Il giudice tutelare del Tribunale di Modena, Guido Stanzani, ha depositato ieri il decreto con il quale ha accolto la richiesta di un uomo che, ancora in ottime condizioni di salute, chiedeva, in caso di malattia invalidante, di nominare la moglie “proprio amministratore di sostegno”, vale a dire “garante delle sue volontà di fine vita”.
In sostanza il giudice gli ha concesso “in caso di malattia terminale o irreversibile”, di “non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico”.
Dunque in caso di malattia invalidante, nello specifico, sarà la moglie, nominata con atto notorio amministratrice di sostegno, a decidere quali terapie salvavita adottare per conto del marito. In sostanza, siccome le volontà dell’uomo sono quelle di non essere sottoposto a terapie che in ogni caso non porterebbero alla propria guarigione, sarà la moglie, decreto alla mano, ad intimare lo “stop” alle cure e a negare il consenso ai sanitari a praticare alla persona trattamento terapeutico alcuno e, in specifico - precisa il giudice Stanzani - “rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie antibiotiche, ventilazione”.
Ma il giudice va oltre nella sua capillare analisi della situazione fisica in cui potrebbe venirsi a trovare la persona e richiamando “i sanitari all’obbligo di prestare alla persona, ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più efficaci, compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei”, dà mandato alla moglie di negare agli stessi sanitari “l’idratazione e l’alimentazione forzata e artificiale”.
Quest’ultima precisazione si ricollega ad una vicenda da mesi d’attualità, quella di Eluana Englaro, in coma irreversibile da anni, tenuta in vita vegetativa giusto attraverso idratazione, alimentazione forzate ed artificiale.
La decisione, secondo noi, non ha alcuna legittimità ed è preoccupante proprio per la sua creatività contra legem.
In sostanza il giudice gli ha concesso “in caso di malattia terminale o irreversibile”, di “non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico”.
Dunque in caso di malattia invalidante, nello specifico, sarà la moglie, nominata con atto notorio amministratrice di sostegno, a decidere quali terapie salvavita adottare per conto del marito. In sostanza, siccome le volontà dell’uomo sono quelle di non essere sottoposto a terapie che in ogni caso non porterebbero alla propria guarigione, sarà la moglie, decreto alla mano, ad intimare lo “stop” alle cure e a negare il consenso ai sanitari a praticare alla persona trattamento terapeutico alcuno e, in specifico - precisa il giudice Stanzani - “rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie antibiotiche, ventilazione”.
Ma il giudice va oltre nella sua capillare analisi della situazione fisica in cui potrebbe venirsi a trovare la persona e richiamando “i sanitari all’obbligo di prestare alla persona, ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più efficaci, compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei”, dà mandato alla moglie di negare agli stessi sanitari “l’idratazione e l’alimentazione forzata e artificiale”.
Quest’ultima precisazione si ricollega ad una vicenda da mesi d’attualità, quella di Eluana Englaro, in coma irreversibile da anni, tenuta in vita vegetativa giusto attraverso idratazione, alimentazione forzate ed artificiale.
La decisione, secondo noi, non ha alcuna legittimità ed è preoccupante proprio per la sua creatività contra legem.
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