La donna uighuri attende il 3° figlio, ma per le autorità può averne solo 2 e la ricoverano in ospedale per abortire. Il marito denuncia il caso e scoppiano proteste nel Paese e all’estero.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – E’ nel letto numero 3 dell’Ospedale Water Gate a Gulja (Xinjiang) guardata a vista Arzigul Tursun, donna uighuri incinta di 6 mesi e mezzo, che le autorità vogliono far abortire con la forza perché è il terzo figlio, mentre ha il permesso per averne solo 2.
Un’infermiera spiega “la procedura”: “Si fa un’iniezione, allora lei prova dolori addominali e il bambino viene fuori da solo”. Aggiunge che non hanno fatto “ancora nulla”, perché ci sono state molte proteste per la salute della donna, incita di 26 settimane.
In Cina vige la politica del figlio unico, con severe multe e altre sanzioni per chi la viola. Gli uighuri, come minoranza etnica, possono averne 2 se residenti in città e 3 se rurali. Tursun è una contadina, ma il marito Nurmemet Tohtisin è della città di Gulja (Yining in cinese) e vivono nel villaggio di Bulaq (vicino Dadamtu): per cui il loro status è incerto.
Tohtisin spiega – prima che le autorità gli sequestrassero il telefono cellulare - che quando la moglie “ha lasciato il villaggio per non abortire, polizia e funzionari del Partito comunista… sono venuti a interrogarci. Il vicecapo del villaggio Wei Yenhua, una donna di etnia cinese, ha minacciato di confiscarci la terra e ogni proprietà, se non riportavamo Arzigul al villaggio”. E’ tornata. L’11 novembre Rachide, funzionaria della Commissione per la pianificazione familiare, l’ha scortata e ricoverata in modo coatto all’ospedale di Gulja. L’aborto, fissato per il 13 novembre, è stato rinviato al 17 per le molte telefonate di protesta di uighuri locali e dall’esilio, con interventi persino di parlamentari Usa presso l’ambasciatore cinese Zhou Wenzhong. Ora le autorità insistono con i coniugi perché firmino una “autorizzazione”.
Rashide spiega che se l’aborto non fosse possibile, ad esempio per ragioni di salute della madre, la coppia “dovrebbe pagare 45mila yuan di multa (circa 4.500 euro), una grande somma che loro non hanno”.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – E’ nel letto numero 3 dell’Ospedale Water Gate a Gulja (Xinjiang) guardata a vista Arzigul Tursun, donna uighuri incinta di 6 mesi e mezzo, che le autorità vogliono far abortire con la forza perché è il terzo figlio, mentre ha il permesso per averne solo 2.
Un’infermiera spiega “la procedura”: “Si fa un’iniezione, allora lei prova dolori addominali e il bambino viene fuori da solo”. Aggiunge che non hanno fatto “ancora nulla”, perché ci sono state molte proteste per la salute della donna, incita di 26 settimane.
In Cina vige la politica del figlio unico, con severe multe e altre sanzioni per chi la viola. Gli uighuri, come minoranza etnica, possono averne 2 se residenti in città e 3 se rurali. Tursun è una contadina, ma il marito Nurmemet Tohtisin è della città di Gulja (Yining in cinese) e vivono nel villaggio di Bulaq (vicino Dadamtu): per cui il loro status è incerto.
Tohtisin spiega – prima che le autorità gli sequestrassero il telefono cellulare - che quando la moglie “ha lasciato il villaggio per non abortire, polizia e funzionari del Partito comunista… sono venuti a interrogarci. Il vicecapo del villaggio Wei Yenhua, una donna di etnia cinese, ha minacciato di confiscarci la terra e ogni proprietà, se non riportavamo Arzigul al villaggio”. E’ tornata. L’11 novembre Rachide, funzionaria della Commissione per la pianificazione familiare, l’ha scortata e ricoverata in modo coatto all’ospedale di Gulja. L’aborto, fissato per il 13 novembre, è stato rinviato al 17 per le molte telefonate di protesta di uighuri locali e dall’esilio, con interventi persino di parlamentari Usa presso l’ambasciatore cinese Zhou Wenzhong. Ora le autorità insistono con i coniugi perché firmino una “autorizzazione”.
Rashide spiega che se l’aborto non fosse possibile, ad esempio per ragioni di salute della madre, la coppia “dovrebbe pagare 45mila yuan di multa (circa 4.500 euro), una grande somma che loro non hanno”.
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