venerdì 4 aprile 2014

Di ritorno da Beaconsfield - 2

Dear Friends, Carissimi Amici,

ci siamo lasciati con dei ringraziamenti, e giustamente, perché Gilbert dice:

«La misura di ogni felicità è la riconoscenza. Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino. L'indovinello dice: "che disse il primo ranocchio?" La risposa è questa: "Signore, come mi fai saltare bene". In succinto c'è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare».

(da Ortodossia)

Proseguo con il racconto delle tantissime cose che ho potuto grazie a Nostro Signore (vedi che ci risiamo? Dice bene, Lui: in succinto c'è tutto quello che sto dicendo io, e non solo qui...) vedere e conoscere in questo velocissimo viaggio in Inghilterra, il primo della mia vita (a parte uno scalo a Stansted tanti anni fa, ma si sa, gli aeroporti sono tutti uguali, quindi potevo anche trovarmi a Melbourne o a Timbuctu).

Top Meadow, la seconda casa dei Chesterton a Beaconsfield
Ancora Top Meadows. Questa è la parte della casa costruita per prima,
quando Frances e Gilbert abitavano ancora nella casa di fronte,
Overroads
Scendiamo dall'aereo, padre Spencer e io, e prendiamo un taxi guidato da un baffuto signore per andare a Beaconsfield, che non è poi così lontana dall'aeroporto di Heathrow, più o meno a mezza strada tra il centro di Londra e Oxford. Una strada trafficatissima ci porta nel paese di adozione di Gilbert. In realtà divenne proprio la sua patria, Gilbert amava molto questo paesino che oggi avrà dodicimila abitanti, lindo e pinto diremmo noi italiani, fatto di casette inglesissime di mattoni rossi, giardinetti privati e pubblici, negozietti, due chiese anglicane, una metodista e una (Deo gratias) cattolica. Gli divenne così cara sin da subito, un amore a prima vista, tanto che ci andò a vivere nel 1909 al termine di una seconda luna di miele, quando lui e sua moglie salirono sul primo treno che partiva dalla stazione vicino a casa loro a Londra. All'epoca vivevano a Battersea. Gilbert si presentò al bigliettaio dicendo: un biglietto, per favore. Per dove?, fu la risposta del perplesso ferroviere, e la controrisposta fu: per il posto raggiungibile dal primo treno in partenza, che nel caso di specie era Slough. Da lì poi presero la strada per Beaconsfield, si fermarono a mangiare e dormire al White Hart, che sta ancora lì, bello e accogliente, e decisero che lì avrebbero posto il centro della loro vita. Presero in affitto Overroads, la casa presso cui vissero dal 1909 al 1922, anno in cui Gilbert e Frances traslocarono a Top Meadows, la casa che si raggiunge ancora oggi attraversando la strada, dove Gilbert finì lietamente i suoi giorni in questa terra calando dalla finestra con un originale sistema per spingere la sua bara fuori, troppo grossa per passare dalla pur ampia porta, novello Innocenzo Smith pronto a scavalcare il muro di cinta del Paradiso (almeno noi chestertoniani questo crediamo: come ha detto giustamente Stratford Caldecott, se non ci è andato lui in Paradiso, noi come faremo?) nel solito modo poco convenzionale. D'altronde non fu il Nostro Re a dire che “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti lo conquistano” (cf. Mt 11, 12)? Ebbene, Gilbert la intesa così, questa riga del Vangelo, e ne fece una specie di sistema per affrontare ogni cosa. Buon per noi, come avremmo fatto, sennò? Ma non mi fermo subito su queste due belle casette, perché meritano uno spazio più ampio.
Un'altra angolazione di Top Meadows
Finalmente...!

Overroads, la prima casa dei Chesterton a Beaconsfield
Arriviamo davanti al Travel Lodge, la piccola guest house che ci accoglierà per due notti, e osserviamo che è proprio dietro al White Hart, il pub che invece accolse spessissimo Chesterton e i suoi amici. Già un bel po' di emozione c'è: catapultato dall'Italia direttamente a casa di Gilbert, lo zio pazzo d'Inghilterra che ha dato una delle più belle sterzate alla mia vita, insomma, non è proprio come se niente fosse! Posiamo i bagagli e andiamo in cerca di Dale, che è già lì da qualche ora. Tento di chiamarlo al telefono ma lo vedo in mezzo alla rotatoria davanti al White Hart, smanacciamo per farci vedere e lui ci vede, ci incontriamo in mezzo all'incrocio, lui ed io con due cappelli che ci causeranno almeno un paio di avventure, Spencer vestito da prete... Grandi abbracci e convenevoli, non facciamo in tempo ad avviarci verso il cimitero che incontriamo un signore molto anziano e piuttosto... allegro che ci guarda, Dale e me, e ci dice: Are you australians? Faccio: no, I'm italian, e Dale subito attacca il simpaticissimo ritornello (anche questo occasione di un piccolo sketch): My name is Dale, I'm the president of the American Chesterton Society, con uno spettacolare sorriso a quattro ganasce. E poi fa: and he's Marco Sermarini, the president of the Italian Chesterton Society. Al che Ray, ecco il suo nome, attacca un bel discorso che grosso modo dice che sua mamma vedeva tutti i giorni Gi Key Chesterton girare attorno a quell'albero... That tree... fa lo stranito Ray... That tree... e continua così fintanto che non ci giriamo a guardare that tree... e ci dice che appunto Chesterton girava attorno a quell'albero e pensava alle storie di Padre Brown! Allegria alcolica, fai miracoli. Salutiamo il simpaticissimo Ray e proseguiamo per il cimitero cattolico, non lontano dalla Chiesa parrocchiale di Santa Teresa, ma non proprio vicino. Dale e Spencer mi fanno strada ed entro da un cancello di legno in quello che sembra un prato verde ma che è il cimitero dove è sepolto il mio caro "zio". Dale e Spencer mi guardano e mi sfidano a trovare la tomba di Gilbert, io non ci metto neppure tre secondi, guardo a destra e la vedo a venti o trenta metri da me, parto e mi dimentico di loro che ridono, vado da Gilbert, Frances e Dorothy e li saluto, finalmente! E' il tramonto, come forse si vede dalla luce nella foto, e ci raccogliamo in preghiera qualche minuto: abbiamo tante cose da chiedere a Gilbert! Recito la preghiera per la beatificazione in italiano, Spencer mi segue in inglese e Dale segue con la mente, imbambolato dalla mia lingua che è la stessa di sua moglie Laura. Ci spariamo (è il caso di dirlo: i miei cugini americani insistevano a dirmi: shot! shot! Io, pur sembrando armato fino ai denti, avevo solo il cellulare, ma appunto loro mi dicevano di usare proprio quello per... sparare!) una serie epica di foto che in men che non si dica finiscono sul blog, su What'sapp e su Twitter, potenza dei social network, e rimbalzano di qua e di là in America, Italia, Inghilterra e giù di lì.
Dale e Spencer dinanzi alla tomba dei Chesterton
e di Dorothy Collins
Adesso siamo tutti...!
Un bel momento di commozione, cari amici. E' proprio un uomo vivo, Gilbert, non c'è niente da dire, e da quella visuale paradossalmente lo si capisce meglio. 

The gift of a dandelion
Lasciamo il cimitero promettendo di passare di nuovo prima di ripartire, e ci dirigiamo verso la Parrocchia di Saint Theresa of Lisieux, la Chiesa Cattolica a Beaconsfield. Lungo la strada incontriamo un giardinetto davanti alla sede municipale e della polizia locale. Nel giardinetto ci sono delle panchine ed una alle sue spalle trova immortalato il nostro Gilbert nel gesto famoso della foto "Gift of a dandelion". Ci è sembrato il posto giusto, il luogo dove grandi e piccini si incontrano e giocano insieme, e questi ultimi donano ancora una volta lo stupore agli occhi che il mondo vorrebbero cinici, ma che tali non sono proprio grazie a quel dandelion.

La Chiesa di Saint Theresa of Lisieux
a Beaconsfield
La chiesa di mattoncini rossi ha una sala attigua in cui si vede una luce e un po' di movimento: entriamo e veniamo accolti con calore da Martin Thompson, l'organizzatore della conference e presidente del gruppo chestertoniano Chesterton in the Chilterns (le Chilterns sono le collinette tra Beaconsfield e Oxford), un gruppo locale molto attivo che tiene alta la fiaccola di Chesterton in tutta l'Inghilterra. Con Martin ci sono altri amici, tra cui spicca Francis Thompson (amici e non parenti), il braccio armato dei Chilterns Chestertonians, perché tutti i dettagli tecnici passano dalle sue mani. Il calore non sembrerebbe inglese: va detto che, stando con questi nuovi amici, mi sono accorto come non sia vera la diceria della cosiddetta freddezza inglese. Certo, non sono fracassoni come noi, o socievoli come gli americani, ma hanno un animo... romantico. Guardandoli al lavoro mi è sembrato molto più vero quello che disse J. R. R. Tolkien, che sosteneva di aver visto gli hobbit nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, umili, dediti e disposti al sacrificio. Forse Francis è proprio un hobbit, con i suoi capelli biondi, il colorito chiaro e quel leggero rossore della pelle che sembra una denominazione di origine protetta: England!
Mi accolgono amichevolmente, davvero, e sinceramente mi sento a casa. Ero un po' preoccupato perché parlo inglese ma non come loro e avevo un po' vergogna. Ora questo primo incontro mi mette più a mio agio. E' come se avessimo capito subito che lavoriamo per lo stesso Re e che seguiamo uno dei suoi migliori Campioni, Gilbert. Martin è quello che ha voluto invitarmi e la sensazione che ho è di una persona che sembra conoscerti da tempo. Bene, molto bene.
Dale è discreto ma deciso, chiede se possiamo andare nell'archivio della Parrocchia e partiamo, lui avanti, Spencer ed io al passo.
Perché l'archivio?
La parrocchia ha in un suo locale una parte dei libri di Chesterton e di sua moglie, e diversi libri appartenuti a Dorothy, per cui un parrocchiano ci fa entrare e ci fa accomodare.
Possiamo vedere i suoi libri, suoi perché posseduti da lui e molti perché scritti proprio da lui.
Dale con in mano una prima edizione
di Greybeards at play, il libro di Gilbert
pubblicato per volere e con i soldi
di suo padre Edward, che lo stimava e sosteneva.
E' un'altra grande emozione. Ci rendiamo conto di quanto fosse buono quest'uomo dai suoi libri e da quelli di Dorothy: molti di quei libri erano il frutto del lavoro di Dorothy che, come scrisse in una dedica Gilbert, era capace di tirare fuori quelle cose dal disordine in cui le concepiva il suo datore di lavoro. Per cui per ogni nuova edizione una copia veniva donata a Dorothy e presentava sempre una dedica simpatica, quasi sempre occasione d'ironia, e l'ironia aveva come bersaglio Gilbert stesso.
Scaviamo, scaviamo, troviamo che le relazioni tra Chesterton e l'Italia erano molto più profonde di quanto non credessimo. Ci capita tra le mani un libro di Decio Pettoello, uno dei suoi primi traduttori, con una discretissima lettera di accompagnamento che chiedeva un giudizio, e dietro la lettera una minuta della risposta di Gilbert, di pugno di Dorothy, in cui si lodava il libro con precisione.
Un uomo buono e umile, nonostante potesse gareggiare per intelligenza con il Bue Muto, San Tommaso d'Aquino.
Il tempo vola e la fatica comincia a farsi sentire: il viaggio è stato lungo e cominciamo a sentire lo stomaco che brontola. Salutiamo ed andiamo a fare una cena quaresimale al White Hart.
Altra emozione.
Il pub era il luogo dove Chesterton aveva il trono, diceva R. Church, vorrei dire io la sua cattedra, una cattedra originale, da cui (è sempre Church che lo dice) Gilbert "gorgogliava umorismo", come una fontana allegra e vivace. Lì incontrava la gente comune che lui amava tanto perché è Dio stesso che la ama avendone fatta molta. Lì si apriva il mondo. Da lì partivano le sue intuizioni per cui finalmente l'Inghilterra parlava, e da lì insegnava come un Padre della Chiesa - diceva Emilio Cecchi, suo primo mentore italiano - costretto dalle difficoltà dei tempi a predicare in modo burlesco, vestito da pagliaccio con il naso tinto di verde; ma questo pagliaccio girandosi lascia intravedere i paramenti di vescovo, cioè di colui che conferma nella fede il suo popolo.
Putroppo non c'è più il busto che fino a qualche anno fa lo ricordava, ma ci siamo noi, e non è poco. Chi se lo scorda più, ormai?
Mangiamo e chiacchieriamo, raccogliamo le idee di questa intensissima giornata e prepariamo quelle per il giorno dopo, il giorno della conference in cui tutti noi tre dobbiamo parlare e far parlare i nostri popoli.
Per cui dopo un ultimo saluto andiamo a dormire, contenti di essere tornati a casa nostra.
Buonanotte, Beaconsfield.










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