venerdì 18 luglio 2008

Eluana Englaro - da Panorama, no ai Ponzio Pilato

di GIULIANO FERRARA

Sono un individualista naturale, fatto così, di carattere, e da individualista mi comportavo perfino quando ero comunista, nei vent’anni, oltre un quarto di secolo fa. Ma Ponzio Pilato è un’altra cosa. Ci sono quelli che dicono: lasciate che il padre decida per e in nome di Eluana Englaro, lasciate che l’autorizzazione a disidratare quel corpo caldo e vitale faccia il suo corso, e siate tolleranti in nome della libertà nel momento in cui serbate per voi e per i vostri cari il diritto di comportarvi diversamente, non assoggettate al pensiero cristiano o peggio ai voleri etici del clero la libertà dei costumi e delle decisioni personali.

Questo “ciascuno faccia come crede” è un argomento pervasivo, efficacissimo, l’argomento decisivo di cui si nutrono e ci nutrono, spesso con inarrivabile petulanza, i guru della cosiddetta modernità etica. Ma non mi persuade. Né quando si parla di embrioni né quando si parla di aborto né quando si parla di leggi o sentenze che autorizzano l’eutanasia. È formale, l’argomento, è fallace. Sa di pilatismo, di indifferenza, di ideologia (cioè falsa coscienza della realtà).
Noi non siamo soli (e un individualista radicale potrà anche aggiungere: purtroppo!). Non lo siamo, questo è il fatto. Siamo frutto e centro di relazioni, in quanto persone, sia dal punto di vista naturale, generazione e famiglia, educazione e linguaggio, sia dal punto di vista storico, e qui parlo di politica e di cultura e di tutto quello che insomma fa di noi quel che noi effettivamente siamo, animali sociali.
Il padre di Eluana, con argomenti fortificati e riscaldati dal suo amore per la figlia e dalla sua intelligenza delle cose, fattori che gli meritano il rispetto nell’interlocuzione ma non un indifferente assenso, vuole convincerci del fatto che le sentenze della Cassazione e della corte civile d’appello sono “ad personam”, sono cioè cucite sul caso della donna che da 16 anni è in condizione di coscienza non vigile, per le conseguenze di un incidente stradale, e che sotto la sua tutela dovrebbe ora passare dallo stato di vita a quello di morte per decisione di un giudice.
Sono cose che non ci riguardano, insomma. Così anche Adriano Sofri, sulla Repubblica, dice che la situazione è in sostanza indecidibile: non si può scegliere né in un senso né in un altro, per legge, e solo si può ascoltare il cuore di un padre e tutore, e assecondare comunque sia il suo impulso, come hanno fatto i magistrati della Cassazione. Molti pensano: lasciateli in pace, fate far loro quello che desiderano fare, e lasciateci in pace anche a noi. Questa storia è per molti, in una civiltà che esclude la morte dal novero delle possibilità da contemplare in vita, un tormento simbolico dal quale scappare più in fretta e più lontano possibile.
Io sono convinto in coscienza del contrario e penso che si debba portare acqua a Eluana, sottrarla (simbolicamente almeno) al suo destino così mal scritto. Perché non è possibile lavarsene le mani. Perché bisogna ribadire in questo caso lo statuto dimenticato di quel che è la persona umana. Non è la proiezione del nostro amore protettivo, non possiamo decidere per lei, rifiutarla o accettarla a seconda di una sentenza di legge.
Un corpo in vita, per quanto gravato dal massimo handicap che è la perdita della coscienza vigile, deve essere rispettato in nome di un’idea di carità e di cura che trascende le storie singole, i profili individuali, e ci riguarda tutti. La vita non è disponibile, questo è il punto. Non si può trattare la vita e sindacarla, mai, in nessun caso, come fosse una cosa, una particella della natura invece che la funzione sacra di un soggetto personale.

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