Intervista a Claudio Taliento, vicepresidente dell'Associazione Risveglio Onlus.
Claudio Taliento è Vicepresidente dell’Associazione Risveglio Onlus, che opera sul territorio di Roma, e che fa parte della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico. Ma, oltre a questo, è marito di Ada Rossi, una donna che da alcuni anni vive in stato vegetativo, esattamente come Eluana. La cura, la veste, le dà da mangiare, la porta a messa e a passeggio. Rappresenta cioè uno dei tanti uomini impegnati personalmente nella difesa della dignità della vita, che chiedono che sia assicurato loro il diritto di continuare in questa difficile lotta quotidiana.
Una lotta che può essere messa profondamente in crisi da una sentenza «barbara e incivile» come quella sul caso Englaro. Motivo per cui questa ed altre associazioni hanno presentato un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo. E non è detto che la risposta dalla Corte, le cui conseguenze in caso di accoglimento sarebbero notevoli, tardi ad arrivare.
Dottor Taliento, qual è l’attività principale della vostra Associazione?
La missione generale della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico è quella di muoversi sul fronte della gravi cerebrolesioni acquisite, dietro le quali ci sono le patologie dello stato vegetativo, dello stato di minima coscienza e della Locked-in Syndrome, che sono la summa delle disabilità. Coloro che escono da queste condizioni – sono casi rari ma ci sono – mantengono condizioni di disabilità gravissime e quindi necessitano di essere seguiti con grande attenzione.
Quello che si avverte, in tutta la discussione intorno al caso Englaro, è una certa approssimazione: la gente non sa bene di cosa parla quando usa i termini “coma” o “stato vegetativo”. Di cosa si tratta precisamente?
La cosa fondamentale è innanzitutto distinguere tra il coma e lo stato vegetativo: l’uno esclude l’altro. In effetti spesso, parlando di Eluana, si è parlato a sproposito di coma, o addirittura si sono usate espressioni del tutto prive di significato come “coma vegetativo”; per cui è bene chiarire. Il coma non ha né coscienza né vigilanza; nello stato vegetativo invece c’è la vigilanza, cioè c’è il ciclo sonno-veglia, ma c’è mancanza di coscienza. Il coma poi è un periodo transitorio che può durare solo qualche settimana, da cui si esce. E ci sono tre modi per uscire dal coma: o per morte; o perché il soggetto ripercorre i gradini del coma e si riprende, con danni più o meno gravi; o perché passa a stato vegetativo. Dallo stato vegetativo si può uscire in un arco che statisticamente dovrebbe accadere in 12 mesi. Più avanti diminuiscono le possibilità.
Quindi dallo stato vegetativo si potrebbe non uscire mai
Sì, ma dobbiamo affermare con forza che non esiste scientificamente la possibilità di stabilire una forma irreversibile. Fermo restando che statisticamente il tempo non gioca a favore, e che se passano tanti anni la possibilità di risveglio cala, dobbiamo però ricordare con chiarezza che non esista alcuna certezza. E lo dimostra il fatto che ci sono stati casi di risveglio anche oltre i 19 anni. Casi eccezionali, certamente, ma ci sono stati.
Voi seguite anche le famiglie che si trovano a dover gestire queste difficili condizioni: cosa fate?
La nostra missione è seguire e famiglie e collaborare con le istituzioni affinché queste possano seguire un percorso sanitario e sociale. Bisogna infatti sostenere certamente le persone che cadono in questo stato, ma è altrettanto importante sostenere coloro che le accudiscono. Un problema grave, infatti, è che non esiste un percorso istituzionalizzato dal punto di vista sanitario, e non esistono nemmeno strumenti di supporto dal punto di vista sociale. Non dimentichiamo che stiamo parlando per lo più di famiglie giovani, che rischiano l’emarginazione e la povertà, in quanto disposte a fare di tutto. Bisogna far sì che possano continuare a fare la propria vita, e al tempo stesso assistere i loro cari in condizioni di grave disabilità. Oggi come oggi nel 75% dei casi un familiare di un disabile grave lascia il lavoro. È per questo che stiamo facendo un’importante iniziativa con il Ministero della Salute: il “Libro bianco” degli stati vegetativi, perché si possa realizzare una rete di carattere nazionale per rispondere a questa esigenza sociale.
Veniamo alla sentenza sul caso Englaro: qual è il suo giudizio?
Questa sentenza dal punto di vista giuridico posa su basi d’argilla. Da un parte di dà per scontata l’irreversibilità della condizione di Eluana, e come abbiamo detto dal punto di vista scientifico questa affermazione è falsa; dall’altra, ci si basa su una manifestazione di volontà che non ha fondamento. Chi di noi non direbbe una frase come quella che si attribuisce ad Eluana? Ma il problema è che un’affermazione che non può essere attualizzata.
Si dice che Eluana non proverà dolore se le verrà staccato il sondino: è così?
Le persone in stato vegetativo provano dolore: in forma non convenzionale, ma lo provano, e lo manifestano. Per conoscerlo bisogna stare con loro: muovono gli occhi, serrano la bocca, muovono gli arti, aumentando la loro spasticità. Ma a parte questo, anche nei casi in cui non si manifesta nessuna spasticità, comunque quel che è certo è che scientificamente non siamo assolutamente in grado di dire che non provano dolore.
La vostra associazione, insieme ad altre, ha presentato un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo: perché questa iniziativa?
Per difenderci dalle conseguenze terribili di questa sentenza. Per prima cosa si condanna a morire per fame e per sete una giovane ragazza. E questa è con tutta evidenza una barbarie. In secondo luogo la cosa preoccupante è che tutta la decisione viene lasciata al tutore – che potrebbe essere chiunque – e a un magistrato. D’ora in poi, facendo leva su questa sentenza, tutore e magistrato possono prendere decisioni analoghe sulla base di una testimonianza di chicchessia. E questo potrebbe essere allargato su tutto il fronte di chi non è incapace di intendere e di volere: pensiamo ad esempio ai malati di Alzheimer. Quindi si sono messe tutte le altre famiglie in difficoltà; tutte le persone con grave disabilità hanno ora sulla testa una spada di Damocle, in quanto potenzialmente sopprimibili. E anche noi che curiamo abbiamo una posizione diversa di fronte alla società: chi ora mi vede andare in giro con mia moglie potrebbe pensare che sono una persona malvagia, perché la costringo a stare in quella situazione. Potremmo diventare noi gli insensibili.
Ci dica di sua moglie.
Quello che posso dire è che mia moglie non ha perso la sua qualità di persona: è moglie, madre, sorella, amica, collega. Ha anche lei una sua piccola vita sociale: alla domenica andiamo a messa, e quando c’è bel tempo andiamo al mare a fare delle passeggiate, anche se lei è in carrozzina. Molti non lo sanno, ma coloro che sono in stato vegetativo non sono sempre a letto, e possono stare in poltrona o in carrozzina. Insomma, mia moglie ha una sua quotidianità.
Claudio Taliento è Vicepresidente dell’Associazione Risveglio Onlus, che opera sul territorio di Roma, e che fa parte della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico. Ma, oltre a questo, è marito di Ada Rossi, una donna che da alcuni anni vive in stato vegetativo, esattamente come Eluana. La cura, la veste, le dà da mangiare, la porta a messa e a passeggio. Rappresenta cioè uno dei tanti uomini impegnati personalmente nella difesa della dignità della vita, che chiedono che sia assicurato loro il diritto di continuare in questa difficile lotta quotidiana.
Una lotta che può essere messa profondamente in crisi da una sentenza «barbara e incivile» come quella sul caso Englaro. Motivo per cui questa ed altre associazioni hanno presentato un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo. E non è detto che la risposta dalla Corte, le cui conseguenze in caso di accoglimento sarebbero notevoli, tardi ad arrivare.
Dottor Taliento, qual è l’attività principale della vostra Associazione?
La missione generale della Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico è quella di muoversi sul fronte della gravi cerebrolesioni acquisite, dietro le quali ci sono le patologie dello stato vegetativo, dello stato di minima coscienza e della Locked-in Syndrome, che sono la summa delle disabilità. Coloro che escono da queste condizioni – sono casi rari ma ci sono – mantengono condizioni di disabilità gravissime e quindi necessitano di essere seguiti con grande attenzione.
Quello che si avverte, in tutta la discussione intorno al caso Englaro, è una certa approssimazione: la gente non sa bene di cosa parla quando usa i termini “coma” o “stato vegetativo”. Di cosa si tratta precisamente?
La cosa fondamentale è innanzitutto distinguere tra il coma e lo stato vegetativo: l’uno esclude l’altro. In effetti spesso, parlando di Eluana, si è parlato a sproposito di coma, o addirittura si sono usate espressioni del tutto prive di significato come “coma vegetativo”; per cui è bene chiarire. Il coma non ha né coscienza né vigilanza; nello stato vegetativo invece c’è la vigilanza, cioè c’è il ciclo sonno-veglia, ma c’è mancanza di coscienza. Il coma poi è un periodo transitorio che può durare solo qualche settimana, da cui si esce. E ci sono tre modi per uscire dal coma: o per morte; o perché il soggetto ripercorre i gradini del coma e si riprende, con danni più o meno gravi; o perché passa a stato vegetativo. Dallo stato vegetativo si può uscire in un arco che statisticamente dovrebbe accadere in 12 mesi. Più avanti diminuiscono le possibilità.
Quindi dallo stato vegetativo si potrebbe non uscire mai
Sì, ma dobbiamo affermare con forza che non esiste scientificamente la possibilità di stabilire una forma irreversibile. Fermo restando che statisticamente il tempo non gioca a favore, e che se passano tanti anni la possibilità di risveglio cala, dobbiamo però ricordare con chiarezza che non esista alcuna certezza. E lo dimostra il fatto che ci sono stati casi di risveglio anche oltre i 19 anni. Casi eccezionali, certamente, ma ci sono stati.
Voi seguite anche le famiglie che si trovano a dover gestire queste difficili condizioni: cosa fate?
La nostra missione è seguire e famiglie e collaborare con le istituzioni affinché queste possano seguire un percorso sanitario e sociale. Bisogna infatti sostenere certamente le persone che cadono in questo stato, ma è altrettanto importante sostenere coloro che le accudiscono. Un problema grave, infatti, è che non esiste un percorso istituzionalizzato dal punto di vista sanitario, e non esistono nemmeno strumenti di supporto dal punto di vista sociale. Non dimentichiamo che stiamo parlando per lo più di famiglie giovani, che rischiano l’emarginazione e la povertà, in quanto disposte a fare di tutto. Bisogna far sì che possano continuare a fare la propria vita, e al tempo stesso assistere i loro cari in condizioni di grave disabilità. Oggi come oggi nel 75% dei casi un familiare di un disabile grave lascia il lavoro. È per questo che stiamo facendo un’importante iniziativa con il Ministero della Salute: il “Libro bianco” degli stati vegetativi, perché si possa realizzare una rete di carattere nazionale per rispondere a questa esigenza sociale.
Veniamo alla sentenza sul caso Englaro: qual è il suo giudizio?
Questa sentenza dal punto di vista giuridico posa su basi d’argilla. Da un parte di dà per scontata l’irreversibilità della condizione di Eluana, e come abbiamo detto dal punto di vista scientifico questa affermazione è falsa; dall’altra, ci si basa su una manifestazione di volontà che non ha fondamento. Chi di noi non direbbe una frase come quella che si attribuisce ad Eluana? Ma il problema è che un’affermazione che non può essere attualizzata.
Si dice che Eluana non proverà dolore se le verrà staccato il sondino: è così?
Le persone in stato vegetativo provano dolore: in forma non convenzionale, ma lo provano, e lo manifestano. Per conoscerlo bisogna stare con loro: muovono gli occhi, serrano la bocca, muovono gli arti, aumentando la loro spasticità. Ma a parte questo, anche nei casi in cui non si manifesta nessuna spasticità, comunque quel che è certo è che scientificamente non siamo assolutamente in grado di dire che non provano dolore.
La vostra associazione, insieme ad altre, ha presentato un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo: perché questa iniziativa?
Per difenderci dalle conseguenze terribili di questa sentenza. Per prima cosa si condanna a morire per fame e per sete una giovane ragazza. E questa è con tutta evidenza una barbarie. In secondo luogo la cosa preoccupante è che tutta la decisione viene lasciata al tutore – che potrebbe essere chiunque – e a un magistrato. D’ora in poi, facendo leva su questa sentenza, tutore e magistrato possono prendere decisioni analoghe sulla base di una testimonianza di chicchessia. E questo potrebbe essere allargato su tutto il fronte di chi non è incapace di intendere e di volere: pensiamo ad esempio ai malati di Alzheimer. Quindi si sono messe tutte le altre famiglie in difficoltà; tutte le persone con grave disabilità hanno ora sulla testa una spada di Damocle, in quanto potenzialmente sopprimibili. E anche noi che curiamo abbiamo una posizione diversa di fronte alla società: chi ora mi vede andare in giro con mia moglie potrebbe pensare che sono una persona malvagia, perché la costringo a stare in quella situazione. Potremmo diventare noi gli insensibili.
Ci dica di sua moglie.
Quello che posso dire è che mia moglie non ha perso la sua qualità di persona: è moglie, madre, sorella, amica, collega. Ha anche lei una sua piccola vita sociale: alla domenica andiamo a messa, e quando c’è bel tempo andiamo al mare a fare delle passeggiate, anche se lei è in carrozzina. Molti non lo sanno, ma coloro che sono in stato vegetativo non sono sempre a letto, e possono stare in poltrona o in carrozzina. Insomma, mia moglie ha una sua quotidianità.
Nessun commento:
Posta un commento