giovedì 19 giugno 2008

Da Romasette: Chesterton, apologeta della fede cristiana

Da Romasette.it, l'articolo di Pietro Mariani sul convegno romano con Padre Ian Boyd.

Un «vescovo vestito da clown». Un «genio colossale». Ma anche «uno dei più grandi annunciatori dell’ortodossia cristiana nell’epoca moderna». Per G. K. Chesterton le definizioni si sprecano. E continua il dibattito attorno a una figura che i meno giovani ricordano come l’autore di quei racconti di Padre Brown, prete-detective, che la tv trasmetteva tanti anni fa con un brillante Rascel protagonista. Certo, non c’è solo questo in Chesterton, e anzi sarebbe riduttivo limitarsi a questo, ma anche Padre Brown è stato citato nel pomeriggio di sabato, nella sede della rivista La Civiltà Cattolica, dove, a 100 anni dalla pubblicazione di due delle opere più note dello scrittore inglese – L’uomo che fu Giovedì e Ortodossia – un pubblico attento e numeroso ha partecipato alla tavola rotonda “G. K. Chesterton: l’ortodossia del buonumore”.

Un incontro organizzato in collaborazione con il Chesterton Institute for Faith and Culture, dell’americana Seton Hall University, e l’associazione culturale BombaCarta. Proprio dagli States arriva il relatore numero uno della tavola rotonda, appunto il direttore del Chesterton Institute, un’autorità nel campo. Padre Ian Boyd indica Chesterton come «un vero maestro di ortodossia cattolica». Ricordando i due capolavori di cui si diceva prima, «L’uomo che fu Giovedì, che ebbe un grandissimo successo sia come autobiografia di tipo narrativo sia come meditazione o rivisitazione del Libro di Giobbe, e Ortodossia, che racconta la storia del suo tentativo di inventare una nuova religione e la sua successiva scoperta che questa era già stata inventata e che era stata chiamata Cristianesimo».

In senso lato, aggiunge padre Ferdinando Castelli, gesuita, scrittore della rivista La Civiltà Cattolica, Chesterton è da considerare un «padre della Chiesa», intendendo per tale «colui che ha influenzato il suo tempo con la sua opera. Alla sua morte, Pio XI lo definì “Defensor Fidei”, titolo che i giornali inglesi non pubblicarono perché era riservato al re Enrico VIII». Cosa risalta in lui? «L’amore della verità totale e l’impegno a proclamarla nella forma adatta alla mentalità del tempo». GKC, come anche veniva indicato, «ha rivelato il volto gioioso della fede». Non a caso ripeteva che «la gioia è il segreto autentico del cristiano».

A proposito di gioia ed in particolare di buonumore, come rammenta il titolo della tavola rotonda, padre Boyd sottolinea che «l’esuberanza e il modo divertente che caratterizzavano il giovane Chesterton furono elementi decisivi nella creazione della sua immagine pubblica. Era addirittura citato da persone che non avevano mai letto qualcuna delle sue opere. I suoi detti divennero rapidamente proverbiali». Insomma, la sua fama di polemista era enorme. Era molto di più di un autore di libri. Lui, che «vide la letteratura come una profezia, era diventato il depositario delle speranze e degli ideali dei suoi lettori». A volte usava un linguaggio criptico, fatto di parabole, ma puntava alla verità.

Anche quando scriveva gialli, spiega il critico Paolo Pegoraro, «a Chesterton non interessava tanto trovare il colpevole, ma la colpa, cioè la verità. Il vero problema, diceva, non è il colpevole, ma i nostri occhi, la nostra visione del mondo». Da qui il suo impegno come educatore, come apologeta della fede cristiana. In uno stile che sapesse attrarre il maggior numero di persone. «Chesterton – afferma padre Boyd - riteneva che al cuore di tutte le realtà più profane ognuno fosse in grado di trovare Dio. Raramente lui scrisse di argomenti religiosi, ma negli eventi della vita quotidiana o nei pezzi di un gesso o nelle strade cittadine riuscì a trovare il mistero religioso che stava nel cuore di ogni cosa».

Gioia, fede, mistero, compimento dell’attesa sembrano fondersi in quelle parole che GKC pronunciò nella sua casa di Beaconsfeld nel 1922, nel giorno in cui entrò in piena comunione con la Chiesa cattolica: «I saggi hanno cento mappe che disegnano universi fitti come alberi, scuotono la ragione con mille setacci che accantonano la sabbia e lasciano filtrare l’oro; per me tutto ciò vale meno della polvere perché il mio nome è Lazzaro e sono vivo».

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