Continuando ad illustrare il pensiero di San Paolo, Benedetto XVI parla della “attesa del ritorno del Signore”. Essa non giusitifica disinteresse per ciò che ci circonda. L’atteggiamento del cristiano “riguardo alle cose ultime”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Il cristiano attende con speranza il ritorno di Gesù, ma questo atteggiamento, se gli crea libertà interiore di fronte alle paure del mondo, accresce la sua responsabilità verso i fratelli e quando prega “vieni Gesù” non chiede la fine del mondo, quanto la fine dell’ingiustizia, del rifiuto di Dio, della violenza.
E’ l’insegnamento di San Paolo sul quale oggi si è centrata l’attenzione di Benedetto XVI che, ai 15mila fedeli presenti all’udienza generale, in una uggiosa giornata novembrina, ha parlato della “nuova prospettiva” aperta dalla Risurezione, “l’attesa del ritorno del Signore”, “il rapporto tra il tempo presente e il futuro, quando Cristo consegnerà il regno al Padre”.
Scritta intorno all’anno 52 la Lettera ai Tessallonicesi parla di “parousia”, “avvento”. Con “accento quanto mai vivo e immagini simboliche”, essa propone “un messaggio semplice: alla fine saremo sempre con il Signore”, “il nostro futuro è essere con il Signore”. “In quanto da credenti siamo già con il Signore, il futuro è già comnciato”. Nella II lettera ai Tessalonicesi, poi, Paolo “parla di eventi negativi che dovranno precedere l’evento finale”. Dice che “non bisogna lasciarsi ingannanre come se il ritorno fosse già imminente” e che “prima dell’arrivo vi sarà l’apostasia e ci dovra essere un non bene identificato uomo iniquo che poi la tradizione chiamerà l’anticristo”.
Il Papa ha sottolineato come “l’attesa non dispensa dall’impegno in questo mondo, ma al contrario crea responsabilità, cresce la nostra responsabilità di lavorare in questo mondo”. Benedetto XVI ha ricordato in proposito la parabola dei talenti, là dove il Signore chiede: “Avete portato frutto?”, per ribadire che “l’attesa del ritorno implica responsabilità per questo mondo”.
E’ un atteggiamento che si ritrova nello stesso Paolo, quando “è in carcere e aspetta la sentenza che può essere di morte. Pensa al suo futuro con il Signore, ma anche alla sua comunità. “Per me vivere è Cristo, ma se vivere significa lavorare con frutto non so davvero cosa scegliere: da una parte essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, dall’altra rimanere nella carne per essere di aiuto a voi”. “Paolo non ha paura della morte, al contrario essa indicherebbe il completo essere con Gesù. ma Paolo parteicpa i sentimenti di Gesù, che non ha vissuto per sé, ma per noi. Diventa il suo programma per la vita, disponibilità a cosa deciderà Dio. Vivere per Cristo e così per il rinnovamento del mondo”. La fede “crea grande libertà interire anche di fronte alla morte”.
“Possiamo adesso domandarci quali sono gli atti fondamentali del cristiano riguardo alle cose ultime.”. “In primo luogo la certezza che Gesù è risorto e col Padre è con noi per sempre e nessuno è più forte di Cristo: siano sicuri e liberati dalla paura” che “era diffusa nel mondo di allora ed anche oggi i missionari trovano accanto a cose buone la paura degli spiriti, di poteri che ci sovrastano”. Secondo. la certezza che Cristo è con me e come in Gesù il mondo futuro è già cominciato”, “certezza delle speranza”, “il futuro non è buio, anche oggi c’è tanta paura del futuro il cristiano sa che il futuro non è buio”. Terzo, “il giudice che ritorna è giudice e salvatore insieme”. Dio “ci ha consegnato i suoi talenti e perciò abbiamo responsablità per il mondo e i fratelli davanti a Cristo, ma nella certezza della sua misericordia”. Bene e male non uguali, siamo incarcati di lavorare perché questo mondo sia aperto a Gesù. Cristo è giudice, ma è buono e perciò possiamo esseere sicuri della sua bontà e andare avanti con grnande coraggio”.
Ultimo punto “un po’ difficile”, affrontato dl Papa è quando Paolo alla fine della II Lettera ai Corinzi “ripete una preghiera nata dalle prime comuità cristiane dell’area palestinese: maranatà, Signore vieni”. “Possiamo pregare anche noi così, ma sembra che per noi oggi è difficile pregare che perisca questo mondo”. Però “possiamo dire vieni Gesù. Certo non vogliamo la fine del mondo, ma vogliamo che finisca questo mondo ingiusto, che sia fondamentalmente cambiato, che sia di giustizia e di pace, senza violenza, senza fame, tutto questo vogliamo e come potrebbe succedere senza la presenza di Cristo? Senza presenza di Cristo non verrà mai un mondo giusto e rinnovato: dobbiamo dire anche noi con grande urgenza nelle circostanze del nostro tempo, 'vieni dove c'è ingiustizia e violenza, nei campi dei profughi nel Darfur, nel nord Kivu, vieni dove domina la droga, vieni anche dove i ricchi ti hanno dimenticato, e per loro sei sconosciuto; vieni e rinnova i nostri cuori, vieni nel nostro cuore perché noi stessi possiamo divenire presenza tua, luce, in questo senso preghiamo con san Paolo 'maranatà', vieni Gesù,', e che Cristo sia realmente presente oggi nel nostro mondo e lo rinnovi”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Il cristiano attende con speranza il ritorno di Gesù, ma questo atteggiamento, se gli crea libertà interiore di fronte alle paure del mondo, accresce la sua responsabilità verso i fratelli e quando prega “vieni Gesù” non chiede la fine del mondo, quanto la fine dell’ingiustizia, del rifiuto di Dio, della violenza.
E’ l’insegnamento di San Paolo sul quale oggi si è centrata l’attenzione di Benedetto XVI che, ai 15mila fedeli presenti all’udienza generale, in una uggiosa giornata novembrina, ha parlato della “nuova prospettiva” aperta dalla Risurezione, “l’attesa del ritorno del Signore”, “il rapporto tra il tempo presente e il futuro, quando Cristo consegnerà il regno al Padre”.
Scritta intorno all’anno 52 la Lettera ai Tessallonicesi parla di “parousia”, “avvento”. Con “accento quanto mai vivo e immagini simboliche”, essa propone “un messaggio semplice: alla fine saremo sempre con il Signore”, “il nostro futuro è essere con il Signore”. “In quanto da credenti siamo già con il Signore, il futuro è già comnciato”. Nella II lettera ai Tessalonicesi, poi, Paolo “parla di eventi negativi che dovranno precedere l’evento finale”. Dice che “non bisogna lasciarsi ingannanre come se il ritorno fosse già imminente” e che “prima dell’arrivo vi sarà l’apostasia e ci dovra essere un non bene identificato uomo iniquo che poi la tradizione chiamerà l’anticristo”.
Il Papa ha sottolineato come “l’attesa non dispensa dall’impegno in questo mondo, ma al contrario crea responsabilità, cresce la nostra responsabilità di lavorare in questo mondo”. Benedetto XVI ha ricordato in proposito la parabola dei talenti, là dove il Signore chiede: “Avete portato frutto?”, per ribadire che “l’attesa del ritorno implica responsabilità per questo mondo”.
E’ un atteggiamento che si ritrova nello stesso Paolo, quando “è in carcere e aspetta la sentenza che può essere di morte. Pensa al suo futuro con il Signore, ma anche alla sua comunità. “Per me vivere è Cristo, ma se vivere significa lavorare con frutto non so davvero cosa scegliere: da una parte essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, dall’altra rimanere nella carne per essere di aiuto a voi”. “Paolo non ha paura della morte, al contrario essa indicherebbe il completo essere con Gesù. ma Paolo parteicpa i sentimenti di Gesù, che non ha vissuto per sé, ma per noi. Diventa il suo programma per la vita, disponibilità a cosa deciderà Dio. Vivere per Cristo e così per il rinnovamento del mondo”. La fede “crea grande libertà interire anche di fronte alla morte”.
“Possiamo adesso domandarci quali sono gli atti fondamentali del cristiano riguardo alle cose ultime.”. “In primo luogo la certezza che Gesù è risorto e col Padre è con noi per sempre e nessuno è più forte di Cristo: siano sicuri e liberati dalla paura” che “era diffusa nel mondo di allora ed anche oggi i missionari trovano accanto a cose buone la paura degli spiriti, di poteri che ci sovrastano”. Secondo. la certezza che Cristo è con me e come in Gesù il mondo futuro è già cominciato”, “certezza delle speranza”, “il futuro non è buio, anche oggi c’è tanta paura del futuro il cristiano sa che il futuro non è buio”. Terzo, “il giudice che ritorna è giudice e salvatore insieme”. Dio “ci ha consegnato i suoi talenti e perciò abbiamo responsablità per il mondo e i fratelli davanti a Cristo, ma nella certezza della sua misericordia”. Bene e male non uguali, siamo incarcati di lavorare perché questo mondo sia aperto a Gesù. Cristo è giudice, ma è buono e perciò possiamo esseere sicuri della sua bontà e andare avanti con grnande coraggio”.
Ultimo punto “un po’ difficile”, affrontato dl Papa è quando Paolo alla fine della II Lettera ai Corinzi “ripete una preghiera nata dalle prime comuità cristiane dell’area palestinese: maranatà, Signore vieni”. “Possiamo pregare anche noi così, ma sembra che per noi oggi è difficile pregare che perisca questo mondo”. Però “possiamo dire vieni Gesù. Certo non vogliamo la fine del mondo, ma vogliamo che finisca questo mondo ingiusto, che sia fondamentalmente cambiato, che sia di giustizia e di pace, senza violenza, senza fame, tutto questo vogliamo e come potrebbe succedere senza la presenza di Cristo? Senza presenza di Cristo non verrà mai un mondo giusto e rinnovato: dobbiamo dire anche noi con grande urgenza nelle circostanze del nostro tempo, 'vieni dove c'è ingiustizia e violenza, nei campi dei profughi nel Darfur, nel nord Kivu, vieni dove domina la droga, vieni anche dove i ricchi ti hanno dimenticato, e per loro sei sconosciuto; vieni e rinnova i nostri cuori, vieni nel nostro cuore perché noi stessi possiamo divenire presenza tua, luce, in questo senso preghiamo con san Paolo 'maranatà', vieni Gesù,', e che Cristo sia realmente presente oggi nel nostro mondo e lo rinnovi”.
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