venerdì 3 dicembre 2010

Yunus, il piccolo prestito e le nostre radici cattoliche e antiusurarie


Riportiamo questo articolo de Il Foglio sulle vicende accadute a Mohammed Yunus, fondatore della Grameen Bank per la quale ottenne il premio Nobel alcuni anni fa.
Non sappiamo come stiano effettivamente le cose (potrebbe essere tutto vero ma ti viene da pensare che quando fai una cosa così a qualcuno potrebbe venire in mente di farti fare una meravigliosa pessima figura e mandare tutto al macero) e tempo fa abbiamo pubblicato un articolo di AsiaNews che segnalava le perplessità davanti ad alcuni effetti indesiderati del cosiddetto microcredito.
Il giudizio che vorremmo dare (nella migliore ottica distributistica chestertoniana) è che noi cattolici siamo i padri di istituzioni nobilissime e utilissime che aiutavano il popolo a mantenere in piedi un sistema che, con le sue imperfezioni e difficoltà, è andato avanti almeno fino alla cosiddetta Unità d'Italia: i Monti di Pietà e i Monti Frumentari, inventati da San Bernardino da Siena, diffusi e dotati di statuti da San Giacomo della Marca, dal beato Bernardino da Feltre.
Occorrerebbe fare una riflessione in proposito (e c'è chi la sta facendo) senza cadere nel fatalismo secondo cui "tanto oggi c'è il sistema bancario". Forse proprio l'attuale sistema bancario è il problema (non so se ci è sufficiente la crisi che sta investendo il mondo dal 2008 o se abbiamo bisogno di uno tsunami per capire...). Si osservi che il Regno d'Italia si affrettò, nei primi cinque o dieci anni della sua esistenza, ad emettere alcuni provvedimenti per eliminare definitivamente le ultime tracce di queste valorose istituzioni. 
Occorrerebbe ricordare come centinaia anzi migliaia di preti e laici cattolici sono tra i fondatori di istituzioni come le vecchie casse rurali (oggi riassorbite anch'esse nel "sistema bancario", per quanto molte siano ancora portatrici di queste antiche istanze).
Qualche notizia sui Monti di Pietà potete trovarla qui.
Sul distributismo si può leggere Hilaire Belloc, Lo Stato Servile, edizioni LiberiLibri, Macerata.
Alcuni editori stanno preparando qualche testo di natura distributista di Chesterton.

Nobel, no bbuono
Yunus, il banchiere buono cui fu comminato un Nobel, e che ora si rivelerebbe un poco di buono

Ironia della sorte vuole che dalla Norvegia, in cui fu gratificato nel 2006 del Nobel per la Pace, arrivino ora seri guai per il settantenne bengalese Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri”, l’inventore del microcredito santificato dall’occidente in perenne senso di colpa, l’uomo che più di trent’anni fa promise: “Un giorno i nostri nipoti andranno nei musei per vedere cosa fosse la povertà”.
In attesa di visitare quei musei, i nostri nipoti hanno potuto nel frattempo vedere un’inchiesta televisiva del giornalista danese Tom Heinemann, trasmessa martedì in Norvegia e intitolata “Intrappolato nel microdebito”. Nel documentario, Yunus è accusato di aver usato per scopi diversi da quelli inizialmente stabiliti buona parte di una donazione alla sua Banca dei poveri, equivalente a 74,5 milioni di euro ed elargita tra il 1996 e il 1998 da paesi come la stessa Norvegia, la Svezia, l’Olanda e la Germania. Invece di rimanere alla Grameen bank per finanziare le azioni di microcredito, una cifra pari a 47 milioni di euro vi transitò brevemente, prima di finire nelle casse di Grameen Kalyan, un’altra società che fa capo a Yunus e che si occupa di “microassicurazioni” sanitarie.
Di fronte alle rimostranze ufficiali dell’ambasciatore norvegese a Dacca, oltre che della Norwegian agency for development cooperation e del ministro delle Finanze del Bangladesh, Yunus aveva spiegato l’operazione piuttosto disinvolta con motivi fiscali e restituì comunque 17,6 milioni di sterline (una ventina di milioni di euro) a Grameen bank. La vicenda conserva però aspetti oscuri, e la stessa banca, dopo la messa in onda del documentario norvegese, ha annunciato più esaurienti spiegazioni “il prima possibile”.
Svapora così, ingloriosamente, l’aura di miracolo attorno all’intero sistema del microcredito, ormai da molte parti accusato – ne parlava ieri anche il Financial Times, con una pagina intitolata: “Piccolo prestito, grosso problema” – di assomigliare a una forma organizzata di strozzinaggio ammantata di politicamente corretto. Ormai “trasformata in business globale che collega la finanza internazionale con alcune delle comunità più povere del mondo”, come scrive il FT, la microfinanza si regge su tassi di interesse che arrivano al trenta per cento. Tassi da usura, giustificati con il fatto che solo così è possibile prestare soldi a persone che, per la loro indigenza, non sarebbero mai prese in considerazione da una banca normale. Un “sistema di sfruttamento degli esseri umani, crudele come il nazismo e improntato soltanto su criteri di profitto”, accusa l’attivista per i diritti umani indiano Lenin Raghunvashi, con agenti remunerati in funzione del numero di clienti e del tasso di rimborso, e incitati a spingere al prestito, prima, e a forzare al rimborso con ogni mezzo, dopo. 


Il risultato è che, negli ultimi due mesi, una cinquantina di suicidi nelle zone più povere dell’India sono stati con sicurezza collegati alla pratica dei piccoli prestiti senza garanzie. Gli stessi agenti incaricati di riscuotere le rate settimanali arrivano a suggerire il suicidio agli insolventi, per incassare l’indennizzo del fondo di protezione che interviene in caso di morte del debitore. L’Onu non si lasciò sfuggire (e come poteva?) l’occasione di proclamare il 2005 “anno del microcredito”.  Solo cinque anni dopo, il “benefattore” è nudo.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

1 commento:

UmbertaMesina ha detto...

Grazie per questa aegnalazione.

Rino Cammilleri ha pubblicato recentemente l'Antidoto che vi copio sotto:
--- "Nella sua rubrica quotidiana sul «Il Giornale», Paolo Granzotto l’8 novembre 2010 avvertiva che «solo negli ultimi due mesi almeno cinquanta suicidi sono stati sicuramente collegati alla pratica dei microcrediti. Suicidi di insolventi, sprovvisti di quelle poche rupie necessarie a saldare la rata settimanale del prestito». Altri si rivolgono «agli strozzini». E Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank e Nobel 2006, si riprometteva si spazzar via «i castelli di sabbia dell’economia liberista», aggiungendo: «Un giorno i nostri nipoti andranno nei musei per vedere cosa fosse la povertà». Ricordo l’Antidoto in cui padre Gheddo riferiva che le “banche dei poveri” in Bangladesh «le hanno iniziate i missionari» fin dagli anni Venti. Esse chiedono il 12% annuale, «molto più basso di quello che fanno le banche (del 22-24%) e meno della metà di quello che fa la famosa Grameen Bank di Yunus, che arriva a pretendere il 28% annuo di interesse sui prestiti». Non solo: i missionari lavorano coi poveri più poveri, i tribali pagani e i cristiani, mentre la Grameen Bank si rivolge a musulmani e indù." ---
Il sito è http://www.rinocammilleri.com/ (si può averli anche per e-email).

Insomma, come al solito il problema non mi pare lo strumento (qui, il microcredito) ma chi se ne serve male. E non mi riferisco ai debitori.