Come promesso, ecco l'intervista di Avvenire a Giuliano Ferrara sulla questione di Eluana Englaro.
Ferrara: «La scelta di quei giudici? È frutto di una cultura che maltratta la vita umana, che ha prodotto le nuove linee guida della legge 40 o che propone l’aborto selettivo»
«Acqua per Eluana - Portiamo in Duomo il simbolo della vita».
Cliccando il titolo si va alla pagina di Avvenire con intervista e quant'altro.
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Acqua, simbolo della vita, da portare sotto il Duomo di Milano, in una piazza di civiltà simbolo della misericordia ambrosiana. È la proposta lanciata da Giuliano Ferrara sul «Foglio » di domenica scorsa per contrastare l’idelogia e la cultura che hanno scritto la sentenza Englaro. «Sia chiaro – chiarisce il direttore del Foglio – non me la prendo con il padre, di cui comprendo il trasporto psicologico e sentimentale. Nemmeno con i magistrati, anche se il loro coinvolgimento lo capisco meno. O con il partito radicale. Ma questa donna è in cura dalle suore Misericordine che hanno imparato ad amarla esprimendo la loro vocazione di amore cristiano. C’è insomma qualcuno che si prende cura di lei, come nel caso di Terry Schiavo in America. Anche lì c’era un pezzo della sua famiglia che voleva conservare il calore e la vitalità di quel corpo handicappato e senza i segni della coscienza vigile. Il motivo della sentenza è allora ideologico, si vogliono affermare a tutti i costi una bandiera e una religione civile».
E cosa sostengono?
«Prima del diritto di vivere, che diventa discutibile, c’è l’indiscutibile diritto-dovere di dare la morte come atto di liberazione. Non c’è forma di nichilismo più chiaro quando si afferma che se la qualità della vita non è standard, non vale».
E chi lo stabilisce
«La legge, lo Stato, i giudici... Tutte le decisioni antivita sono culturali, non ci sono responsabili precisi. Questa cultura viene sintetizzata bene dal film di Denys Arcand 'Le invasioni barbariche', racconto eutanasico cinematograficamente ben fatto, ma moralmente mostruoso. Semplificando, è un film sul ’68, sui reduci, sui modernisti, che vuole ribadire la diversità di questa comunità dagli uomini del passato. I quali morivano con un sentimento di speranza o disperazione e si misuravano con la sofferenza. Ma questa generazione no. Celebra la dignità della morte che non proietterebbe in un’altra vita, bensì realizza nel nulla la liberazione euforica dalla sofferenza e dal dolore. Così diventa una sorta di grande evento, non un aspetto dell’esistenza. Questo lo trovo terribile».
La sentenza di Eluana, come ha detto qualcuno, è stata scritta a più mani?
«Ma certo. È già scritta nei libri di Umberto Veronesi, nel le 'Invasioni barbariche', nelle polemiche scientiste che svalutano e maltrattano la vita umana, nelle nuove linee guida delle legge 40, quando si parla di aborto selettivo. Frutto di un atto di profonda sfi ducia nella virtù della vita, nel la sua forza morale, nel suo significato».
Lei ha citato il «precedente Andreatta». Di che si tratta?
«Il presidente Napolitano, recandosi in visita a Bologna, volle visitare Beniamino Andreatta, che morì dopo pochi giorni. Così è stato protocollato al massimo livello che un malato in stato vegetativo da nove anni, è un uomo. Se ne tenga conto anche per la giovane lecchese».
La politica può ancora fare qualcosa?
«Intanto testimoniare socialmente e simbolicamente ade rendo alla nostra campagna d’acqua per Eluana. Soprattutto può stabilire per decreto che è vietato sottrarre il sostentamento vitale agli ammalati in condizioni di non autonomia. Nessuna decisione pubblica può andare in questa direzione. Un conto è l’accanimento terapeutico, un conto stabilire che è lecito non alimentare più una persona. Questo dovrebbe es sere vietato dalle leggi dello Stato».
Sul «Foglio» lei ha ricordato l’articolo del cardinale di Milano Tettamanzi pubblicato su 'Avvenire', definendolo in sostanza tiepido. Ieri un comunicato dei medici cattolici di Milano la invitava a riflettere sul ruolo del vescovo e dei laici. Ha riflettuto?
«Ho solo espresso un’umile critica da persona che non appartiene al gregge ambrosiano. Ma sono d’accordo con loro, in casi come questo è meglio che il vescovo eserciti maggiore prudenza, tocca al laicato farsi sentire e agire».
Ferrara: «La scelta di quei giudici? È frutto di una cultura che maltratta la vita umana, che ha prodotto le nuove linee guida della legge 40 o che propone l’aborto selettivo»
«Acqua per Eluana - Portiamo in Duomo il simbolo della vita».
Cliccando il titolo si va alla pagina di Avvenire con intervista e quant'altro.
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Acqua, simbolo della vita, da portare sotto il Duomo di Milano, in una piazza di civiltà simbolo della misericordia ambrosiana. È la proposta lanciata da Giuliano Ferrara sul «Foglio » di domenica scorsa per contrastare l’idelogia e la cultura che hanno scritto la sentenza Englaro. «Sia chiaro – chiarisce il direttore del Foglio – non me la prendo con il padre, di cui comprendo il trasporto psicologico e sentimentale. Nemmeno con i magistrati, anche se il loro coinvolgimento lo capisco meno. O con il partito radicale. Ma questa donna è in cura dalle suore Misericordine che hanno imparato ad amarla esprimendo la loro vocazione di amore cristiano. C’è insomma qualcuno che si prende cura di lei, come nel caso di Terry Schiavo in America. Anche lì c’era un pezzo della sua famiglia che voleva conservare il calore e la vitalità di quel corpo handicappato e senza i segni della coscienza vigile. Il motivo della sentenza è allora ideologico, si vogliono affermare a tutti i costi una bandiera e una religione civile».
E cosa sostengono?
«Prima del diritto di vivere, che diventa discutibile, c’è l’indiscutibile diritto-dovere di dare la morte come atto di liberazione. Non c’è forma di nichilismo più chiaro quando si afferma che se la qualità della vita non è standard, non vale».
E chi lo stabilisce
«La legge, lo Stato, i giudici... Tutte le decisioni antivita sono culturali, non ci sono responsabili precisi. Questa cultura viene sintetizzata bene dal film di Denys Arcand 'Le invasioni barbariche', racconto eutanasico cinematograficamente ben fatto, ma moralmente mostruoso. Semplificando, è un film sul ’68, sui reduci, sui modernisti, che vuole ribadire la diversità di questa comunità dagli uomini del passato. I quali morivano con un sentimento di speranza o disperazione e si misuravano con la sofferenza. Ma questa generazione no. Celebra la dignità della morte che non proietterebbe in un’altra vita, bensì realizza nel nulla la liberazione euforica dalla sofferenza e dal dolore. Così diventa una sorta di grande evento, non un aspetto dell’esistenza. Questo lo trovo terribile».
La sentenza di Eluana, come ha detto qualcuno, è stata scritta a più mani?
«Ma certo. È già scritta nei libri di Umberto Veronesi, nel le 'Invasioni barbariche', nelle polemiche scientiste che svalutano e maltrattano la vita umana, nelle nuove linee guida delle legge 40, quando si parla di aborto selettivo. Frutto di un atto di profonda sfi ducia nella virtù della vita, nel la sua forza morale, nel suo significato».
Lei ha citato il «precedente Andreatta». Di che si tratta?
«Il presidente Napolitano, recandosi in visita a Bologna, volle visitare Beniamino Andreatta, che morì dopo pochi giorni. Così è stato protocollato al massimo livello che un malato in stato vegetativo da nove anni, è un uomo. Se ne tenga conto anche per la giovane lecchese».
La politica può ancora fare qualcosa?
«Intanto testimoniare socialmente e simbolicamente ade rendo alla nostra campagna d’acqua per Eluana. Soprattutto può stabilire per decreto che è vietato sottrarre il sostentamento vitale agli ammalati in condizioni di non autonomia. Nessuna decisione pubblica può andare in questa direzione. Un conto è l’accanimento terapeutico, un conto stabilire che è lecito non alimentare più una persona. Questo dovrebbe es sere vietato dalle leggi dello Stato».
Sul «Foglio» lei ha ricordato l’articolo del cardinale di Milano Tettamanzi pubblicato su 'Avvenire', definendolo in sostanza tiepido. Ieri un comunicato dei medici cattolici di Milano la invitava a riflettere sul ruolo del vescovo e dei laici. Ha riflettuto?
«Ho solo espresso un’umile critica da persona che non appartiene al gregge ambrosiano. Ma sono d’accordo con loro, in casi come questo è meglio che il vescovo eserciti maggiore prudenza, tocca al laicato farsi sentire e agire».
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