venerdì 3 ottobre 2008


INDIA - Lalji Nayak, martire per la fede in Orissa

di Nirmala Carvalho
Con un coltello ficcato nel collo, minacciato di morte, non ha rinunciato alla fede cristiana. Ma vi sono anche altri che sotto minacce sono stati costretti a convertirsi all’induismo. Cristiani feriti assaliti anche in ospedale. Nel distretto di Kandhamal altri tre villaggi attaccati. I missionari di Madre Teresa vogliono tornare per prendersi cura dei lebbrosi e dei tubercolotici.


Bhubaneshwar (AsiaNews) – Lalji Nayak, torturato per costringerlo ad abbandonare la sua fede cristiana, è morto 2 giorni fa a causa delle ferite riportate. Il p. Manoj Nayak, dell’episcopio di Bhubaneshwar lo definisce “un martire per la fede”.

P. Manoj racconta: “Loro [gli assalitori radicali indù] gli hanno infisso un coltello al collo, minacciandolo di ucciderlo se non rinunciava alla sua fede cristiana. Lalji, anche se era tutto ferito e sanguinante, ha rifiutato di abbandonare la sua fede. È morto il 1° ottobre all’ospedale”.

Il villaggio di Lalji Nayak, a Rudangia, è stato attaccato dai fondamentalisti indù il 30 settembre scorso, alle 4 di mattina. Rudangia è all’interno del distretto di Kandhamal, l’epicentro da cui è iniziato il pogrom contro i cristiani da oltre un mese.

Gli assalitori hanno sorpreso le famiglie cristiane nel sonno e hanno colpito le persone con asce, bastoni, lance e coltelli. Nell’assalto, una donna cristiana, Ramani Nayak, una madre di famiglia, è stata uccisa. Almeno 6 persone sono state ferite e ricoverate all’ospedale di Behampur. Fra un bambino di 8 anni con sua madre e lo stesso Lalji Nayak.

Lo stesso giorno in cui è morto Lalji, i feriti sono stati attaccati anche dentro l’ospedale. P. Oscar Tete, superiore dei Missionari della Carità, il ramo maschile dell’ordine di Madre Teresa, ha dichiarato ad AsiaNews: “Il 1° ottobre una folla inferocita è entrata all’ospedale di Berhampur creando disordine e confusione. Sono stati fermati solo un momento prima di attaccare i 6 feriti. Ormai i cristiani sono presi di mira anche negli ospedali”. Quest’oggi p. Tete trasferirà i feriti scampati al linciaggio nella Casa Madre Teresa di Bhapur Bazar, sempre a Berhampur.

P. Oscar Tete era il responsabile del lebbrosario Shani Nivas a Srashananda, nel distretto di Kandhamal, che è stato distrutto dai radicali indù il 24 agosto scorso, all’inizio del pogrom.

P. Oscar racconta i fatti di quel giorno: “Avevamo appena lasciato la casa che ospita i malati, quando è arrivata una folla enorme. Hanno bruciato completamente l’edificio in cui erano ospitati i lebbrosi e anche la cappella, appena ricostruita dopo le violenze del dicembre scorso. Gli estremisti hanno cominciato a picchiare i malati per far loro confessare dove eravamo nascosti. Poi hanno versato qualche agente chimico nei loro occhi e hanno distrutto anche la nostra casa. Nei giorni seguenti siamo riusciti a portare questi lebbrosi e tubercolotici prima al campo di rifugio di Udaigiri e poi nella casa Madre Teresa di Berhampur”.

Da allora, in Orissa e in altri stati si registrano ogni giorni violenze e distruzioni. Ieri pomeriggio 120 case di cristiani sono state bruciate nel distretto di Baudh, confinante con quello di Kandhamal. Gli abitanti sono fuggiti nella foresta.

P. Oscar Tete non dispera e vuole ritornare a Srashananda, per prendersi ancora cura dei lebbrosi e dei tubercolotici. “Madre Teresa – dice - ci ha sempre chiesto di essere solidali con i poveri e i sofferenti. Non possiamo abbandonare la nostra missione”.

P. Manoj a Bhubaneshwar racconta anche una storia di umiliazione: il dolore di suo padre anziano che minacciato con una scure al collo, è stato forzato a convertirsi all’induismo. “Mio padre era il postino del distretto, una persona molto rispettata. È stato anche catechista della diocesi negli ultimi 30 anni. Il 27 agosto una folla di radiclai indù sono arrivati al villaggio di Tiangia e si sono scatenati prendendo di mira proprio mio padre, Analekt Nayak. Avevano preso informazioni su chi erano i leader della comunità. Hanno piazzato un’ascia sul collo di mio padre e lo hanno costretto a diventare indù. Ora, dopo più di un mese, mio padre è loro prigioniero, continuamente circondato da estremisti che non lo lasciano un istante. Ma il dolore di essere stato forzato a convertirsi all’induismo è la tortura più profonda che sta attraversando”.

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