La procura generale invita alla cautela e riflette sul ricorso. Storie di “vite differenti”
Roma. La Procura generale di Milano deciderà entro la metà della prossima settimana se ricorrere in Cassazione contro il decreto con il quale la Corte civile d’appello ha autorizzato il padre di Eluana Englaro a staccare il sondino attraverso cui la ragazza viene dissetata e nutrita da sedici anni. Rispetto all’ipotesi che Beppino Englaro (come lui stesso ha annunciato di voler fare) possa procedere al distacco prima che la Procura generale decida o no il ricorso, il procuratore generale facente funzione, Gianfranco Montera, ha dichiarato inoltre che “se dovesse farlo, se ne assumerebbe la responsabilità”. Nel frattempo, l’hospice “Il Nespolo” di Lecco, al quale Englaro ha chiesto di ricoverare la figlia per farla morire, ha comunicato di poter accogliere Eluana solo se “già in uno stato terminale”.
C’è qualche granello di polvere, forse, nello spaventoso ingranaggio che condanna a morte per compassione una persona viva, assolutamente non terminale, che ha solo bisogno di acqua e cibo, come chiunque, per continuare a vivere. “Come consideriamo queste vite differenti? Perché di questo si tratta. Quella di Eluana è una vita differente, non una non vita”. Fulvio De Nigris è il papà di Luca, morto quindicenne nel 1998, dopo otto mesi di coma in seguito a un intervento chirurgico. In suo nome è stata fondata un’associazione (il sito è amicidiluca.it) che si occupa di persone in coma e delle loro famiglie, e in suo nome è nata a Bologna la Casa dei risvegli Luca De Nigris, struttura pubblica che “è considerata un modello terapeutico e riabilitativo unico. La Casa nasce dall’idea che il risveglio non è qualcosa che riguarda solo la persona in coma ma tutta la sua famiglia”.
“Una conclusione aberrante”. La sentenza della Corte civile d’appello di Milano, secondo De Nigris, “porta a una conclusione aberrante: con il sondino sei in stato vegetativo, senza sondino sei un malato terminale. Ma Eluana non è una malata terminale. Per questo, vorrei invitare tutti a fare un passo indietro, a considerare che cos’è la vita e che cosa è la vita nella difficoltà”. A preoccuparlo è soprattutto una constatazione: “Dopo il caso Terri Schiavo è stato detto che niente del genere sarebbe potuto succedere in Italia. Lo stesso Comitato nazionale di bioetica, nel suo parere su come valutare la somministrazione di cibo e acqua a persone in stato vegetativo, aveva escluso che quelli potessero essere considerati trattamenti sanitari”. Arrivano i giudici, “e scopriamo che la nostra tranquillità era infondata”. De Nigris sottolinea che “non sarebbe giusto dare giudizi sul papà di Eluana, che rispetto totalmente. Ma temo che la sentenza su sua figlia avrà ricadute negative per tutte le famiglie con persone in analoghe situazioni. Beppino Englaro ha parlato di legge ad personam, ma non sarà così”.
Nel giudizio della Cassazione che ha spianato la strada alla sentenza di morte per Eluana non spicca soltanto l’assurdità di quell’“univoco giudizio” di parenti e conoscenti che sostituisce la documentata volontà della persona. Arbitraria è anche l’idea, accolta dalla Cassazione, di poter “apprezzare clinicamente” lo stato vegetativo “irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione”. De Nigris ricorda che “contro il concetto di irreversibilità si levano autorevoli voci scientifiche. Conosciamo casi nei quali la presunta e ‘accertata’ irreversibilità è stata smentita. I nuovi studi tendono infatti a non specificare nessun aggettivo (come ‘permanente’ o ‘persistente’) accanto a ‘stato vegetativo’. Sappiamo solo che ogni caso fa storia a sé”. E anche se il risveglio non arrivasse mai, quella che vivono le persone in stato vegetativo “è vita a tutti gli effetti”, insiste De Nigris. Nel senso comune non deve passare, aggiunge, “la sciatteria, la pigrizia, l’approssimazione. Sentiamo parlare del ‘calvario’ di Eluana, di ‘staccarla dalle macchine’. Questo nega il percorso delle persone che lottano per non perdere la speranza, e nega le buone pratiche e i buoni luoghi dedicati alle persone in stato vegetativo e alle loro famiglie”.
Roma. La Procura generale di Milano deciderà entro la metà della prossima settimana se ricorrere in Cassazione contro il decreto con il quale la Corte civile d’appello ha autorizzato il padre di Eluana Englaro a staccare il sondino attraverso cui la ragazza viene dissetata e nutrita da sedici anni. Rispetto all’ipotesi che Beppino Englaro (come lui stesso ha annunciato di voler fare) possa procedere al distacco prima che la Procura generale decida o no il ricorso, il procuratore generale facente funzione, Gianfranco Montera, ha dichiarato inoltre che “se dovesse farlo, se ne assumerebbe la responsabilità”. Nel frattempo, l’hospice “Il Nespolo” di Lecco, al quale Englaro ha chiesto di ricoverare la figlia per farla morire, ha comunicato di poter accogliere Eluana solo se “già in uno stato terminale”.
C’è qualche granello di polvere, forse, nello spaventoso ingranaggio che condanna a morte per compassione una persona viva, assolutamente non terminale, che ha solo bisogno di acqua e cibo, come chiunque, per continuare a vivere. “Come consideriamo queste vite differenti? Perché di questo si tratta. Quella di Eluana è una vita differente, non una non vita”. Fulvio De Nigris è il papà di Luca, morto quindicenne nel 1998, dopo otto mesi di coma in seguito a un intervento chirurgico. In suo nome è stata fondata un’associazione (il sito è amicidiluca.it) che si occupa di persone in coma e delle loro famiglie, e in suo nome è nata a Bologna la Casa dei risvegli Luca De Nigris, struttura pubblica che “è considerata un modello terapeutico e riabilitativo unico. La Casa nasce dall’idea che il risveglio non è qualcosa che riguarda solo la persona in coma ma tutta la sua famiglia”.
“Una conclusione aberrante”. La sentenza della Corte civile d’appello di Milano, secondo De Nigris, “porta a una conclusione aberrante: con il sondino sei in stato vegetativo, senza sondino sei un malato terminale. Ma Eluana non è una malata terminale. Per questo, vorrei invitare tutti a fare un passo indietro, a considerare che cos’è la vita e che cosa è la vita nella difficoltà”. A preoccuparlo è soprattutto una constatazione: “Dopo il caso Terri Schiavo è stato detto che niente del genere sarebbe potuto succedere in Italia. Lo stesso Comitato nazionale di bioetica, nel suo parere su come valutare la somministrazione di cibo e acqua a persone in stato vegetativo, aveva escluso che quelli potessero essere considerati trattamenti sanitari”. Arrivano i giudici, “e scopriamo che la nostra tranquillità era infondata”. De Nigris sottolinea che “non sarebbe giusto dare giudizi sul papà di Eluana, che rispetto totalmente. Ma temo che la sentenza su sua figlia avrà ricadute negative per tutte le famiglie con persone in analoghe situazioni. Beppino Englaro ha parlato di legge ad personam, ma non sarà così”.
Nel giudizio della Cassazione che ha spianato la strada alla sentenza di morte per Eluana non spicca soltanto l’assurdità di quell’“univoco giudizio” di parenti e conoscenti che sostituisce la documentata volontà della persona. Arbitraria è anche l’idea, accolta dalla Cassazione, di poter “apprezzare clinicamente” lo stato vegetativo “irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione”. De Nigris ricorda che “contro il concetto di irreversibilità si levano autorevoli voci scientifiche. Conosciamo casi nei quali la presunta e ‘accertata’ irreversibilità è stata smentita. I nuovi studi tendono infatti a non specificare nessun aggettivo (come ‘permanente’ o ‘persistente’) accanto a ‘stato vegetativo’. Sappiamo solo che ogni caso fa storia a sé”. E anche se il risveglio non arrivasse mai, quella che vivono le persone in stato vegetativo “è vita a tutti gli effetti”, insiste De Nigris. Nel senso comune non deve passare, aggiunge, “la sciatteria, la pigrizia, l’approssimazione. Sentiamo parlare del ‘calvario’ di Eluana, di ‘staccarla dalle macchine’. Questo nega il percorso delle persone che lottano per non perdere la speranza, e nega le buone pratiche e i buoni luoghi dedicati alle persone in stato vegetativo e alle loro famiglie”.
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