sabato 17 agosto 2024

Ma chi era John Ernest Hodder-Williams, a cui dobbiamo essere molto, molto grati? E come arrivò Chesterton a fare il giornalista? ©

Come si legge nel primo post di oggi, Chesterton ebbe una spinta determinante ad intraprendere il mestiere di giornalista proprio dal suo compagno di studi (studi mai finiti, per il Nostro Eroe) John Ernest Hodder-Williams. Fu una spinta determinante, perché - come scrisse il compianto William Oddie - fu lo spunto per il "long journey round the world" di Chesterton. Senza di lui probabilmente non sarebbe mai partito per il suo viaggio lungo tutto una vita per dire al mondo che è meglio essere vivi ed è meglio essere grati. In molti ricorderete le difficoltà e le ubbie che si sciolsero definitivamente un bel giorno del 1894 grazie anche alla lettura di alcuni libri (L'Isola del Tesoro di Stevenson, alcune poesie di Walt Whitman e il Libro di Giobbe) e che culminarono in una specie di esperienza mistica.

Ma chi è l'uomo a cui dobbiamo tanto?

Sir John Ernest Hodder-Williams (1876 - 1927) fu uno scrittore ed editore britannico comproprietario della casa editrice Hodder & Stoughton di Londra (oggi acquisita dalla casa editrice francese Hachette ma ancora in vita col suo marchio), che fu la prima casa editrice che pubblicò lavori di Chesterton, per l'appunto le note recensioni sul periodico The Bookman che gli diedero la prima notorietà assieme agli articoli usciti su The Speaker e su altri periodici. 

The Bookman veniva pubblicato la prima settimana di ogni mese e si proponeva di raccontare "la vita letteraria del giorno"e di essere "la migliore guida illustrata ai migliori libri del momento".

Qui trovate il testo integrale con le illustrazioni del volumetto su Thomas Carlyle, che si presenta firmato sia da Chesterton che da Hodder-Williams. Al volume dedicammo parte di un altro post circa un anno fa.

Ma torniamo al nesso tra Chesterton e questo distinto signore e al contesto in cui questo rapporto si colloca. Vedremo come non fu l'unico ad creare la "bomba Chesterton", anche se di certo possiamo dire che ne costituì l'innesco.

Troviamo traccia di questo primo innesco, come accennato nel precedente post, nell'Autobiografia, in cui Chesterton afferma, a proposito dei suoi anni giovanili: 

"(...) il centro di gravità della mia vita si era spostato da ciò che (per amor di cortesia) chiameremo Arte a ciò che (per amor di cortesia) chiameremo Letteratura. L'intermediario di questo cambiamento di intenzioni fu innanzitutto il mio amico Ernest Hodder Williams, più tardi a capo della ben nota casa editrice (Hodder & Stoughton, ndr). Frequentava le lezioni di inglese e latino all'University College (di Londra, ndr), mentre io frequentavo, o fingevo di farlo, i corsi alla Slade School. Seguii con lui il corso di inglese e, per questo motivo, ho l'onore di essere tra i numerosi allievi che sono grati all'insegnamento straordinariamente vivo e stimolante del professor W. P. Ker. In genere, gli studenti studiavano per l'esame, ma io non avevo neppure quello, di scopo, in quel periodo della mia vita così privo di scopi. Mi conquistai così la reputazione, del tutto immeritata, di coltivare una devozione disinteressata e gratuita per la cultura, e una volta ebbi l'onore di rappresentare da solo l'intero pubblico del professor Ker. In quell'occasione, fece una lezione esauriente e traboccante di idee come non avevo mai sentito, riservandosi soltanto uno stile più familiare. Mi fece qualche domanda sulle mie letture e, al mio vago accenno alla poesia di Pope, rispose soddisfatto: «Ah, vedo che è stato educato bene». Pope non riceveva neppure il minimo riconoscimento dalla generazione di ammiratori di Shelley e di Swinburne. Hodder Williams e io parlavamo spesso di letteratura, durante il corso, e lui si mise in testa che io potessi davvero scrivere, illusione che gli rimase fino al giorno della morte. Di conse-guenza, e in rapporto ai mie studi, mi passò alcuni libri d'arte, perché ne facessi la recensione sul «Bookman», la celebre rivista della casa editrice e della sua famiglia. Non mi dilungherò a raccontare che, non essendo riuscito a imparare né l'arte né il disegno, fui invece capace di buttar giù qualche riga critica sui punti deboli di Rubens o sui talenti non sfruttati di Tintoretto: avevo scoperto la più facile tra tutte le professioni e da allora non l'ho mai abbandonata. Se mi guardo indietro e contemplo questi momenti e, in generale, le vicende della mia vita, a colpirmi è la mia fortuna straordinaria. Mi sono già schierato a difendere i pregi della Favola con Morale, ma è contro ogni sano principio il fatto che i doni generosi della fortuna fossero prodigati all'Apprendista Ozioso. Nel caso del mio rapporto con Hodder Williams, è illogico che una persona tanto negata negli affari potesse intendersi con un'altra invece così versata. Nel caso della scelta di un mestiere, era scandaloso che uno riuscisse a diventare giornalista solo perché aveva fallito come artista. Ho detto mestiere, non professione, perché l'unica cosa che posso dire a mia difesa, sia per un lavoro che per l'altro, è che non mi sono mai montato la testa. Forse ho avuto una professione, ma non sono mai stato professore. Ma, in un altro senso, c'era in questa prima fase un elemento di fortuna e perfino di caso. Intendo dire che la mia mente rimaneva svagata, stupefatta quasi, e queste opportunità erano solo accadimenti che mi capitavano, quasi delle disgrazie. Dire che non ero ambizioso sembra alludere a una virtù, mentre in realtà era solo un difetto, neppure tanto grave: era quella cecità singolare tipica della gioventù, che siamo capaci di scorgere negli altri, ma incapaci di spiegare in noi stessi. Ne parlo qui, perché è in relazione con il perdurare di quell'enigma irrisolto della mente, di cui ho parlato all'inizio del capitolo. Il fatto è che i miei occhi erano rivolti verso l'interno piuttosto che verso l'esterno, conferendo alla mia personalità morale, io credo, uno sgradevole strabismo. Ero ancora gravato dall'incubo metafisico di negazioni dell'anima e della materia, dalle morbose rappresentazioni del male, dal fardello del mio corpo e del mio cervello, stranamente misteriosi. Eppure, già mi rivoltavo e tentavo di elaborare una versione più costruttiva della vita cosmica, per quanto peccassi di un eccesso di positività. Mi definivo ottimista, perché tendevo pericolosamente al pessimismo: è l'unica scusa che posso dare" (1).

A titolo meramente informativo il professor W. P. Ker fu negli interessi e nella stima anche di J. R. R. Tolkien.

Chesterton iniziò allora questa collaborazione con Hodder & Stoughton nel 1899.

Ci spiega William Oddie che

"naturalmente non era il suo primo articolo su artisti o storici dell'arte (la sua prima recensione pubblicata, su The Academy, era stata quella di una raccolta di estratti dalle opere di John Ruskin), e non fu nemmeno l'ultimo: nel corso dell'anno successivo, insieme a Ernest Hodder Williams (che aveva conosciuto come compagno di studi all'University College di Londra), avrebbe scritto, per The Bookman, un lungo studio in tre parti sulla scena artistica contemporanea; e nel dicembre del 1900 contribuì con un importante articolo su G. F. Watts, che abbiamo visto essere il suo primo articolo  su G. F. Watts, che possiamo considerare il precursore del suo studio completo sull'artista, pubblicato nel 1904" (2). 

Oddie ci dice poi che questo primo articolo sul Bookman colpiva 

"non solo per la fluidità dello stile, ma anche per l'audacia intellettuale - come tutto ciò che scriverà nella sua maturità. Mostra già alcune delle qualità che lo avrebbero reso uno dei più grandi critici della sua epoca: la capacità di fare analogie sorprendentila comprensione del mezzo in cui opera l'oggetto della critica; l'abilità analitica scientifica che sapeva impiegare per eliminare una falsa percezione; il modo in cui, al meglio, usava sempre l'umorismo come mezzo di discernimento serio piuttosto che come semplice intrattenimento leggero" (3).

I primi pezzi di Chesterton per il Bookman (in particolare quelli firmati con Ernest Hodder Williams) ci danno l'occasione per ricordare il ruolo svolto dagli amici nel lancio della carriera letteraria del nostro eroe. Abbiamo visto che era stato Hodder Williams (con cui Chesterton aveva frequentato le lezioni di letteratura inglese del professor Ker dal 1893 al 1895) che aveva suggerito a Gilbert di scrivere per la testata letteraria quando la Hodder & Stoughton l'aveva lanciata nel 1899. Ma ancora più importante fu il sostegno ricevuto - e la pressione e l'incoraggiamento - dei suoi amici dei tempi della scuola superiore. Il suo futuro cognato Lucian Oldershaw affermò in seguito che

 “non fece nulla per se stesso finché non scendemmo da Oxford e lo spingemmo” (4). 

Quest'opera di persuasione e di incoraggiamento degli amici portarono all'ingaggio da parte di The Speaker, testata rilevata da un gruppo di giovani liberali antimperialisti di Oxford e da loro trasformato in uno dei principali organi di opposizione alla guerra boera. Di questo gruppo facevano parte appunto i vecchi compagni di scuola ed amici di sempre Lucian Oldershaw e Edmund Clerihew Bentley, che iniziarono subito a convincere il direttore J. L. Hammond e il redattore letterario F. Y. Eccles a pubblicare articoli e recensioni di libri scritte da Chesterton.

Questo marchio d'amicizia sarà tanto amato da Chesterton fino alla fine, e su quest'esperienza baserà tante sue riflessioni sul tema delle relazioni sincere. Tutto questo non è trascurabile nella storia di quest'uomo e va quindi raccontato.

Marco Sermarini

(1) Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia, Lindau, Torino 2010, pp. 110 - 112.

(2) William Oddie, Chesterton and the Romance of Orthodoxy. The Making of GKC 1874 - 1908, Oxford University Press, Oxford 2008, p. 173 (mia traduzione).

(3) ibidem.

(4) William Oddie, Chesterton and the Romance of Orthodoxy. The Making of GKC 1874 - 1908, p. 176 (mia traduzione). 

(riproduzione riservata ©)

John Ernest Hodder - Williams

Ecco una delle prime creazioni...

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