lunedì 31 gennaio 2011

Da Gianfranco Amato - Ecco l'ultima degli inglesi...

Partorire un fratellastro

Autore: Amato, Gianfranco  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
Immagine
venerdì 28 gennaio 2011

Mackenzie Jarvis è una bambina di due anni che vive a Sheffield in Gran Bretagna, e che un giorno potrebbe diventare madre del figlio di sua madre, cioè del proprio fratellastro o della propria sorellastra.
Non si tratta di perversa fantascienza, ma di allucinante realtà. 
Penny Jarvis, la madre venticinquenne di Mackenzie, intende infatti congelare i propri ovociti per farli impiantare, una volta fecondati dal futuro genero, nell'utero della figlia. Il motivo di questa surreale decisione risiede nel fatto che la piccola soffre di una particolare patologia – la sindrome di Turner – che tra i vari effetti invalidanti prevede anche quello della sterilità. A causa di quella sindrome, tra l'altro, Mackenzie deve assumere una dose giornaliera di ormoni della crescita, e soffre di sordità. E' una bimba che deve essere accudita a tempo pieno, ed il cui futuro esistenziale si prospetta alquanto difficile.
Ciò nonostante, la signora Penny Jarvis pare essere ossessionata dall'idea che la propria figlia non possa vivere un giorno l'esperienza della maternità biologica, e che a lei possa essere negato il diritto alla continuità di questo nuovo idolo chiamato acido desossiribonucleico (DNA). E per questo la Jarvis è disposta a diventare madre del proprio nipote: «E' bello sapere che se Mackenzie avrà un figlio attraverso i miei ovociti, il bimbo potrà condividere il suo patrimonio genetico, ed avrà dentro di sé una parte di lei». Che non si tratti, poi, del semplice desiderio di diventare nonna, lo dimostra il fatto che Penny Jarvis oltre a Mackenzie, ha altri tre figli, Morgan, di sei anni, i gemelli William e Abigail, di tre anni, e Jaymie-Leigh nata da cinque mesi.
L'intenzione reale di Penny Jarvis sarebbe quella di convincere, un giorno, le altre figlie a donare, quando sarà necessario, i propri ovuli alla sorella. In previsione di un possibile rifiuto, però, la donna intende premunirsi congelando i propri ovociti. L'iniziativa sarebbe quindi soltanto un espediente precauzionale. 
Di fronte alle prevedibili perplessità da parte dell'opinione pubblica, la Jarvis difende accanitamente la propria scelta, invocando il dovere morale dei genitori di dare il meglio ai propri figli («to do the best for my child»). La donna è anche riuscita ad avere una convinta approvazione da parte del suo gruppo Facebook composto da genitori di bimbi affetti dalla sindrome di Turner, i quali sono stati persino affascinati dall'iniziativa, che hanno definito «a great idea». Non è quindi escluso che tale pratica possa diffondersi nell'ambiente, sempre all'insegna del «to do the best for my child».
E' interessante notare cosa prevede la legge britannica in questi casi.
Nel 2009 un emendamento alla Human Fertilisation and Embryology Act, la normativa che regola la materia, ha ampliato il tempo massimo previsto per il congelamento di embrioni ed ovociti, portandolo da cinque a dieci anni. E' comunque possibile estendere tale termine fino a 55 anni, a determinate condizioni.
L'avvocato Louisa Ghevaert, esperta di diritto familiare, ha precisato che «i nuovi progressi della biotecnologia ora consentono ad una madre di congelare i propri ovuli per poterli utilizzare in favore della figlia, quando quest'ultima, a seguito di comprovato accertamento medico, risulti sterile». «In questi casi», prosegue l'avvocato Ghevaert, «ricorrendo alla normativa vigente in tema di donazioni degli ovociti, la figlia può essere considerata legalmente madre del bimbo partorito, indipendentemente dagli aspetti di natura biologica».
Un portavoce della Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), l'autorità che regola il settore, ha confermato la piena legittimità della procedura che intende adottare la signora Penny Jarvis, in quanto permessa nel Regno Unito.
Qualora l'inquietante trovata della Jarvis andasse in porto, con il conforto della legge, verrebbe introdotta una nuova figura all'interno della classica parentela, così come conosciuta dagli albori della civiltà. Si tratterebbe del "nipotiglio", un ibrido metà figlio e metà nipote. Il malcapitato rampollo di Mackenzie, infatti, si troverà un giorno nell'inconsueta situazione di essere figlio biologico della nonna e fratellastro della madre e degli zii.
Come tutto ciò non riesca a suscitare un sussulto di orrore, dal punto di vista etico-sociale, appare davvero incredibile.
Tra coloro che, fortunatamente, riescono ancora a stupirsi c'è Josephine Quintavalle, presidente del CORE Comment of Reproductive Ethics, che, pur esprimendo «una piena comprensione umana per il dolore della madre causato dalla particolare situazione della figlia», ritiene di «non credere che il congelamento degli ovuli possa rappresentare una soluzione, né dal punto di vista pratico, né sotto un profilo etico».
Sempre secondo Josephine Quintavalle appare «necessario ponderare accuratamente le conseguenze psicologiche per un ipotetico bambino nato da una donazione intergenerazionale», considerando che «la complessità di simili relazioni è spesso impossibile da analizzare». «Gli psicologi», continua la presidente del CORE, «stanno già parlando di genealogical bewilderment, cioè del trauma derivante dalla confusione genealogica, dato che la donazione di ovociti, di sperma, e la maternità surrogata consentono un numero sempre maggiore di concepimenti artificiali». 
Il termine genalogical bewilderment è stato coniato nel 1964 dallo psicologo H. J. Sants, e oggi sta drammaticamente tornando a far discutere gli esperti, proprio a causa delle nuove frontiere che la biotecnologica ha raggiunto nel campo della riproduzione umana.
Lo scorso novembre a Città del Messico una donna cinquantenne ha accettato di mettere a disposizione il proprio utero per consentire al figlio omosessuale Jorge di avere un bimbo. Grazie alla generosità di un'amica, che ha donato i propri ovuli, Jorge è potuto ricorrere alla fecondazione in vitro. Il fatto è, però, che dopo aver tenuto in grembo per nove mesi l'ovulo di un'estranea fecondato con lo sperma del proprio figlio, la donna ha confessato di sentirsi alquanto «strana» e «confusa», non riuscendo a comprendere più quale fosse il limite tra l'essere madre e l'essere nonna. 
Questo caso dimostra che la confusione comincia ad allargarsi, e non si limita solo al disagio psicologico dello sciagurato che viene al mondo. Coinvolge altri ruoli della dimensione comunitaria parentale, e per la prima volta il genealogical bewilderment si estende a nonne, madri, padri, fratelli, zii. Il rischio è quello del cedimento strutturale dell'intera rete delle relazioni familiari. Un attacco mortale alla struttura portante della società, cui non è estranea la cultura relativista, la quale, attraverso le aberrazioni della bioingegneria, intende rivoluzionare il modello antropologico che abbiamo fin qui conosciuto, considerandolo obsoleto e superato.
La furia distruttiva dell'ideologia ha prevalso sulla ragione, e gli iconoclasti non si rendono nemmeno più conto degli effetti devastanti della loro visione disumana. L'importante è demolire, smantellare, annientare, senza chiedersi se abbia un senso ciò che si intende distruggere, e quale sia l'alternativa a ciò che si intende sostituire.
«Non abbattere mai una palizzata prima di conoscere la ragione per cui fu costruita». John Fitzgerald Kennedy, in un suo quaderno d'appunti del 1945, attribuì questa frase a Keith Gilbert Chesterton. Non sappiamo se il vecchio leone di Beaconsfield la pronunciò davvero (anche se appare verosimile), ma certo si tratta di un aforisma che contiene una saggia e sacrosanta verità.

Fabio Trevisan ed il convegno dell'IVE su Chesterton



Tempo fa vi demmo notizia di un interessantissimo convegno su Chesterton organizzato dai preti dell'Istituto del Verbo Incarnato, una giovane fondazione cattolica volta alla formazione di preti che ha base in Argentina e con una forte propensione, oltre che per il Nostro Gilbert, anche per San Tommaso d'Aquino (le quali cose sono tutte valide ed interessanti!).

Parliamo del convegno di Segni dello scorso dicembre.

Il nostro Fabio Trevisan fu invitato a parlare a questo convegno, e noi ne fummo lietissimi.

In questo post trovate una sintesi di quello che è accaduto ed è stato detto in quei giorni, grazie alla disponibilità di Fabio.

domenica 30 gennaio 2011

Un aforisma al giorno

"Il misticismo tiene gli uomini sani. Fintanto che c’è il mistero, c’è la salute; distrutto il mistero, nasce la malattia. L’uomo qualunque è sempre stato sano perché è sempre stato un mistico. Ammetteva il crepuscolo. Ha sempre tenuto un piede sulla terra e un altro nel paese delle fate. Ha sempre lasciato libero se stesso di mettere in dubbio i suo dèi, ma anche (a differenza degli agnostici di oggi) di credere in essi. Gli è sempre stata più a cuore la verità che la congruenza".
da Ortodossia

Un aforisma al giorno - Chesterton aveva visto la pianta tutta intera e i suoi frutti pur avendo visto solo il germoglio...

"Basterà un cambiamento minimo nell’attuale clima dell’etica finanziaria, e quando l’astuta e vigorosa mentalità affaristica si sarà liberata dell’ultima paralizzante influenza dei dogmi inventati dai preti, il giornalismo e la pubblicità mostreranno per i tabù di oggi la stessa indifferenza che oggi mostrano per i tabù del medio evo. La rapina sarà spiegata come lo è l’usura, e per tagliar gole non occorreranno più sotterfugi di quanti ne occorrono per dominare il mercato. Le edicole risplenderanno di titoli quali La falsificazione in quindici lezioni e Perché sopportare l’infelicità matrimoniale?, e si avrà una divulgazione dell’avvelenamento pienamente scientifica, quanto lo è la divulgazione del divorzio e del controllo delle nascite".
Gilbert Keith Chesterton, Come si scrive un giallo

Come sempre aveva visto tutto... Questo aforisma, buttato lì mentre parlava di storie poliziesche, dimostra in quanta falsità siamo avvezzi a vivere e quanto Gilbert l'aveva vista molto prima che la menzogna uscisse grande e fiorita. La riconobbe quando ancora era un germoglio. Il bello è che oggi pochi la riconoscono come tale, menzogna.
Non soffermiamoci solamente agli effetti, guardiamo alle cause che Gilbert ci indica nelle prime righe.
E' possibile solo pensare un compromesso?
E' per questo che Gilbert si impegnò tanto per il distributismo (e non per i liberali, e non per i conservatori, e non per i laburisti, o per i vari figli di Hegel...). Aveva capito tutto.
A noi proseguire il suo lavoro.

venerdì 28 gennaio 2011

Descriviamo questa rara ma già nota fotografia.

Come qualcuno saprà, in questa foto è ritratto un diciassettenne snello e tonico di nome Gilbert Keith Chesterton (la mostrammo in un post il 25.07.2007: all'Uomo Vivo sembrava ieri, e invece sono passati già tre anni e mezzo...!).
Ora siamo in grado di dirvi chi sono gli altri giovanotti e che cosa stanno facendo.
I giovanotti in questione sono alcuni membri del Junior Debating Club, la prima palestra del giornalista scrittore e critico letterario Chesterton, gruppo nato all'interno della St. Paul's School e che editerà per circa tre anni il giornale The Debater.
La foto è del 1891 e ritrae:
nella riga più in alto da sinistra a destra E. W. Fordham e Digby D'Avigdor;
nella seconda riga, quella mediana, sempre da sinistra a destra Lawrence Solomon e Waldo D'Avigdor;
nella riga in basso, in primo piano, da sinistra a destra Lucian Oldershaw (futuro marito della sorella di Frances Blogg, moglie di Chesterton), il giovane Gilbert e B. N. Langdon - Davies.
La foto e la sua didascalia compaiono nel volume Return to Chesterton, sequel della prima biografia di Chesterton scritta da Maisie Ward.
Interessante, no?






Oggi è San Tommaso d'Aquino e Il Sussidiario lo racconta con le parole di Gilbert

http://t.co/xluFgS6

In questo collegamento trovate la rubrica del santo del giorno de Il Sussidiario in cui si racconta San Tommaso d'Aquino con le parole di Gilbert.

Brava Laura Cioni che ha pensato bene, per raccontare San Tommaso d'Aquino, di usare le parole di colui che noi sosteniamo essere "il San Tommaso d'Aquino del XX e del XXI secolo".

Dal prof. Carlo Bellieni - Caro Paolini, l'eugenetica è più viva che mai


di Carlo Bellieni
27-01-2011

Caro dr Paolini,
complimenti per il suo spettacolo del 26 gennaio sull’Operazione T4 trasmesso su La7, bellissimo e geniale, che fa affiorare alla mente tanti pensieri e giudizi, e pagine di giornale, pagine di attualità.
L’Operazione T4 era il progetto sistematico con cui i medici tedeschi venivano arruolati per sterilizzare e poi eliminare “le bocche inutili”. E tutti sapevano e tutti tacevano; in fondo la propaganda e il pietismo con cui si mascherava il tutto avevano funzionato.
Roba di allora? Come Lei diceva, non il nazismo generò l’eugenetica, ma la cultura eugenetica generò il nazismo. Questo è fondamentale perché se il nazismo è fortunatamente morto, non è morta la memoria e l’azione eugenetica, con lo strascicare di parole “dolci” che mascherano verità atroci. “Vite non degne di esser vissute”, morte per pietà”.  Non c’entra ormai nulla col cadavere putrefatto del nazismo, e per questo la domanda più cocente non è un liberatorio “cosa avreste fatto voi allora?”, ma “Cosa fate voi oggi contro l’eugenetica?”.
Non credo che quella domanda fatta al termine della trasmissione sia stata ben impostata, perché l’eugenetica è ancora tra noi. Esistono certo categorie di persone che vengono emarginate in certi Paesi, come i Rom o gli emigrati, e questo dove succede è uno scandalo e una violenza; ma nessuno gli nega il diritto di essere chiamati persone. Come invece viene ancora negato ad altri, ma non se ne parla. Vediamo.
Come Lei ben sa, la parola “persona” è diventata una parola discriminatoria: viene usata per significare che esistono degli esseri umani che “sono persone” e altri che “non sono persone”; tra questi ultimi, molti filosofi contemporanei (non degli anni ’40!)  indicano i disabili mentali. Ma non per motivi di essere “peso allo Stato”, ma perché “mancano di autonomia”.
E’ facile fare una ricerca in un grande motore di ricerca medica come PubMed, per vedere cosa si intende oggi sotto il termine “eugenetica” e sotto il termine “persona”. Per Patricia Werhane “vari esseri umani, per esempio gli handicappati mentali, e le demenze senili non rientrano nella stretta classificazione di persone” (Theoretical Medicine, 1984) e per Len Doyal (Archives of Disease in Childhood, 1994) anche i bambini senza ritardo ma con grave dolore fisico tale da minarne la capacità di autonomia potrebbero non essere considerati persone; per lui (British Medical Journal, 1994) “i diritti umani dipendono dalla possibilità di esercitarli”.
Ecco che si apre alla “vita di serie B” e si arriva alla discriminazione della vita prenatale dove il bambino non ancora nato non è “una persona” e dove le diagnosi preimpianto vanno addirittura ad eliminare i piccoli embrioni con predisposizioni per malattie o semplicemente portatori di malattie, nemmeno malati. L’American Journal of Hospice and Palliative Care del settembre 2010 spiega che i tutori dei disabili mentali hanno diversi pareri sull’impatto della demenza sui  fattori che riguardano “l’essere persona”, cioè la dignità, il rispetto da parte degli altri e (eccoci!) “avere una vita che merita di essere vissuta”.
Altra cosa dal nazismo, certo; ma come non sentirsi una stretta al cuore?
L’eugenetica non è solo morte, ma mentalità: chi può negare che sia ormai purtroppo affermata l’idea che esista un tipo di persona che vale più delle altre: quella che ha certe caratteristiche; ognuno le adatta a sé, ma il criterio è valido per tutti: chi le ha vale; chi non le ha si accomodi e tolga il disturbo. E’ l’eugenetica di casa nostra, la mentalità dell’apparire, che arriva a isolare anche chi è obeso, e che scusa la figlia che “per pietà”ha ucciso il padre col Parkinson…
Roba antica, dei tempi della guerra? Come Lei ha ben spiegato, caro Paolini, l’eugenetica data da molto prima delle atrocità naziste, parte dalla Belle Epoque. Nella quale le sterilizzazioni prendevano il via culturalmente, si esponevano i soggetti “ritardati”, e nessuno si scandalizzava. Che sia uno specchio della belle époque di oggi?

Messori cita ad esempio Chesterton.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-insegniamo-ai-giovani-lironia-736.htm

In questo articolo lo scrittore e giornalista Vittorio Messori cita ad esempio il Nostro.

Da La Bussola Quotidiana.

giovedì 27 gennaio 2011

Rubbettino Editore presenta Cosa c'è di sbagliato nel mondo (e Cosa c'è di giusto nel mondo) in e-book

Riceviamo e volentieri pubblichiamo quanto ci dice Rubbettino Editore su questa interessante e originale iniziativa della pubblicazione di Cosa c'è di sbagliato nel mondo in versione E-Book.

Noi della SCI siamo entusiasti della ricchezza di proposte su Chesterton e del fatto che finalmente si scopre uno degli aspetti più importanti della personalità e del pensiero di Chesterton.

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Chesterton 2.0 – Cosa c'è di sbagliato nel mondo 
in versione E-BOOK


Rubbettino Editore presenta in ebook la prima traduzione italiana di Cosa c’è di sbagliato nel mondo di Gilbert Keith Chesterton, arricchita da Cosa c’è di giusto nel mondo, un documento inedito qui riportato in versione integrale.
Il volume, tradotto e annotato da Annalisa Teggi, già autrice di una memorabile traduzione chestertoniana de La ballata del cavallo bianco (Raffaelli, 2009), è già disponibile sui principali store on line di ebook.

Il libro: Nel giugno del 1910 Gilbert K. Chesterton dava alle stampe la prima edizione di Cosa c’è di sbagliato nel mondo; un testo rivoluzionario che con lucida ragionevolezza e disarmante ironia getta luce sulla condizione moderna dell’uomo e della società, riguardo a cui si chiama sempre in causa la parola crisi, il più delle volte con dimessa rassegnazione.
Cento anni fa Chesterton considerava i disastri portati dalla disuguaglianza economica, dalla separazione delle famiglie, dalla rovina del sistema educativo, dalla violazione delle libertà fondamentali, in nome dell’idolatria dello Stato e di quella del profitto.
Sono le piccole cose ordinarie le grandi aspirazioni dell’uomo ad esser messe in pericolo: l’uomo comune non chiede altro che un matrimonio d’amore, una piccola casa, professare in pace la propria religione, diventare nonno, godere del rispetto e della stima dei suoi simili e morire di morte naturale.
Il genio di Chesterton sfida il mondo a compiere un passo indietro: non quello di un uomo impaurito che si sottrae alla battaglia, ma quello dell’uomo tutto intero che per buttarsi nell’avventura della vita non ricorre a ricette ideologiche e utopiche sul progresso, ma sta ancorato con saldezza e con audacia alle realtà originarie che sono alle sue spalle. Quelle verità che da sempre suggeriscono che il sigillo della vita è stato impresso nel mondo fin dal tempo della Creazione. L’uomo è sempre lo stesso, il mondo può cambiare come forma ma non nella sostanza. La società è una costruzione umana. Gli uomini, in quanto subcreatori, hanno il potere di trasformare la società. Sicché se qualcosa è sbagliato nel mondo, abbiamo la possibilità e il dovere di rimetterlo a posto, seguendo l’inesausta ambizione dell’uomo a trovare come via d’uscita un principio d’ordine nel caos del cosmo e nelle crisi di ogni tempo.
A compendio di questo saggio, l’autore scrisse nel Natale dello stesso anno Cosa c’è di giusto nel mondo, un documento inedito qui riportato in versione integrale.

Chi era Chesterton? In poche parole, possiamo ricordarlo senz’altro come iperbolico narratore e divertentissimo romanziere, saggista dagli arguti paradossi, giornalista polemista che mai offese nessuno e anzi divenne amico dei suoi migliori avversari, i grandi del suo tempo, George Bernard Shaw e H.G. Wells tra tutti; qualcuno l’ha indicato addirittura come il naturale “prossimo della lista”, dopo la beatificazione del cardinale Newman.
Di Chesterton (1874-1936) Rubbettino ha pubblicato Una breve storia d’Inghilterra e L’uomo eterno.

Formato EPub

Prezzo € 4,90

IL TESTAMENTO BIOLOGICO NON SARA' UN FRENO ALL'EUTANASIA, ANZI...

Una legge sulle DAT non è garanzia contro le sentenze creative perché, con ogni probabilità, esse si moltiplicheranno
di Mario Palmaro

Un nuovo atto di "magistratura creativa" si è incaricato di dare un'altra spinta alla legalizzazione dell'eutanasia in Italia. Succede infatti che il Tribunale di Firenze ha accolto la richiesta di un settantenne in buona salute, che intendeva nominare un «amministratore di sostegno» a norma dell'articolo 408 del Codice Civile. Poco importa che l'amministratore sia stato introdotto dal legislatore per ben altro scopo. Secondo i giudici fiorentini, è legittimo nominarsi una sorta di tutore legale che, in caso di perdita di coscienza, può impedire ai medici di procedere con la rianimazione cardiopolmonare, la dialisi, la ventilazione, l'alimentazione e l'idratazione artificiale, se questa era la volontà espressa dal paziente a suo tempo capace di intendere e di volere. Insomma, il tutore può dare il via libera all'eutanasia senza che nessuno possa contrastarlo.
La decisione é dotata di un singolare tempismo, perché proprio nelle prossime settimane il Parlamento dovrà discutere il testo di legge sulle cosiddette DAT, le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. L'impressione di molti è che, dopo la vicenda Englaro, e dopo una decisione come quella del Tribunale di Firenze, ormai nell'ordinamento giuridico italiano si sia aperto un varco che permette comportamenti eutanasici, mediante l'abbandono terapeutico del paziente.
Questi ragionamenti hanno creato un clima di attesa di questo genere: i cattolici e molti pro life pensano che, se la legge sulle DAT verrà approvata, il rischio eutanasia sarà scongiurato.
Ma è proprio vero che le decisioni dei giudici hanno "cambiato" le leggi del nostro Paese sul fine vita?
In realtà, il nostro ordinamento continua ad avere un presidio molto solido contro l'eutanasia e l'abbandono terapeutico nelle norme del Codice Penale regolarmente in vigore, soprattutto gli articoli sull'omicidio del consenziente e sull'istigazione al suicidio. Quindi di per sé non siamo di fronte a una situazione di vuoto legislativo o di "far west".
Il fatto è che alcuni giudici – per altro civili e non penali – hanno assunto provvedimenti che ignorano questo profilo. Ma c'è una verità tecnico-giuridica troppo spesso dimenticata: le decisioni dei giudici non hanno la forza di creare una legge erga omnes, ma decidono un caso concreto. Nulla impedisce, quindi, che un provvedimento come quello di cui stiamo parlando venga ribaltato da altri magistrati chiamati a decidere sulla medesima questione. E infatti, sempre a Firenze, tempo fa un'analoga richiesta di uso dell'assistente di sostegno pro testamento biologico era stata respinta prima dal giudice tutelare e poi dalla Corte d'Appello.
E' ormai evidente a tutti che lo scopo di alcuni settori della magistratura favorevoli all'eutanasia è proprio quello di spingere il Parlamento a fare una legge e a riconoscere il testamento biologico. E anche ammettendo che il testo sulle DAT di prossima discussione non venga stravolto, esso comporta il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e validità del testamento biologico. E contiene ulteriori "zone grigie" che andranno ben oltre il principio di autonomia del paziente. Dato che il problema vero è quello di impedire il proliferare di "sentenze creative", l'unica legge necessaria è quella che chiarisce in modo inequivocabile che è vietata la sospensione di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci.
Proprio perché il problema vero è la volontà di alcuni giudici di forzare la legislazione a colpi di sentenze, dobbiamo però essere realisti ed evitare facili illusioni. Una legge sulle DAT non è garanzia contro le "sentenze creative"; anzi con ogni probabilità esse si moltiplicheranno – in maniera direttamente proporzionale all'ambiguità delle norme approvate -, e si assisterà a uno stillicidio di ricorsi, anche in sede costituzionale. Al proposito c'è un illuminante precedente, quello della Legge 40 sulla fecondazione artificiale, che dal 2004 a oggi è stata ripetutamente modificata da sentenze seguite a ricorsi.

Mario Palmaro
da Comitato Verità e Vita, 14-01-2011

Un articolo su Chesterton e Lewis di Aleksej Judin

In questo collegamento trovate, per gentile ed intelligente concessione di Russia Cristiana (http://www.russiacristiana.org/ ) che edita la rivista La Nuova Europa, un interessante articolo dello studioso russo Aleksej Judin dal titolo Chesterton e Lewis nel contesto russo.


E' un un ulteriore tassello del mosaico chestertoniano russo, non ancora abbastanza esplorato e valorizzato.


Noi della SCI, dal canto nostro, abbiamo cercato di dar luce alla vicenda chestertoniana russa, come avete potuto vedere con la riproposizione nei giorni scorsi dei post degli ultimi anni apparsi su questo blog.


Riteniamo che, anche ai fini della questione della "santità" di Chesterton, tutta questa storia sia significativa: quanti possono vantare tanto e tale effetto sui propri lettori, soprattutto in contesti simili?


Buona lettura e un grazie anche all'amica Maria Cristina La Manna che ci ha segnalato l'articolo e favorito l'incontro con Russia Cristiana e il suo lungo e prezioso lavoro sulla Russia.

mercoledì 26 gennaio 2011

Gulisano e Vassallo su Radio Mater

Vi segnaliamo che Domenica 30 Gennaio 2011 su Radio Mater dalle ore 21.00 alle ore 22.45 andrà in onda una trasmissione speciale  su Gilbert Keith Chestertn a cura del nostro vicepresidente Paolo Gulisano e della amica chestertoniana Luisa Vassallo.

SEGNALATELA E ASCOLTATELA!

Ecco il brano proposto da Avvenire di Ciò che non va nel mondo, edizioni Lindau

Vi sono persone che non amano il termine «dogma».
Fortunatamente, sono libere e dispongono di un’alternativa. La mente umana conosce due cose, e solo due: il dogma e il pregiudizio. Il Medioevo fu un’età razionale, un’epoca di dottrina. La nostra epoca, al massimo, è un’epoca poetica, un’età di pregiudizio. Una dottrina rappresenta un punto definito, un pregiudizio è una direzione. Dire che un bue può essere mangiato mentre un uomo non dovrebbe esserlo significa enunciare una dottrina.

Dire che si dovrebbe
 mangiare il meno possibile di qualunque cosa significa manifestare un pregiudizio, chiamato anche, talvolta, ideale.

Ebbene, una direzione si dimostra invariabilmente assai più erratica di una cartina. Preferirei di gran lunga disporre di una pianta, per quanto enormemente antiquata, di Brighton, piuttosto che di una generica raccomandazione a svoltare a sinistra. Le linee rette non parallele sono destinate, alla fine, a incontrarsi, ma le linee curve possono evitarsi in eterno. Una coppia di innamorati potrebbe
 passeggiare insieme lungo la frontiera tra Francia e Germania, uno da una parte e l’altra dall’altra, fintantoché non fosse detto loro, vagamente, di star lontani l’uno dall’altra. Questa parabola è perfetta per descrivere gli effetti della nostra moderna vaghezza, che perde e allontana gli esseri umani come in una nebbia.

Non è vero che solo la fede in qualcosa unisce gli uomini. Nossignore: anche la differenza di fede li unisce, fin tanto che tale differenza è chiaramente visibile. I confini uniscono. […] «Io dico che Dio è Uno» e «Io dico che Dio è Uno, ma anche Tre» è l’inizio di una sana, litigiosa, robusta amicizia.

Ma la nostra epoca trasformerebbe queste convinzioni religiose in tendenze.


Gilbert Keith Chesterton 

Un bell'articolo di Avvenire su distributismo, Ciò che non va nel mondo e Babylondon

Articolo onesto e che dice la verità su Chesterton e su ciò che pensava del mondo, senza tirare la giacchetta...


Chesterton: la ricchezza va redistribuita

I personaggi principali sono Hudge, Gudge e Jones. Volendo tradurre in italiano, potremmo parlare dell’onorevole Pinco, del suo collega Panco e del povero Rossi. L’idealista Pinco Hudge, convinto di migliorare le condizioni di vita del proletariato, riesce a far abbattere le catapecchie in cui Rossi Jones abita in compagnia dei suoi simili e si fa promotore della costruzione di casermoni popolari imponenti quanto deprimenti. Il che dà allo smaliziato Panco Gudge il destro di elogiare il buon tempo andato, quando i miserabili avevano sulla testa un tetto modesto finché si vuole, ma almeno non così disumano. Entrambi i politici fanno carriera, Pinco Hudge trasformandosi in disilluso conservatore, mentre Panco Gudge è tutto preso da una personale forma di ecologismo estremo. Di Rossi Jones si perdono le tracce, però c’è da scommettere che non stia meglio di prima.

Scritto appena ieri, e cioè nel 1910, esattamente un secolo e un anno fa, da uno dei più lucidi e temibili polemisti che l’apologetica cristiana ricordi. Gilbert Keith Chesterton, proprio lui: l’inventore di padre Brown, l’ammiratore di Tomaso d’Aquino, il sostenitore dell’ortodossia senza se e senza ma. Di lui il lettore italiano conosce molto, e di sicuro il meglio, anche se a ondate editoriali intermittenti, eppure resta ancora parecchio da scoprire. Per esempio questo Ciò che non va nel mondo (di cui a fianco pubblichiamo un estratto), di cui Lindau manda domani in libreria la prima edizione italiana (traduzione di Gianluca Perrini, pagine 312, euro 22,00). Un’opera minore nella peraltro sterminata bibliografia chestertoniana? Non proprio, anche se di sicuro si tratta di uno dei libri che, all’epoca, più fecero scalpore, attirando severe critiche sul prolifico intellettuale britannico, che in quel momento era già incamminato nel lungo cammino interiore destinato a culminare nella conversione al cattolicesimo, datata 1922.

Gli anni che precedono la Prima guerra mondiale coincidono, tra l’altro, con l’attivismo delle "suffragette", impegnate nella battaglia per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Ed è su questo argomento che Chesterton assume le posizioni più paradossali, sostenendo in buona sostanza che il problema non è se le donne siano o non siano buone per il voto, quanto piuttosto se il voto sia o non sia una cosa buona per le donne, che in questo modo si ritroverebbero a essere "complici" di un processo decisionale del quale fanno parte la guerra, la pena di morte e tutta una serie di simili brutture. Paradossale, l’abbiamo già detto, eppure la lettura di Ciò che non va nel mondo lasciò una traccia profonda, per esempio, nella giovane Dorothy Sayers, futura autrice di gialli di successo. Segno, probabilmente, del fatto che il movimentato saggio di Chesterton non era affatto antifemminista, ma portatore semmai di una diversa, non convenzionale idea di femminilità. Antimoderna, forse, ma a suo modo libera da pregiudizi.

Nel libro, del resto, le osservazioni sulla condizione della donna e sui guasti di un malinteso pedagogismo sono poste al servizio di una riflessioni più ampia, che si sarebbe tentati di definire poetico-economica. Mettendo alla berlina gli Hudge & Gudge di ogni latitudine, infatti, Chesterton intende anzitutto ribadire la bontà del distributismo, l’innovativa visione della proprietà privata di cui si era reso paladino insieme con un piccolo e combattivo gruppo di intellettuali, dei quali facevano parte il fratello Cecil, l’inseparabile amico Hilaire Belloc e padre Vincent McNabb, il frate domenicano al quale è stata dedicata di recente un’agile biografia italiana (Paolo Gulisano, Babylondon, Edizioni Studio Domenicano). Di che cosa si tratta? Di una "terza via" tra capitalismo e comunismo, basata sul concetto che la proprietà non è un male in sé: il male deriva invece dall’accentramento di molti beni materiali nelle mani di pochi. «Possiamo evitare il socialismo - scrive infatti Chesterton - soltanto con un cambiamento vasto quanto il socialismo. Per salvare la proprietà dobbiamo distribuirla, e nel fare ciò dobbiamo mostrarci inflessibili e radicali, quasi come i rivoluzionari francesi. Per preservare la famiglia dobbiamo rivoluzionare la nazione». Un programma che, a un secolo e un anno di distanza, pare non aver perduto nulla in termini di straordinaria, dirompente attualità, specie per tutti i Rossi Jones del pianeta.
Alessandro Zaccuri

Un brano di What's Wrong with the World oggi su Libero.

In questo collegamento trovate un brano del volume di Gilbert Keith Chesterton edito in questi giorni da Lindau con il titolo Cosa c'è che non va nel mondo (titolo originale: What's Wrong with the World. Lo diciamo perché in questi stessi giorni è uscito l'e-book della stessa opera ma intitolato Cosa c'è di sbagliato nel mondo edito da Rubbettino e tradotto da Annalisa Teggi), un testo interessantissimo, inedito in Italia, il cui contenuto è quasi totalmente misconosciuto alla maggioranza dei lettori di Chesterton, e cioè il suo pensiero in materia di società, politica, economia (Chesterton, Belloc e McNabb erano fautori del distributismo, che non è un manuale di buone maniere cattoliche in economia, stile non rubare o amenità  del genere come spesso si vuole opportunisticamente ridurre l'apporto del cattolicesimo in proposito, bensì una vera e propria teoria economica equidistante dal capitalismo nelle sue varie sfumature tutte molto simili e dal socialcomunismo in tutte le sue più monocordi realizzazioni. Una teoria che per sua espressa dichiarazione si ispira alla Rerum Novarum di Leone XIII, quindi con profonde radici cattoliche. Sfidiamo chiunque a smentirlo).

Il volume è del 1910, cioè dodici anni prima della conversione al cattolicesimo di Chesterton, ma le idee sviluppate anche in seguito ci sono tutte.

Il collegamento è con una pagina del quotidiano Libero di oggi 26 Gennaio 2011.

Ribadiamo, come Società Chestertoniana Italiana, che dalla lettura di queste pagine gli amanti di Chesterton scopriranno non un conservatore o un teocon (what's this?), non un rivoluzionario socialisteggiante o un anarchico, bensì un cattolico a tutto tondo (nulla a che fare con destra, sinistra e centro odierni, ci spiace deludere tutti quelli che tirano la giacchetta a Gilbert, ma le cose stanno così!).


Il brano che propone Libero comunque è fantastico già dal titolo: Perché bisogna sopportare le mogli...

martedì 25 gennaio 2011

I cristiani in Medio Oriente tra fuga e persecuzione su La Bussola Quotidiana.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/dossier.php?idRecord=11

In questo collegamento trovate un interessante dossier de La Bussola Quotidiana sui cristiani in Medio Oriente.

È importante conoscere la sorte dei cristiani nel mondo, quasi sempre ignorata dai mezzi di comunicazione che spesso rispondono a riflessi condizionati (campagne ad arte su eutanasia, eugenetica, politica più o meno finta e così via). Ci si rende conto della loro vera condizione, delle millenarie tradizioni, della bellezza e della positività che hanno portato nel loro paesi dove spesso dovrebbero essere considerati tra i cittadini più nobili ed illustri.

Falkner, da anglicano a gesuita in Sud America

gesuiti






Da La Bussola Quotidiana 

di Liana Marabini
22-01-2011

L'uomo steso sull'angusto letto nella cabina a prua, non ha nemmeno la forza di aprire gli occhi. È molto malato. Ascolta il cigolio delle assi di legno con le quali è costruita l'imbarcazione e il movimento delle onde lo infastidisce. Un sorriso gli affiora sulle labbra, al pensiero che lui viaggia su quella nave come medico di bordo. Un posto che il cappellano della nave, che è anche suo caro amico, Padre Raymond, gli aveva ottenuto. Un medico malato, che ironia!

La nave si chiama Assiento e trasporta schiavi dalla Guinea verso Buenos Aires. Siamo nel 1731. L'uomo steso in cabina è Thomas Falkner, nato nel 1707 a Manchester, dove ha anche studiato, diventando un ottimo farmacista e medico. È di salute cagionevole e un viaggio sul mare, andata e ritorno, fa parte del trattamento che si è prescritto da solo. L'area salmastra dovrebbe aiutarlo a rafforzare i polmoni.
Ma non sembra che il viaggio gli faccia l'effetto sperato. Arrivato a Buenos Aires è talmente malato, che il capitano dell'Assiento decide di lasciarlo a terra. Padre Raymond lo accompagna al Collegio Gesuita e lo lascia in buone mani: il suo amico, Padre Mahoney, è il rettore del Collegio.

Le giornate passate nel Collegio sono uno dei più bei periodi della vita di Thomas. Le preghiere, lo studio, la luce che filtra attraverso le lunghe finestre della biblioteca, le conversazioni stimolanti con questi preti fuori dal comune per cultura ed erudizione, lo affascinano e lo fanno aggrapparsi alla vita.
Guarisce e il primo pensiero che ha, lui, anglicano, è di diventare cattolico. I gesuiti lo accompagnano nel processo di conversione e nel 1732, il 15 maggio, lo integrano nella Compagnia di Gesù. Dopo qualche mese, viene ordinato prete cattolico nella diocesi della Provincia del Paraguay.

Viene inviato come missionario nella lontana Patagonia, sul Rio Segundo, un territorio abitato dagli indiani Mapuche. Diventa subito una star fra gli indiani, grazie alle sue conoscenze non solo di medicina, ma anche di meccanica. Siamo nel 1740 e Falkner rimane per più di trent'anni come missionario fra gli indiani della Patagonia.

Negli anni passati in quella parte del mondo, Falkner ha fatto una serie di scoperte che sarebbero rimaste nella storia delle scienze. La più importante fu la scoperta dello scheletro di un grande armadillo, sulle rive del fiume Carcarañá. Molti anni più tardi, il fossile sarebbe stato identificato come proveniente da un glyptodon. Questo notevole avvenimento è successo ventisette anni prima che il dominicano Manuel Torres scoprisse il fossile di un megatherium sulle rive del fiume Luján el 1787, descritto e studiato nel 1796 da Georges Cuvier. Il fossile scoperto di Falkner ha il primato delle scoperte di fossili in Argentina.

Le esperienze vissute in Patagonia sono descritte in un'opera pubblicata a Hereford nel 1774, intitolataA Description of Patagonia and the adjoining parts of South America, with a grammar and a short vocabulary, and some particulars relating to Falkland's Islands. È un libro compilato da William Combe, sulla base dei manoscritti originali di Falkner. E' stato pubblicato in diverse lingue (inglese, spagnolo, tedesco e francese).

Dobbiamo ricordare anche il notevole talento di cartografo di Falkner, che ha disegnato un'accuratissima carta del America del Sud, dal Brasile alla Terra del Fuoco, che è poi stata pubblicata nel 1761 a Quito. Ha disegnato anche una carta del Paraguay nel 1757 e una del Tucuman nel 1759.

I gesuiti vengono, purtroppo, espulsi nel 1768 dal America del Sud. È il caro prezzo che pagano per la loro naturale carità, che li aveva spinti a cercare la salvezza degli indigeni. E così, Falkner ritorna in Inghilterra, dove il suo ordine lo incarica a diventare cappellano privato di famiglie nobili. Muore nel 1784.

Dopo la morte, i gesuiti spagnoli, che lo avevano conosciuto in America del Sud, hanno fatto molti sforzi per entrare in possesso dei suoi manoscritti inediti. Si trattava di molto materiale, che descriveva ricerche e scoperte notevoli, soprattutto in campo medico. Le ricerche di Falkner sulle medicine americane, sono pubblicate nel libro American distempers as cured by American drugs. Ha fatto anche molte ricerche, e bellissimi disegni, sull'anatomia, che sono stati invece raccolti da Padre Caballero S.J. nel Volumina duo de anatomia corporis humani.

In Argentina esiste il Lago Falkner, che è stato chiamato così, in omaggio a questo meraviglioso sacerdote-scienziato.

Padre Thomas Falkner S.J. è un brillante esempio di sacerdote innamorato della scienza, che ha lasciato un segno nella Storia. Anche lui dimostra con il suo lavoro, che non c'è contrasto tra fede e scienza. Che si può essere uomini di chiesa e anche esploratori.
Scopritori di cose create da Dio.?


lunedì 24 gennaio 2011

Un aforisma al giorno

"Credo che ognuno debba aver riflettuto su come siano primordiali e poetiche le cose che si porta in tasca: il temperino, ad esempio, prototipo di tutti gli utensili dell'uomo, neonato della spada. Una volta ho progettato di scrivere un'intera opera in versi sugli oggetti nella mia tasca, ma ho trovato che sarebbe risultata troppo lunga, e l'epoca della grande poesia epica è finita".

Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del Drago

domenica 23 gennaio 2011

Un aforisma al giorno

"Abbiamo perso il nostro orientamento interamente nel parlare delle 'classi minori' quando intendiamo l'umanità meno noi stessi".

 Gilbert Keith Chesterton, The Defandant, nostra traduzione 

Un aforisma al giorno

  • "Il tipo d'uomo che ammira l'arte italiana mentre disprezza la religione italiana è un turista e un mascalzone".

    Gilbert Keith Chesterton, da The Roman Convert, in Dublin Review, gen-mar. 1925

Spagna Chestertoniana...

In Spagna Cheterton sta rivivendo vivacemente come in Italia.
Guardate solo alcune delle recenti pubblicazioni delle opere di Chesterton.
Qui sotto trovate due collegamenti a blog, il primo quello della Società Chestertoniana Spagnola guidata dall'amico Fran, l'altro quello di un appassionato.

Bien, queridos amigos chestertonianos de toda la Espana!
Los chestertonianos italianos son aquì con vosotros a luchar por Chesterton!

http://sociedadamigosdechesterton.blogspot.com/

http://siguiendoachesterton.blogspot.com/

sabato 22 gennaio 2011

Antologia russa su Chesterton...

Una cara amica ci ha segnalato un bell'articolo uscito su Russia Cristiana nel numero di Novembre 2010. L'articolo è del letterato e studioso russo Alexei Judin e riguarda Chesterton e la Russia. Stiamo per mettervelo a disposizione grazie alla cortesia di Russia Cristiana.

Però ci siamo ricordati che siamo passati più volte sull'argomento, in questi anni, e allora volevamo segnalarvi questo piccolo lavoro che abbiamo fatto su una delle pagine più belle della storia del rapporto tra Chesterton e i suoi lettori e degli "effetti" di Chesterton su chi lo legge. Possiamo dire che la Russia rappresenti uno dei luoghi in cui nel suo complesso Chesterton ha lasciato i segni più sorprendenti, pur in un ambiente oggettivamente "diverso".
Occorre esplorare anche questa storia nel fare luce sulla "santità" di Chesterton, secondo noi faremo tante scoperte.

Già persone come Natal'ja Trauberg e Sergei Averincev sono una testimonianza di tutto ciò.

Volevamo riproporvi allora i frutti si questo nostro modesto lavoro.

In questo collegamento del Novembre 2009 vi mettemmo a parte di un saggio di Sergei Averincev su Chesterton:

http://uomovivo.blogspot.com/2009/11/sergei-averincev-e-chesterton.html

Poi, più di due anni fa mettemmo questo post su Chesterton, opera del nostro presidente. Lo riportiamo perimetro perché è un buon modo di affrontare l'argomento, ed in esso c'è un collegamento con un'intervista a Natal'ja Trauberg.

Chesterton in Russia - da un'intervista a Natalia Trauberg

Qualche giorno fa abbiamo parlato di Chesterton e della Russia. Ora siamo in grado di darvi maggiori ragguagli, estremamente interessanti.
Chesterton era noto e letto in Russia, lui ancora vivente, tanto che il poeta russo Nicholas Gumylov lo considerava lo scrittore inglese maggiore e più popolare. Gumylov aveva una strana teoria, essa sosteneva che i poeti avrebbero dovuto governare le nazioni, e fece sapere a Chesterton che lui avrebbe avuto diritto alla corona inglese! Circa una ventina d'anni dopo Chesterton menzionò nella sua Autobiografia quel "pazzo poeta russo".




un ritratto di Nicholas Gumylov

Chi ci dà queste preziosissime informazioni è Natalia Trauberg. La Trauberg è russa, una leggenda per i russi amanti della letteratura inglese. Legge la prima volta Chesterton nel 1944 e ne iniziò subito a tradurre le opere, per la maggior parte usciti durante il periodo sovietico attraverso il samizdat, la stampa clandestina russa quasi sempre manoscritta. Oggi èmonaca ortodossa (oltre che madre di sei figli) e continua a dare lezioni a giovani traduttori e a partecipare a trasmissioni radiofoniche. Ne abbiamo trovato un'interessantissima intervista nel sito internet della rivista americanaRoad to Emmaus, risalente al 2002.
La Trauberg ci riferisce che Chesterton era noto e letto tra i nobili e gli eruditi russi in grado di comprendere e parlare l'inglese, anche se ci viene testimoniato che negli anni '10 del Novecento c'era chi aveva già abbozzato traduzioni di Chesterton ("Un giorno un'anziana donna mi mandò la traduzione di Chesterton eseguita da sua nonna. Sua nonna l'aveva scoperto e lo traduceva già prima della rivoluzione").
C'erano in quegli anni molti russi che amavano l'Inghilterra, dice Natalia Trauberg, e la letteratura inglese, e notarono subito il grande successo presto raggiunto, già nei primi anni del secolo, dallo scrittore di Beaconsfield. Uno dei paradossi è che la popolarità di Chesterton crebbe anche dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Nei primi anni Venti gente di cinema ed intellettuali di sinistra iniziarono ad apprezzarlo, anche se molti di loro furono presto delusi. Molti però continuarono ad apprezzarlo come un moderno inglese eccentrico. Lo stesso Eisenstein (il regista dei film "Alexander Nevskij" e "La Corazzata Potemkin", per intenderci), leggendolo, ne sottolineava i passaggi da lui ritenuti migliori. Un passaggio da lui apprezzato, per esempio, è quello in cui Gilbert si chiede il perché del fatto che diciamo che un uomo è bianco quando invece è rosaceo-giallastro-beige, o perché diciamo "vino bianco" quando è giallastro. Solo che Eisenstein apprezzava solo questa idea dei cliches. In effetti alcuni intellettuali russi di quel decennio credevano che Chesterton li avrebbe aiutati a scardinare i cliches in voga e che gli stessi avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro idee. Alcuni addirittura arrivarono a pensare di Chesterton che fosse ideologicamente l'ala più a sinistra dell'estrema sinistra... ma qualche tempo dopo si accorsero che era cristiano, come dire? al cento per cento, e non si capacitavano che uno come lui potesse esserlo...

nella foto: Sergej Eisenstein

"Il ruolo di Chesterton -dice Natalia Trauberg- qui in Russia fu molto strano. Per venti o anche trent'anni sino al 1958 egli fu un tesoro seminascosto (non del tutto proibito, ma non interamente permesso) della cultura degli anni Venti".

La Trauberg riferisce che alla prima lettura ne apprezzò la mistura di "chiacchierata intima e sorprendente libertà", e si accorse "che 'religioso' e 'libero' erano la stessa cosa". Ma il vero amore per Chesterton nacque nel 1946 all'università, quando lesse il Ritorno di Don Chisciotte (inedito in Italia). Dice ancora la Trauberg: "Da studente osservavo la gente che incontravo così: davo loro Chesterton da leggere, e quelli che lo apprezzavano, sapevo, erano più vicini a me di quelli che non lo apprezzavano. Erano persone di una diversa libertà d'animo, persone non programmate, e io sono molto grata a loro per questo. Nella mia università ce n'erano cinque così".
Dice ancora la studiosa russa: "Ciò che mi prese (di Chesterton, ndr) fu la sua bellezza, e poi... la sua purezza. Quella tremenda purezza. Io ero impaurita dalla purezza angelica. Era importante per me perché la mia famiglia era molto bohemienne. Fu nel 1946, un tempo bruttissimo, ma quando presi quel libro vi trovai il paradiso. Non potevo vivere senza di lui. Ero quasi pazza per tutte quelle calamità ed egli mi salvò". In quel momento, dice ancora la Trauberg, le uniche voci di sanità e virtù cui attaccarsi "erano la Bibbia e Chesterton". Riferisce poi che i suoi saggi non potevano essere letti, perché considerati letteratura religiosa, ed essi erano introvabili. Erano invece reperibili le Storie di Padre Brown e qualche altro romanzo. Nel 1953, a Mosca, trovò saggi e opuscoli, iniziò a leggerli e a tradurli per il samizdat. Tradusse quattro romanzi: L'Uomo che fu GiovedìL'Osteria Volante, La Sfera e la Croce e il Don Chisciotte. Dei saggi tradusse L'Uomo EternoSan TommasoSan FrancescoDickens e metà di Ortodossia, nonché l'Autobiografia.
Anche altri in Russia si interessarono a Chesterton, ad esempio Muravyovtradusse Il Napoleone di Notting Hill e Kourney Chukovsky l'Uomo Vivo.
Va pure detto che esiste una Società Chestertoniana Russa, nata in occasione dell'anniversario della nascita di Gilbert nel 1974, fondata dalla Trauberg, Sergei Averincev (lo studioso, oggi defunto, tenne una lezione al Senato della Repubblica Italiana di cui ci diede conto Andrea Monda qualche anno fa, e iniziò con una citazione di Chesterton), i fratelli Muravyov eYuri Schrader.
Non ci crederete ma esiste anche un sito internet su Chesterton in russo anzi meglio in caratteri cirillici oltre che in lingua russa all'indirizzowww.chesterton.ru.



nella foto: Sergej Averincev

L'intera intervista, in lingua inglese (in questo articolo ne ho riportato qualche stralcio, liberamente tradotto dal sottoscritto), a Natalia Trauberg è reperibile a questo link in formato pdf.

Marco Sermarini

Altri collegamenti sulla Russia e Chesterton:

http://uomovivo.blogspot.com/2009/07/natalja-trauberg-nella-chesterton.html

http://uomovivo.blogspot.com/2009/07/chesterton-il-contravveleno.html

http://uomovivo.blogspot.com/2009/07/chesterton-in-altre-parole-il-1-aprile.html

http://uomovivo.blogspot.com/2009/02/uninteressante-pagina-su-chesterton.html

venerdì 21 gennaio 2011

Dal discorso di Papa Benedetto XVI di oggi 21 Gennaio 2011 alla Questura di Roma

"Il nostro mondo, con tutte le sue nuove speranze e possibilità, è attraversato, al tempo stesso, dall'impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno. Si affaccia pertanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all'insuccesso. Di fronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristiani, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore felici come in quelle buie dell'esistenza terrena.

Ai nostri giorni, grande importanza è data alla dimensione soggettiva dell'esistenza. Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porre l'uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensiero che nell'azione storica. Non si deve mai dimenticare, però, che l'uomo trova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio, nel riferimento a Lui. L'attenzione alla dimensione soggettiva è anche un bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana. Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale. La conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell'ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile. Pertanto, se, da una parte, nella società si dà grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, dall'altra, la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell'uomo.

Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della "coscienza" è la capacità dell'uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla. Alla verità e al bene occorre che l'uomo sappia aprirsi, per poterli accogliere in modo libero e consapevole. La persona umana, del resto, è espressione di un disegno di amore e di verità: Dio l'ha "progettata", per così dire, con la sua interiorità, con la sua coscienza, affinché essa possa trarne gli orientamenti per custodire e coltivare se stessa e la società umana".


India - Cresce il suicidio fra gli agricoltori indiani, vittime di una società materialist


di Nirmala Carvalho
Nel 2009 si sono uccisi 47 contadini al giorno, con un incremento del 7 per cento rispetto all'anno precedente. Essi si tolgono la vita a causa di indebitamenti. In una società in cui la vita è “svuotata di senso” e si è “soli in mezzo alla folla”. C'è chi prega per loro.

 Mumbai (AsiaNews) – Circa 127.151 persone in India si sono tolte la vita nel corso del 2009, con un incremento dell’1,7% rispetto alle cifre dell’anno precedente (125.017). Di queste cifre, in almeno 17.368 casi si tratta di agricoltori: 47 morti al giorno, per un aumento oltre il 7% rispetto al 2008. A rivelare queste tragiche statistiche è il rapporto annuale 2009 del National Crime Records Bureau (Ncrb) sulle “Morti accidentali e suicidi in India”, stilato nel dicembre 2010. Le prime due settimane di quest’anno non sembrano pronosticare un’inversione di tendenza: nove agricoltori nella regione di Vidarbha (Maharashtra) si sono tolti la vita perché la neve e la grandine hanno rovinato il raccolto quasi pronto; da novembre, 11 contadini nel distretto di Sambalpur (Orissa) si sono uccisi.
P. Paul Thelakat, portavoce della Chiesa siro-malabarica, commenta ad AsiaNews i dati del rapporto: “Il suicidio è un male serio che affligge la nostra società. Quando una persona non riesce ad affermarsi in una cultura basata su terribili valori consumistici, è portata alla disperazione e a togliersi la vita. Una società materialista non considera utile una persona ‘fallita’. Inoltre, il valore della vita sta nell’avere successo, potere e soldi. Le sofferenze e i fallimenti hanno perso ogni significato, perché la vita è svuotata di senso: è ridotta ad ‘avere’, non a ‘essere’”.
“Tutto questo – continua il sacerdote – denota anche un fallimento delle religioni, che dovrebbero dare alla gente valori positivi di fede e speranza nella vita, nonostante gli ostacoli e le sconfitte. È anche sintomo di una mancanza del senso di comunità e delle relazioni, del sentirsi soli in mezzo alla folla. Nel nostro mondo le relazioni sono diventate merce di scambio, basate sul potere e sul successo, non sull’amicizia personale e l’amore”.
Il sacerdote conclude: “Il suicidio degli agricoltori deve scioccare la società e l’autorità. Racconta di una vita sociale che è contro la nostra natura. La nostra vita è diventata anti-natura, e i contadini sono i meno voluti nella nostra società. Questo è semplicemente l’espressione del nostro malato vivere insieme, che sta affliggendo la società”.
Per p. Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale indiana, “i dati del 2009 sui suicidi e sulle morti accidentali sono davvero disturbanti, e chiedono sforzi maggiori da parte del governo, di gruppi sociali e altre organizzazioni volontarie per ridurre questa tendenza autodistruttiva, ormai dilagante nella società indiana. Con tristezza, noto i nostri politici rivendicare l’incredibile crescita del Pil, mentre la realtà degli strati più bassi della popolazione rimane piuttosto cupa: con sempre più agricoltori che commettono suicidi a causa di indebitamenti; giovani che non trovano lavoro; donne vittime di costumi sociali arcaici”.
Una suora carmelitana di clausura, convertita dall’induismo, racconta di pregare per gli agricoltori suicidi ogni giorno. “È ancora più deplorevole – dice la suora – che proprio tra i contadini sia così diffusa tale pratica: loro, che seminano i campi e faticano giorno e notte per far crescere il grano che mangiamo tutti noi. Lo stesso grano che viene macinato per fare il pane dei padroni, e per dare l’eucarestia a tutta Mumbai”.