticare la sua esistenza personale, il suicida è un uomo che tanto poco si cura di tutto quello che c’è fuori di lui che ha bisogno di vedere la fine di ogni cosa. L’uno ha bisogno che qualche cosa cominci; l’altro che tutto finisca. Il martire confessa un estremo vincolo con la vita… muore perché qualche cosa viva. Il suicida… è puro distruttore: spiritualmente distrugge l’universo». Non sentite qui l’eco delle terribili parole di Osama Bin Laden dopo l’attacco alle Torri gemelle? «Perché sappiano che noi amiamo la morte più di quanto loro amano la vita».

mercoledì 26 novembre 2008

Islam - Consigli islamici contro la rivista cattolica di Kuala Lumpur: vietato scrivere Allah

I consigli religiosi islamici di sette stati malaysiani ammessi al processo che vede il settimanale della diocesi di Kuala Lumpur contrapposto al governo. Oggetto della disputa il divieto di utilizzare la parola “Allah” nelle pubblicazioni non musulmane. la comunità sikh scende al fianco dei cattolici.


Kuala Lumpur (AsiaNews) - I Consigli religiosi islamici di sette stati malaysiani e la Malaysian Chinese Muslim Association (Macma) si rivolgono alla Corte federale per il divieto dell’uso della parola “Allah” nel settimanale cattolico Herald. I rappresentanti musulmani di Terengganu, Penang, Selangor, Kedah, Johor, Malacca e del territorio federale di Kuala Lumpur vogliono che la Corte verifichi se il dettato della legge relativa al caso è stato applicato secondo i principi costituzionali.

La Costituzione malaysiana garantisce piena libertà religiosa a tutte le confessioni, tuttavia un’ordinanza del Ministero della sicurezza interna (Isma) pubblicata nel 1986 proibisce l’uso della parola “Allah” nelle pubblicazioni delle comunità non islamiche. Tuttavia questa legge non era mai stata applicata con decisione. A complicare il caso del’Herald, come di altre riviste non musulmane, si aggiunge anche il fatto che nel Paese operano due sistemi giuridici paralleli: uno federale-civile, regolato dalla Costituzione, ed uno di tipo giuridico-religioso che dovrebbe essere competente solo per i musulmani ed è regolato dalle leggi coraniche.

La vicenda della rivista di Kuala Lumpur è scoppiata nel dicembre dello scorso anno. Il Ministero della sicurezza interna aveva vietato all’Herald di scrivere nei suoi articoli il termine “Allah” affermando che il suo utilizzo “da parte di non islamici può far crescere tensioni e creare confusione fra i musulmani del Paese”. Il divieto paventava il rischio di chiusura per l’unico giornale cattolico del Paese che con le sue 12mila copie e 50mila lettori è l’unico strumento di comunicazione per gli 850mila fedeli.

Negli ultimi giorni del 2007, dopo le proteste della comunità cattolica, il Ministero della sicurezza aveva ritirato l’ingiunzione, ma il 5 gennaio 2008 era intervenuto nella disputa il ministro degli affari islamici ribadendo il divieto. Rivendicando il diritto ad utilizzare la parola “Allah”, l’Herald aveva quindi optato per la via giudiziaria e l’arcivescovo della diocesi di Kuala Lumpur, mons. Murphy Pakiam, ha portato il governo in tribunale (nella foto il vescovo con i legali ad un'audizione dello scorso aprile).

Ora i sette stati ed il Macma sono stati ammessi dalla corte ad intervenire nella disputa e nominati come parti in causa nella revisione del procedimento iniziato dall’arcivescovo della capitale. Nel frattempo il Malaysian Gurdwaras Council (Mgc), gruppo sikh malese, è sceso in campo al fianco dei cattolici dell’Herald. Il presidente del Mgc, Jagjit Singh, ha informato la corte di voler presentare alla Camera del procuratore generale una documentazione che escluderebbe i consigli islamici dal dibattimento.

Stando alla documentazione del Mgc, una richiesta di vietare l’utilizzo della parola “Allah” per i non musulmani era stato presentato a Perak dieci anni fa. Il primo ministro di allora Tun Dr Mahathir Mohamad aveva comunicato alle parti in causa che non sussisteva materia per procedere. Jagjit oggi sollecita il primo ministro Datuk Seri Abdullah Ahmad Badawi di utilizzare lo stesso approccio per il caso dell’Herald.

Jagjit ha chiesto alla corte di aggiornare l’audizione con la richiesta del Mgc. Il guidice Lau Bee Lan, cui compete il caso, ha fissato per il 27 febbraio prossimo la data in cui decidere se permettere alle parti di presentare una deposizione come richiesto per la revisione giudiziale.

martedì 25 novembre 2008

La conversione di Gramsci e santa Teresina di Lisieux


Dal blog di Andrea Tornielli

«Questa mattina il vescovo Luigi De Magistris, pro-penitenziere maggiore emerito, intervenendo alla presentazione del primo catalogo internazionale dei santini, ha rivelato i particolari delle ultime ore di vita dell’ideologo del Pci Antonio Gramsci: “Il mio conterraneo, Gramsci, aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: ‘Perché non me l’avete portato?’ Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i Sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci ‘perseguita’. Il Signore non si rassegna a perderci”».

Riportiamo la notizia perché è bello sapere della conversione di chiunque, figuriamoci di quella di un personaggio che certo in vita non ha molto amato il cattolicesimo, e poi anche perché ci sarebbe di mezzo Santa Teresina del Bambin Gesù, che era molto amata da Chesterton.

Qualcosa dalla stampa su Eluana Englaro, la pazzia di togliere i crocifissi in Spagna, i tagli alle scuole paritarie.

Qualcosa dalla stampa.

25 Novembre 2008 - LiberalQuotidiano
Eutanasia
ELUANA. Buttiglione: la legge che il dolore ci chiede 144 KB

25 Novembre 2008 - Avvenire
No al Crocefisso, è scontro in Spagna 243 KB

25 Novembre 2008 - Libero
I cattolici avanzano e l'Europa toglie i Crocefissi 128 KB

25 Novembre 2008 - Avvenire
Parità Scolastica
MATERNE. Genitori contro i tagli 293 KB

lunedì 24 novembre 2008

INDIA - Orissa, fondamentalisti indù offrono un premio a chi uccide un cristiano

Premi in denaro, vestiti, liquori e altri beni per chi ammazza un cristiano o ne distrugge le proprietà. Il ministro degli interni chiede la creazione di un reparto speciale della polizia per proteggere le vittime delle violenze. Nel pogrom lanciato dai fondamentalisti vengono reclutate anche le donne, addestrate in luoghi segreti all’uso di spade e bastoni.


Bhubaneshwar (AsiaNews/Agenzie) – I fondamentalisti indù offrono ricompense in denaro, vestiti o generi di prima necessità a quanti riescono a uccidere leader cristiani, distruggere le loro proprietà o incendiare le chiese. L’aggravarsi della situazione ha spinto il governo indiano a creare un reparto speciale delle forze di sicurezza, per fermare l’ondata di violenze che ha investito il Paese. Questa mattina il ministro degli interni Shivraj Patil, nel corso di un summit con i vertici della polizia, ha ricordato le violenze contro i cristiani in Orissa, nel Karnataka e nel Kerala, aggiungendo che solo un reparto di sicurezza speciale può garantire una adeguata protezione alle vittime e agli sfollati.

Una fonte dell’All India Christian Council (Aicc) parla di taglie che variano a seconda dell’importanza dell’obiettivo: il “prezzo corrente” per la morte di un prete o un pastore è di 250 dollari Usa, ma vengono offerti anche cibo, benzina, superalcolici importati dall’estero. Per portare a termine il progetto di estirpare la presenza cristiana in Orissa, i fondamentalisti assoldano anche le donne, le quali ricevono un addestramento specifico nei centri avviati dal Bajrang Dal, l’ala giovanile del partito nazionalista indù Vishwa Hindu Parishad.

“Obiettivi diversi hanno taglie differenti”, riferisce l’Ong britannica Release International riportando le parole del portavoce dell’Aicc e possono variare “dall’omicidio, alla distruzione di chiese o proprietà dei cristiani”. La morte di un pastore o un prete – conferma Faiz Rahman, presidente di Good News India – vale “250 dollari Usa”. Rahman racconta di aver aiutato 25 preti a lasciare i campi profughi, ma vi sono ancora “circa 250 leader religiosi ospitati nei centri predisposti dal governo”. Egli sostiene che “rappresentano obiettivi di primo piano” per i fondamentalisti indù, e per questo bisogna aiutarli a lasciare i campi profughi verso mete più sicure.

Fonti dell’Aicc affermano che oltre alle taglie, il Bajrang Jal ha iniziato dei corsi di addestramento specifici per le donne-soldato da usare nella campagna di sterminio contro i cristiani. “Si incontrano in segreto – riferisce il portavoce del movimento cristiano – e le addestrano all’uso di spade e bastoni per combattere e distruggere”.

Oltre alle persecuzioni, i cristiani rifugiati nei centri di accoglienza devono affrontare i rigori dell’inverno ormai alle porte: “Migliaia di cristiani si trovano ad affrontare l’inverno nei campi profughi – dice Andy Dipper, capo di Release International – abbiamo bisogno urgente di aiuti. Il governo dell’India deve intraprendere iniziative serie per contenere le violenze, che si diffondono in altri stati. È compito delle autorità salvaguardare la vita e le case dei cristiani, sui quali pende la minaccia dei fondamentalisti indù”.

domenica 23 novembre 2008

Un aforisma al giorno - 83

"Tutto il mondo moderno è in guerra con la ragione, e la torre già vacilla"

G. K. Chesterton, Ortodossia

venerdì 21 novembre 2008

Chesterton en Catalunya... todo el Padre Brown, de una sola pieza!


Abbiamo da poco un nuovo amico in Catalogna, esattamente da Barcellona, che ci segue assiduamente, e abbiamo da poco avuto la notizia che in Catalogna stanno per ripubblicare tutto il Padre Brown in un'unica edizione, in sostanza in un solo volume. Todo el padre Brown, de una sola pieza, dicono loro. Sentite come suona bene?

Volevamo dargli il benvenuto tra i soci della Società Chestertoniana Italiana con questo post!

Ben trovato, Josep! Viva Catalunya! Viva Chesterton!

Cliccando il nostro titolo trovate l'articolo dell'edizione on line del quotidiano catalano ABC.

Fiaccolata per i cristiani dell’India

Sabato 22 novembre, dalle 19,30, a Milano da piazza Duomo si terrà una fiaccolata di solidarietà con i cristiani dell’India, sulla cui drammatica situazione è calato il silenzio di quasi tuti i media. L’iniziativa è promossa dal Pime, dalla Pastorale dei migranti e dalla parrocchia di di Sant’Eustorgio. Ha annunciato la sua presenza anche il presidente del Consiglio comunale di Milano.

giovedì 20 novembre 2008

Molte donne tra i 188 beati giapponesi - Senza di loro la Chiesa giapponese non esisterebbe

GEROLAMO FAZZINI
Che cos’ha da dire alla Chiesa universale la cerimonia di lunedì durante la quale, nello stadio di Na gasaki, verranno proclamati 188 nuovi beati? Quale il significato e l’attua lità di una pagina di storia cristiana di quattro secoli fa?
Non è questo il primo gruppo di martiri giapponesi ad essere proposto al la venerazione dei fedeli. Più volte so no stati elevati agli altari vittime del la persecuzione dei secoli XVI e XVII, il breve 'secolo cristiano' del Giappone, compreso fra l’arrivo del primo missionario, san Francesco Saverio (1549), e il martirio di Pietro Kibe (1639).
Stavolta, però, alcune novità significative rendono particolare l’evento alle porte. «Questa è la prima volta che non solo la cerimonia di beatificazione viene tenuta in Giappone, ma che tutti i martiri beatificati sono giapponesi», ha spiegato monsignor Takeo Okada, arcivescovo di Tokyo. E se nelle cerimonie precedenti l’iniziativa era stata degli ordini religiosi, stavolta il lavoro di preparazione può definirsi Made in Japan.
Qualcuno è arrivato a dire che nelle celebrazioni di lunedì prossimo non manca una punta di nazionalismo, un (peraltro legittimo) orgoglio non privo di sfumature campaniliste. Può essere. E tuttavia un evento quale la beatificazione di un folto gruppo di cristiani autoctoni appare un segno importante nel processo di crescita e consapevolezza di una Chiesa locale. A maggior ragione, questo è vero os servando il profilo dei candidati agli altari: la maggior parte dei martiri so no persone che vivevano vite ordi narie nelle famiglie come samurai, mercanti e artigiani. In altre parole Pietro Kibe e i suoi 187 'compagni' rappresentavano tutti gli strati sociali della società giapponese di quel tem po. Un numero consistente di essi, va poi ricordato, sono donne. E non è un fatto da poco, se anche la Con ferenza episcopale locale afferma: «Ci siamo resi conto che senza le donne la Chiesa giapponese di oggi non e sisterebbe ». Proprio questi 'cristiani ordinari' sono stati i protagonisti silenziosi della grande fioritura di fede verificatasi a cavallo del Seicento: il seme della fede cristiana, infatti, venne accolto da migliaia di persone appartenenti alla classe degli 'heimin', i cittadini comuni, al punto che nel 1619, all’alba della grande persecuzione, in Giappone si contavano ben 300 mila cattolici. Molti di essi avrebbero poi dato testimonianza del la loro fede pagando il prezzo del martirio. Con un coraggio e una se renità d’animo tali da stupire i loro stessi evangelizzatori, i missionari stranieri.
È in quella fede provata nel fuoco, in quella medesima tenacia, di una co munità di credenti risorta dalla pro va del martirio, il segreto della vita lità della Chiesa giapponese. Una Chiesa che nel 1945 – non dimenti chiamolo – fu letteralmente colpita al cuore: a Nagasaki, teatro della cele brazione di domani, la bomba ato mica in pochi secondi annientò i due terzi della fiorentissima comunità cattolica locale. Una Chiesa, quella giapponese, che – pur camminando immersa nella temperie della post modernità – continua a testimoniare il fascino di Cristo agli uomini di ogni cultura.
Ecco, allora, la preziosa lezione che il «piccolo gregge» del Giappone (mezzo milione di cattolici su una popolazione di 126 milioni) porta in dote alla comunità universale dei credenti: non c’è Chiesa, per quanto numericamente esigua, che non possa «dare della sua povertà». E an cora: il seme dei martiri non è sparso invano, presto o tardi genera nuovi cristiani.

Cina - Torna a casa senza abortire la donna uighuri ospedalizzata a forza


BUONA NOTIZIA!!!

Per la politica del figlio unico, non poteva avere un altro bambino. Le autorità dicono che le sue condizioni non consentono un aborto, dopo 6 mesi e mezzo di gravidanza. Ma altri rilevano che ha avuto peso la campagna internazionale di protesta.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – E’ tornata a casa a Bulaq (Gulja) e porta avanti la gravidanza Arzigul Tursun, la donna uighuri che le autorità cinesi avevano costretta a ricoverarsi in ospedale per abortire. “Va tutto bene, ora sono a casa” è stato il suo primo commento a Radio Free Asia.

Rashide, capo del locale Comitato per il controllo della popolazione, che vigila sull'attuazione della politica del figlio unico, ha spiegato che “la donna non sta abbastanza bene in salute per sostenere un aborto”.

Le autorità si sono mostrate più “ragionevoli” quando è montata la protesta dei gruppi uighuri all’estero, nonché da 2 parlamentari del Congresso Usa intervenuti presso l’ambasciatore cinese. In precedenza le autorità cinesi si sono mostrate più inflessibili: dapprima hanno costretto Arzigul in ospedale per abortire, nonostante la gravidanza fosse alla 26ma settimana; poi l'hanno fatta ricercare da decine di poliziotti quando si è allontanata da casa ; infine hanno sequestrato i telefoni cellulari ai familiari per impedire la propagazione della notizia.

La Cina permette a ogni famiglia di avere un solo figlio, ma le minoranze etniche, come gli uighuri, possono averne 2 se abitanti di città o anche 3 se rurali. Arzigul, che ha già 2 figli, è contadina, ma il marito è cittadino, per cui il loro status è incerto.

Eluana Englaro - ma come si fa...?

Ha ragione Gulisano: facciamo vedere Eluana e ci renderemo conto che è viva, che non è in stato di coma come dicono moltissimi giornalisti totalmente disinformati e disinformanti, distanti anni luce dalla professionalità e che spesso parlano in totale malafede mossi solo dall'ideologia demoniaca della morte dolce.

Ha ragione Gulisano: la sentenza è una licenza di uccidere, che è forse peggio di una condanna a morte.

Hanno ragione le suore: lasciatela a noi, la accudiremo come sempre abbiamo fatto!

Ha ragione Socci: la Chiesa non giudica, in questi casi, ma nella Chiesa e solo nella Chiesa troviamo i cirenei disposti a portare la Croce con amore e letizia!

Ha ragione il volantino di Comunione e Liberazione: «che società è quella che chiama la vita “un inferno” e la morte “una liberazione”?».

Ha ragione Chesterton quando scrive:

SE SOLO FOSSI NATO

Se gli alberi fossero alti e l'erba bassa
come in qualche strano racconto
se qui e lì il mare fosse azzurro
oltre l'abisso che ci divide
se una palla di fuoco pendesse fissa nel cielo
per riscaldarmi per tutto un solo giorno
se soffice erba verde crescesse su grandi colline
io so quello che farei.
Nell'oscurità io giaccio
sognando che lì mi attendano grandi occhi freddi e gentili
e strade tortuose e porte silenziose
e dietro uomini viventi
meglio vivere un'ora
per combattere ed anche per soffrire
che tutti i secoli per cui ho governato gli imperi della notte
se solo mi dessero il permesso
dentro quel mondo di ergermi in piedi
io sarei buono per tutto il giorno
che avessi da passare in quella terra favolosa
da me non sentirebbero una parola
di egoismo o di vergogna
se solo potessi trovare un varco
se solo fossi nato.

Probabilmente Eluana, come Salvatore Crisafulli, sente fame e sete e teme per la sua vita, perché quella sua E' vita. E forse se potesse parlare direbbe: lasciatemi stare qui, con le mie amiche suorine buone.

mercoledì 19 novembre 2008

Eluana Englaro - Socci: la testimonianza delle suore che la accudiscono vale più di ogni discorso


Intervista ad Antonio Socci su IlSussidiario.net

Non un’occasione di scontro ideologico, ma un fatto che fa emergere, nella sua essenzialità insondabile, tutto il «mistero che noi siamo»: questa, per il giornalista e scrittore Antonio Socci, è la vera portata di tutta la vicenda di Eluana Englaro. Una situazione resa ancor più grande e significativa dalla testimonianza silenziosa di chi da quattordici anni si occupa di una persona che, nonostante tutto, continua a vivere.

Socci, sul caso Eluana si sono fatte tante dispute, anche ideologiche. Ma c’è un fattore, in tutta questa vicenda, che supera le discussioni: la testimonianza delle suore di Lecco che la accudiscono. Che importanza ha secondo lei questo fattore?

Tutto il dibattito è stato in qualche modo falsato dal fatto di non essere stati per lungo tempo a conoscenza di questo aspetto. L’abbiamo scoperto solo qualche mese fa, quando le suore di Lecco con estrema discrezione sono uscite dal silenzio dopo quattordici anni, e, senza pretendere nulla, hanno semplicemente espresso il loro invito: «lasciate Eluana a noi». Inoltre, se ben ricordo, lo stesso padre, Beppino Englaro, chiese quattordici anni fa di poter portare Eluana in questa clinica, perché lì lei era nata; le suore inizialmente furono un po’ interdette dalla richiesta, perché non si occupavano di questo tipo di casi. Preso atto che si trattava fondamentalmente di accudirla e di nutrirla, la presero in casa loro come una loro figlia.

Possiamo dire che, in un momento in cui la Chiesa viene spessa dipinta come una realtà che giudica dall’alto, queste suore ci dimostrano che la situazione è un po’ diversa?

Certo: quando si parla del peso e dell’insostenibilità di situazioni di questo genere bisogna ricordarsi che la Chiesa non si limita a indicare ciò che è bene e ciò che è male, ma quella stessa Chiesa, a immagine di Cristo, prende su di sé il peso e il dolore di queste situazioni. Qui abbiamo una famiglia che vive tutto il suo dramma e il suo dolore, ma che al tempo stesso non è sola in questa tragedia. Mi pare che sia una cosa eccezionale: al di là delle dispute filosofiche o accademiche, il vero miracolo, la cosa veramente grandiosa con cui tutti dovremmo fare i conti è che nel mondo c’è una presenza misericordiosa, fatta di persone in carne ed ossa, che con umiltà e semplicità, nel silenzio, senza che nessuno le gratifichi, si fanno carico dei nostri figli amandoli come padri e come madri. E questa presenza è la Chiesa. Nello sguardo di quelle persone c’è lo sguardo con cui Gesù guarda gli uomini, guarda noi, attribuendo a noi un valore assoluto, infinito, a prescindere dalle condizioni in cui siamo e dalle nostre capacità. Questo è il grande miracolo presente in tutta questa vicenda.

Qual è per lei la positività di un’esistenza come quella di Eluana?

C’è innanzitutto una questione oggettiva: quel bene che è la vita di Eluana è identico al bene della vita di ciascuno di noi. C’è un’oggettività posta dal fatto stesso che una persona esiste. Poi per natura, come esseri umani, tendiamo a vivere come un grande sacrificio le contraddizioni in cui viviamo, le sofferenze e le prove della vita: questo è parte della nostra fatica di vivere. La possibilità di intravedere e sperimentare la positività del sacrificio avviene in natura attraverso l’esperienza dell’amore, per cui una madre o un padre, anche solo avendo dei figli, accettano la fatica di alzarsi di notte e di fare cose che prima non immaginerebbero; ma più globalmente è l’Amore, quello con la “a” maiuscola, cioè la presenza di Cristo e della Chiesa, che per grazia dà uno sguardo e un cuore che permettono di vivere come vivono i santi, per i quali anche la contraddizione massima, come il martirio o la malattia, possono essere un dono. Qua però si entra in una dimensione vertiginosa, che ha a che fare con la grazia. La stessa grazia che trasforma l’acqua in vino.

Quindi, anche di fronte alla condizione di Beppino Englaro, possiamo dire che risulta in un certo modo comprensibile il fatto di essere sopraffatti da una tale situazione di dolore?

Io capisco benissimo la sofferenza delle persone che si trovano in questa prova. Se penso a me stesso, mi sento assolutamente inerme, e sarei debolissimo di fronte alla prova di sofferenze di questo genere. Umanamente è comprensibilissimo lo smarrimento, l’angoscia, il dolore, il senso di schiacciamento che si prova. E questa è la nostra comune esperienza umana di fronte al dolore, soprattutto quando si tratta di un figlio. Siamo annichiliti. Ma in tutto questo bisogna ritornare al punto iniziale: pensare al volto di quelle suore, le tenebre nostre sono rischiarate da un lampo che fa impressione e che commuove. Il fatto che esista un amore gratuito che trasforma il dolore in una tale grandezza umana fa quanto meno desiderare che questa cosa prenda anche noi.

Qual è l’interrogativo ultimo che pone a tutti noi una situazione come quella di Eluana?

Dal punto di vista del fatto in sé la vicenda di Eluana ci interroga sul mistero che noi siamo, soprattutto in merito al fatto che la medicina tuttora non sia capace di decifrare questa strana condizione in cui l’uomo può cadere. Proprio in questi giorni, tra l’altro, si è parlato dell’impossibilità di stabilire il fatto che una certa condizione, come il coma o lo stato vegetativo, sia permanente e irreversibile. Questo ci deve far riflettere seriamente sul mistero che siamo, sul fatto che veramente noi non siamo riconducibili alle nostre cellule cerebrali e alla nostra condizione biologica: c’è un livello della coscienza che sfugge alla dimensione chimica e biologica del nostro corpo.

Un’ultima domanda: qual è la mancanza, il difetto di una società che non accetta un’esistenza come quella di Eluana?

Il fatto che è una società pagana. Il documento diffuso da Comunione e Liberazione sul caso di Eluana dice proprio: «che società è quella che chiama la vita “un inferno” e la morte “una liberazione”?». È la società pagana, la società che non ha conosciuto Cristo. E anche una società in cui non è abituale fare i conti con la condizione umana vera. Dopo la strage di Nassirya don Giussani disse che «ci vorrebbe un’educazione del popolo». Quello che è auspicabile è proprio il fatto di poter godere di un’educazione capace di farci capire che cosa vale e che cosa no, per cosa vale la pena vivere e cosa ha veramente valore. Questo è il punto di positività da cui ripartire.

Eluana Englaro ed altro.

Alcune segnalazioni sulla questione di Eluana Englaro e della scuola.

19 Novembre 2008 - Repubblica
Eutanasia
ELUANA. Veglie, firme e digiuni 239 KB

19 Novembre 2008 - Sole24ore
Eutanasia
ELUANA. Ricorso a Strasburgo 48 KB

19 Novembre 2008 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. Mirabelli: colpite le garanzie dei soggetti più deboli 141 KB

19 Novembre 2008 - Giornale
Eutanasia
ELUANA. Tamaro: lo sgomento per la vita decisa nei tribunali 179 KB

19 Novembre 2008 - Libero
Parità Scolastica
Nuova sforbiciata 122 KB

martedì 18 novembre 2008

Eluana Englaro - Moratoria sulla sentenza di morte - La chiede Paolo Gulisano, presidente del CAV di Lecco.

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 17 novembre 2008 (ZENIT.org).- I Centri di Aiuto alla Vita (CAV) non si occupano solo di portare aiuti e sostegni alle mamme in difficoltà, compiono anche un’azione educativa e culturale.
Molto attivo in questo campo il CAV di Lecco, il cui Presidente Paolo Gulisano, medico epidemiologo e noto saggista, in merito al caso di Eluana Englaro ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno suscitato scalpore.
Il Presidente del CAV di Lecco ha fatto richiesta che fossero diffuse le immagini di Eluana. ZENIT lo ha intervistato.
Perché questa richiesta?
Gulisano: Perché in questi anni di Eluana sono state mostrate in pubblico, sui media, solo le foto della sua adolescenza, quasi a voler dare l’idea che quella, e solo quella, era Eluana. Mostrare questa donna oggi, per come è, nelle condizioni di inferma amorevolmente assistita, potrebbe servire a comprendere meglio questo caso, a far vedere che si tratta di una persona viva, e non di una sorta di vegetale la cui esistenza considerata inutile deve avere termine.
E’ impressionante l’uso strategico delle immagini nei casi eticamente sensibili: pensate al caso-Welby: non passava giorno che fossero mostrate le sue immagini a letto, con inquadrature che insistevano sulle macchine, sui cavi, per indurre negli spettatori la convinzione di un’artificiosità di tale tipo di vita.
Per Eluana invece il contrario: nessuna immagine, anche perché la donna non è attaccata a nessuna macchina, non ha alcun supporto: è un’invalida in carrozzina, come migliaia di persone ammalate, diversamente abili, o anziani. Vedere Eluana toccherebbe il cuore a molte persone e potrebbe suscitare un movimento di solidarietà ancora più vasto di quello esistente.
I legali del padre hanno parlato di inaccettabile violazione della privacy.
Gulisano: Siamo di fronte ad una situazione eccezionale, inaudita, per cui è stata data l’autorizzazione a far morire una persona, e si parla di privacy? Si pretende che Eluana scompaia alla vista, sia rimossa, e - fatto ancor più grave - si vorrebbe che la questione della morte procurata di una persona sia un fatto strettamente privato, non di interesse pubblico, riguardante solo le persone coinvolte. E’ questo un aspetto aberrante.
La sentenza dei giudici ha inteso “far rispettare” una sorta di contratto privato tra Eluana e suo padre. “Con Eluana io avevo fatto un patto e l’ho rispettato. Ho rispettato e onorato la parola che avevo dato a mia figlia”. Così ha sottolineato più volte il signor Englaro.
Un incredibile patto di morte, senza testimoni, senza firme, un patto di “sangue e onore”, a cui si è voluto attribuire una sorta di volontà testamentaria. Sembra tutto assurdo, eppure è proprio a causa di questo patto segreto che Eluana sta per essere terminata, sta per andare incontro - se non interverranno fatti nuovi o addirittura miracolosi -, alla morte per fame e sete.
Come Presidente del CAV di Lecco lei si è occupato da tempo della vicenda?
Gulisano: Sì, anche perché al di là del caso specifico, fu subito chiaro che questo dramma umano personale rischiava di aprire le porte all’introduzione dell’eutanasia. Anni fa lanciai pubblicamente un appello al signor Englaro perché desistesse dalla sua battaglia. Gli dissi che comprendevamo la sua tragedia, il dolore quasi rabbioso di chi aveva posto tante aspettative in quella figlia unica e aveva visto sfumare quei sogni, e avrebbe dovuto accettare una figlia diversa da quella si era immaginata. Gli chiesi un atto nobile, eroico, un sacrificio - quello di accettare Eluana così com’era diventata -, affinché il suo caso personale non venisse utilizzato per introdurre in Italia l’eutanasia, mettendo così a rischio la vita di tante persone, delle tante Eluane, ma anche di anziani, disabili, persone deboli che potrebbero essere eliminate. Purtroppo non venni ascoltato e l’iter giuridico è proseguito.
Come medico cosa pensa della vicenda?
Gulisano: Siamo di fronte ad una situazione in cui si vuol far passare per morte “naturale” la morte per sete e per mancanza di nutrimento, che tutto è fuorché “naturale”. Togliere la vita ad una persona, solo perché malata o disabile o incosciente, é una pratica inaccettabile in ogni paese che voglia continuare a rientrare nel novero di quelli civili.
Occorre che la classe medica prenda una posizione non pilatesca, rigettando qualsiasi pratica eutanasica esplicita o camuffata. L’auspicio è che né nel caso di Eluana né in altre situazioni venga meno la sensibilità deontologica che impegna il personale sanitario ad agire in scienza e coscienza per il bene delle persone, dei diritti inviolabili dei malati.
Cosa intende fare ora il CAV da lei presieduto?
Gulisano: Vogliamo agire su più livelli: innanzitutto facendo crescere la solidarietà intorno ad Eluana in un crescendo di attenzioni. “Chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”: hanno detto le suore della clinica della nostra città. Loro continuano a servire la vita di Eluana Englaro, come di tutti i pazienti, e hanno affermato la disponibilità a continuare a farlo. Vorremmo quindi aiutarle ad “adottare” Eluana, per garantirle di continuare a vivere.
La solidarietà verso Eluana è indispensabile anche per un altro motivo: nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, la sentenza della Cassazione in realtà non è propriamente una condanna a morte. E’ una “licenza di uccidere” che delega ad un privato cittadino la possibilità di eseguirla. Nessuno è obbligato a farlo, né medico, né infermiere, né lo stesso Englaro padre. La sentenza non obbliga a togliere o a far togliere il sondino: dà facoltà di farlo impunemente, cioè senza risponderne penalmente.
Occorre allora invitare ad una massiccia disobbedienza civile di fronte a questa sentenza, rigettando sul piano morale e civile questa espressione del potere giudiziario che ha voluto acconsentire ad una richiesta di soppressione di un essere umano, ultima espressione dell’ideologia del potere dell’uomo sull’uomo, del forte sul debole. Il Diritto di morire non è contemplato nella Costituzione. Chiediamo quindi la moratoria a tempo indeterminato della sentenza: nessuno la applichi, nemmeno - e di questo li supplichiamo - i genitori di Eluana.

Eluana Englaro - Presentato il ricorso alla Corte Europea di Strasburgo contro la sentenza della Corte di Cassazione.

È stato inviato alla Corte europea, con richiesta di applicare la procedura d'urgenza, il ricorso contro la sentenza della Cassazione sul caso di Eluana Englaro promosso da 34 associazioni italiane.
«Abbiamo inviato i ricorso via fax, via e-mail e via posta, come prevede il regolamento», fa sapere Alfredo Granata, il legale che assieme alla collega Rosaria Elefante sta seguendo la vicenda. «Abbiamo invocato - aggiunge - la regola 39 che prevede l'applicazione dell'estrema urgenza», «congelando ogni azione allo stato attuale fino a quando la Corte non deciderà». L'obiettivo è di ottenere un pronunciamento il più rapido possibile da parte di Strasburgo e «una sospensiva o un annullamento» della sentenza della Suprema Corte.

Eluana Englaro - Le idee di Alessandro Bergonzoni e Mario Mauro.



Qui sotto trovate i due articoli di cui al titolo, tratti da IlSussidiario.net, sulla vicenda di Eluana Englaro.

Alessandro Bergonzoni: vi spiego il mio no al dogmatismo della scienza e del diritto.

Mario Mauro: L’ultima speranza è caduta di fronte a una sentenza assurda.

lunedì 17 novembre 2008

Eluana Englaro - Il comunicato di CL.

L'Uomo Eterno presentato a Roma

Rassegna stampa del Forum della Associazioni familiari del 17 Novembre 2008

16 Novembre 2008 - GazzettaParma
SI PARLA DI NOI :: Vignali: più sostegni 120 KB

15 Novembre 2008 - Prealpina
SI PARLA DI NOI :: Il futuro delle famiglie secondo Giovarnardi 83 KB

17 Novembre 2008 - Messaggero
Eutanasia
SI PARLA DI NOI :: ELUANA. Si punta ad un LifeDay 147 KB

16 Novembre 2008 - Piccolo
Eutanasia
SI PARLA DI NOI :: ELUANA. Kosic: non negheremo pane e acqua 104 KB

16 Novembre 2008 - EcoBergamo
Eutanasia
SI PARLA DI NOI :: ELUANA. Tutti gli occhi puntati sul Friuli 58 KB

15 Novembre 2008 - Giornale
Eutanasia
ELUANA. D'agostino: questa entenza toglie dignità alla vita 148 KB

15 Novembre 2008 - Corrieredellasera
Eutanasia
ELUANA. Bagnasco: la sua vita non appartiene ai giudici 126 KB

17 Novembre 2008 - Corrieredellasera
Eutanasia
ELUANA. Ruini: dalla Cassazione un tragico sbaglio 106 KB

15 Novembre 2008 - Corrieredellasera
Eutanasia
ELUANA. Pronto un ricorso a Strasburgo 83 KB

16 Novembre 2008 - Unità
Eutanasia
ELUANA. Casale: basta accanirsi 95 KB

15 Novembre 2008 - Sole24ore
Fine Vita
Serve subito una legge 251 KB

17 Novembre 2008 - Giornale
Fine Vita
Roccella: ecco come sarà la legge 154 KB

17 Novembre 2008 - Giornale
Politiche Familiari
Berlusconi: entro una settimana aiuti a famiglie e imprese 169 KB

15 Novembre 2008 - Avvenire
Campiglio: l'unica cura è il quoziente familiare 149 KB

16 Novembre 2008 - Avvenire
Scuola
Materne paritarie: ora basta promesse 245 KB

Papa: i libanesi seguano la via della riconciliazione e la comunità internazionale li aiuti


Benedetto XVI plaude ai passi compiuti a livello nazionale dopo gli accordi di Doha ed invita a non fare del Paese un “terreno di scontro di conflitti relgionali o internazionali”. La Santa Sede prosegue con determinazione il suo impegno a favore della pace in Libano ed in tutto il Medio Oriente.


Città del Vaticano (AsiaNews) – I libanesi mettano da parte gli interessi particolari e si impegnino concretamente per intraprendere un cammino di riconciliazione e di pace, al quale la comunità internazionale dia il suo contributo “evitando di fare del Paese un terreno di confronto per i conflitti rehionali o internazionali”. E’ l’auspicio che Benedetto XVI fa per il futuro del Libano, Paese a favore del quale la Santa Sede conferma “con determinazione” il proprio impegno, nelle parole he il Papa ha rivolto oggi al nuovo ambasciatore libanese, Georges Chakib El Khoury, in occasione della presentazione delle credenziali.

Ricco di una “cultura antica” e di numerose confessioni religiose “che hanno mostrato di poter vivere insieme”, il Libano, posto, ha detto Benedetto XVI, “al centro di un complesso contesto regionale”, ha “la missione fondamentale di contribuire alla pace ed alla conclordia di tutti”. L’esperienza di vita e di collaborazione intercomunitaria fanno del Paese dei cedri un “tesoro” che i libanesi “hanno il dovere di preservare e far fruttificare per il bene dell’intera nazione. Al tempo stesso, auspico – ha proseguito il Papa – che la comunità internazionale lo protegga e lo valorizzi e che, attraverso un impegno concreto, constribuisca ad evitare di fare di questo Paese un terreno di confronto per conflitti regionali o internazionali. In tal modo, il Libano dovrebbe essere come un laboratorio per la ricerca di soluzioni efficaci ai conflitti che agtato da così tanto tempo il Medio Oriente”.

In tale prospettiva, Benedetto XVI ha salutato come positivo quanto compiuto dopo l’accordo di Doha, citando, in particolare, l’elezione del presidente della Repubblica, la creazione di un governo di unità nazionale e l’approvazione della nuova legge elettorale ed auspicando che il “dialogo nazionale” lanciato alcune settimane fa, “sia certamente l’occasione di affrontare le sfide che il Paese deve affrontare oggi”. “L’atteggiamento fondamentale che deve guidare ciascuno nell’impegno al servizio del bene comune deve rimanere immutato: che ogni componente del popolo libanese si senta veramente a casa sua in Libano e veda che le sue preoccupazioni e le sue legittime attese sono prese in considerazione. Per questo va promossa, pecialmente tra i giovani, una vera educazione delle coscienze alla pace, alla riconciliazione ed al dialogo”.

“In questa tappa importante che conosce il Paese”, ha concluso Bendeetto XVI, “la Santa Sede continua a seguire con grande attenzione gli sviluppi della situazione e porta un interesse particolare agli sforzi dispiegati per una sistemaione definitiva delle questioni alle quali il Liano deve fare fronte. Particolarmente sensibile alle sofferenze che da così tanto tempo conoscono le popolazioni del Medio Oriente, la Santa Sede prosegue con determinazione il suo impegno a favore della pace e della riconciliazione in Libano ed in tutta questa regione così cara al cuore dei credenti”.

L’ambasciatore Georges Chakib El Khoury, è nato a Baabda il 17 novembre 1952, è sposato ed ha tre figli.

Cina - Donna uighuiri costretta all'aborto per la legge del figlio unico

La donna uighuri attende il 3° figlio, ma per le autorità può averne solo 2 e la ricoverano in ospedale per abortire. Il marito denuncia il caso e scoppiano proteste nel Paese e all’estero.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – E’ nel letto numero 3 dell’Ospedale Water Gate a Gulja (Xinjiang) guardata a vista Arzigul Tursun, donna uighuri incinta di 6 mesi e mezzo, che le autorità vogliono far abortire con la forza perché è il terzo figlio, mentre ha il permesso per averne solo 2.

Un’infermiera spiega “la procedura”: “Si fa un’iniezione, allora lei prova dolori addominali e il bambino viene fuori da solo”. Aggiunge che non hanno fatto “ancora nulla”, perché ci sono state molte proteste per la salute della donna, incita di 26 settimane.

In Cina vige la politica del figlio unico, con severe multe e altre sanzioni per chi la viola. Gli uighuri, come minoranza etnica, possono averne 2 se residenti in città e 3 se rurali. Tursun è una contadina, ma il marito Nurmemet Tohtisin è della città di Gulja (Yining in cinese) e vivono nel villaggio di Bulaq (vicino Dadamtu): per cui il loro status è incerto.

Tohtisin spiega – prima che le autorità gli sequestrassero il telefono cellulare - che quando la moglie “ha lasciato il villaggio per non abortire, polizia e funzionari del Partito comunista… sono venuti a interrogarci. Il vicecapo del villaggio Wei Yenhua, una donna di etnia cinese, ha minacciato di confiscarci la terra e ogni proprietà, se non riportavamo Arzigul al villaggio”. E’ tornata. L’11 novembre Rachide, funzionaria della Commissione per la pianificazione familiare, l’ha scortata e ricoverata in modo coatto all’ospedale di Gulja. L’aborto, fissato per il 13 novembre, è stato rinviato al 17 per le molte telefonate di protesta di uighuri locali e dall’esilio, con interventi persino di parlamentari Usa presso l’ambasciatore cinese Zhou Wenzhong. Ora le autorità insistono con i coniugi perché firmino una “autorizzazione”.

Rashide spiega che se l’aborto non fosse possibile, ad esempio per ragioni di salute della madre, la coppia “dovrebbe pagare 45mila yuan di multa (circa 4.500 euro), una grande somma che loro non hanno”.

sabato 15 novembre 2008

Un aforisma al giorno - 82

"Per litigare occorre essere in tre. È necessaria la presenza del paciere. Non si può raggiungere il potenziale pieno della furia umana senza l'intervento strategico di un amico di ambo le parti".



G. K. Chesterton, La Chiesa viva (titolo originale: The Thing)

venerdì 14 novembre 2008

Eluana Englaro - Melazzini: anch'io mangio grazie a un sondino, e dico che questa sentenza è un omicidio.


L'intervista al dott. Mario Melazzini (nella foto) da IlSussidiario.net

«Ricorso inammissibile»: due parole tremende, per dire che tornare indietro non si può. La sentenza che condanna a morte Eluana Englaro non può essere cancellata, e il suo tragico effetto non può essere bloccato. Questo ha deciso ieri sera la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso della procura di Milano.
Potrebbe essere l’ultimo atto, epilogo di una lunga vicenda in cui nessuno esce vincitore, e solo una persona, di certo, esce sconfitta: Eluana stessa. Di questa sconfitta è convinto Mario Melazzini, presidente della Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), e malato di Sla dal 2002. Una sconfitta che suona particolarmente tragica per chi, come lui, condivide con Eluana l’aspetto centrale di tutta questa vicenda: il fatto di mangiare e bere grazie all’aiuto di un sondino.

Dottor Melazzini, che cos’ha provato sentendo questa ultima sentenza?

Enorme tristezza. Anche se da qualcuno potrà essere vissuta come una vittoria, io dico che in queste situazioni non ci possono essere né vinti né vincitori, ma solo sconfitti. E una cosa esce sconfitta in particolare: la vita. Sentendo dichiarazioni di vittoria fatte anche da persone non direttamente coinvolte, mi vien da dire che forse dobbiamo interrogarci, come società che si dice civile, su quale sia il valore che diamo alla vita. È o no un valore assoluto? Alcuni dicono che è stata fatta la volontà di Eluana: ma come si fa a desumere la volontà, come accade nella sentenza, in base solo ed esclusivamente a modelli di vita? A me come cittadino, come persona e anche come malato questa cosa fa molto, molto male: la vita vista come accettabile solo se adeguata a certi modelli.

Cosa si sentirebbe di dire alla famiglia di Eluana?

Io mi sento vicino a quella povera famiglia, indipendentemente da tutto. Non so cosa faranno ora, e se effettivamente metteranno in pratica l’ultimo atto, che non sarà un accompagnamento ma un vero e proprio omicidio. Questo mi sembra doveroso dirlo, come uomo ma anche e soprattutto come medico: l’alimentazione e l’idratazione non sono strumenti terapeutici, e come tali non sono mai identificabili come atto di accanimento terapeutico. Eluana non è una persona malata: Eluana è solo disabile.

Ciò che ieri ha stupito è l’aridità di una sentenza che giudica tecnicamente inammissibile un ricorso: un semplice meccanismo giuridico, che decide della vita di una persona.

Questa è la cosa che io trovo veramente assurda, e cioè che riguardo a un valore e un bene inalienabile e indisponibile si possa decidere sul da farsi solo ed esclusivamente in base a uno strumento giuridico. Questo sia detto con tutto il rispetto per il lavoro della magistratura. Ma il fatto che i magistrati giudichino inammissibile il ricorso solo dal punto di vista procedurale, e non per i contenuti, forse dovrebbe far concludere che non abbiano preso bene in visione quello che dice l’articolo 2 della Costituzione. Si cita sempre e solo l’articolo 32, e non si ricorda mai che all’articolo 2 si parla di «diritti inalienabili» da riconoscere e garantire. Comunque, fa male e dà molto da pensare il fatto che in un’aula fredda di tribunale vengano decisi alcuni valori che sono indiscutibili.

Cosa accadrà ora? Molti pensano che sia un semplice automatismo: si stacca una spina e tutto finisce. Ma cosa accadrà realmente ad Eluana, se si dovesse dare esecuzione alla sentenza?

L’idea che il tutto possa risolversi con una sorta di automatismo è figlia di una concezione, gravissima, secondo cui in realtà Eluana non è più una persona viva. Basta staccare una spina, il sondino, e punto e a capo. Non sarà così: morirà di fame e di sete, cioè con una delle morti più atroci che ci possono essere. Questo è doloroso ma deve essere detto, visto che molti pensano e affermano che quella di Eluana non è vita. Io posso affermare, come medico, che sarà una morte atroce, e dovrà essere “controllata”, come accaduto nel caso di Terry Schiavo. Alcuni fautori di questa sentenza e presunti uomini di scienza sostengono che il danno subito da Eluana a livello corticale, cioè della corteccia cerebrale, coinvolgerebbe anche le strutture deputate al controllo della sete e di alcune sensazioni, come il dolore. Ma se fosse così non ci sarebbe ragione di trattare con analgesici maggiori le ultime ore della vita, come accaduto con la povera Terry Schiavo. A Terry furono date forti dosi di morfina. È come mettersi a posto la coscienza, nel caso in cui quella teoria fosse erronea. Significa che presumiamo che lei proverà grande dolore.

La sua malattia costringe anche lei, come Eluana, alla nutrizione attraverso il sondino: che effetto le fa sentire che questa condizione possa essere considerata in contrasto con la dignità della vita?

Mi sento profondamente offeso come malato, e non solo per me, ma anche per i tanti malati che si trovano in condizioni simili a quelle di Eluana, con alimentazione e idratazione artificiale. Tutte queste persone hanno la loro vita; e la vita ha un valore intorno al quale non possono essere prese decisioni, come se la dignità fosse legata al concetto di qualità. Io ne sono estremamente convinto: la dignità di ogni vita ha un carattere intrinseco, ontologico. Mi è rimasta impressa un’intervista fatta alle persone che accudiscono Eluana. Dicevano: «oggi Eluana è molto bella». Perché nessuno parla del fatto che ci sono persone che si occupano di lei, che la vestono, la cambiano, le fanno fare fisioterapia. Per una persona morta sarebbe tempo sprecato Ma Eluana è viva. Purtroppo si pesa spesso che casi come questo, che danno molto disagio, sia molto meglio risolverli. E la cosa più grave è che tutto questo ci distrae da tutti gli altri soggetti che sono a carico delle famiglie, le quali hanno bisogno di strumenti e di sostegno economico per portare avanti queste situazione. Sono costretti a lottare per essere liberi di vivere. È un paradosso: è più tutelata la decisione di interrompere una vita che non la scelta di chi vuole continuare ad esercitare un diritto sacrosanto, come la vita stessa. E così la scelta della vita diventa una battaglia quotidiana.