lunedì 7 dicembre 2009


Da Il Sussidiario

Antonio Autieri

venerdì 20 novembre 2009

Pete Docter, con John Lasseter, è stato premiato alla Mostra di Venezia, insieme a tutta la factory Pixar, con il Leone d’oro alla carriera. Al regista di Up abbiamo rivolto alcune domande.

Com’è nata l’idea di Up?

Io e il coregista Bob Peterson abbiamo iniziato a riflettere in maniera ironica sul personaggio di un “anziano signore”, come quelli che abbiamo amato nei fumetti di George Booth, un magnifico tipo alla Spencer Tracy e Walter Matthau: personaggi burberi che non possiamo evitare di amare.

Quanto incide nei vostri film, e quindi anche in Up, l’esperienza personale?

I film Pixar riflettono sempre la gente che li fa: rivelano chi sei, come nella pittura. Quindi si vede Brad Bird negli Incredibili e me in questo film, nel senso che ho messo nel personaggio di Carl molto anche di mio nonno oltre che dei grandi attori citati. E in generale c’è molta osservazione della realtà: tanti piccoli particolari sono presi dall’osservazione delle persone anziane, dai loro movimenti, dai loro atteggiamenti. Per il personaggio del piccolo Russell, ci siamo ispirati a un nostro collaboratore che ha smorfie molto curiose ma soprattutto da un ragazzino che conosco, amico di mio figlio: abita nella mia via e ogni tanto entra in casa mia dicendo: “Ehi Mister Docter, ti sono mancato?”.

Si dice che in Pixar ci sia molto scambio di idee tra registi, autori, produttori…

È vero, e molte idee vengono semplicemente durante un pranzo o una vacanza quando siamo rilassati e si parla con grande libertà. Come per Toy Story 2, cui pensammo mentre mangiavamo insieme. Ma siamo quasi trecento persone a lavorare a un film e ognuno porta il suo contributo, al punto che dopo anni saprei riconoscere dalle sfumature e dai particolari la firma di ogni animatore. Tutto rifluisce nel film: ed è merito di John Lasseter se quello che ne esce è il frutto comune e così riuscito di tante persone. A un animatore io non “ordino” mai di modificare una bocca, ma devo dire se voglio che un personaggio sia felice o triste in una determinata scena. Poi starà agli animatori realizzarlo al meglio, e a me verificarlo.

Cosa pensa dell’animazione giapponese, e in particolare di Hayao Miyazaki (regista di Ponyo sulla scogliera, Il castello errante di Owl, La città incantata)?

Sono un suo grande fan, che penso sia un maestro da cui c’è ancora tantissimo da imparare. È diverso da ogni altro per come sa catturare l’essenza della vita in ogni cosa: in un bambino che mangia come nel vento che soffia tra i fili d’erba, e come sa rendere nel disegno tutto questo. A differenza che nella tradizione hollywoodiana, per cui si vuole sempre sapere cosa succederà dopo, come andrà a finire, Miyazaki ti incanta mostrandoti le piccole cose e trasformandole artisticamente, in modo che l’immagine prenda vita. In Up c’è la scena della casa che prende il volo. Poi Carl si siede in poltrona, solo col rumore del vento, come se ci fosse una sospensione di ogni azione. Ecco, questa scena è un tributo a Miyazaki.

Cosa vi inventerete di nuovo, dopo le continue sfide cui ci avete abituati?

Nell’animazione e nel nostro lavoro, come nella vita, può succedere di tutto. Per noi è importante avere sempre in mente il pubblico, chi realmente va al cinema, non solo le nostre idee. Per questo non sappiamo cosa il pubblico vorrà vedere in futuro, e cosa saremo chiamati a regalargli.

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