di Fabio Trevisan
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A partire dalla sua grande immaginazione artistica capace di costruire emblematiche metafore come quella dei topi, Chesterton sapeva allargare la ragione e farci intravedere la bellezza del vincolo matrimoniale contro la suggestione ingannevole del divorzio: "I ratti sono sempre pronti ad abbandonare la nave che affonda: esiste una nave (fuor di metafora la famiglia), grande o piccola non fa differenza, che non va abbandonata anche quando si pensa stia affondando". Partendo dall'origine, Chesterton evidenziava il carattere forte della promessa coniugale e stoppava ogni affrettata ed ingiustificata deduzione legata all'emotivismo che squalificasse l'imprudenza di quel voto: "Molti replicheranno immediatamente che è un voto imprudente. Per il momento mi accontenterò di rispondere che tutti i voti sono imprudenti. Non sto difendendo i voti, li sto solo descrivendo". Quello che intendeva mostrare era la natura di quel giuramento e la capacità dell'uomo e della donna di tener fede a quel patto; lo faceva ponendosi questioni fondamentali ancor oggi estremamente attuali: "Un uomo dovrebbe infrangere una promessa? Un uomo dovrebbe farla?". Non erano interrogativi secondari ma basilari che implicavano la spiegazione del giusto concetto di libertà: "La maniera più semplice di porre il quesito è chiedere se essere liberi includa l'essere liberi di legarsi".Chesterton perorava, in quell'arte del paradosso di cui era un eccellente maestro, la libertà di essere liberi di legarsi, di votarsi pienamente e completamente per mantenere fede ad una promessa irrevocabile: "Il punto è che ogni filosofia dell'amore che non dia conto della sua ambizione di stabilità, come delle sue esperienze di fallimento, è destinata a fallire".Analizzando la storia dei voti, intesi come promesse cui restare fedeli, non poteva non rendere esatto conto di quanto questa tradizione fosse radicata in quelle civiltà, tanto da renderla nota dominante nei costumi, nella fede, nel modo di pensare e di porsi nella società: "Tutta la cultura medievale, che ci ha trasmesso la tradizione del romance (lo spirito romantico, cavalleresco ed eroico) è attraversata dal tema della catena…quella società che ci ha tramandato tali festività e tradizioni era pervasa dall'idea del voto…ciò che noi chiamiamo cavalleria altro non era che un grande voto…tra gli artigiani come tra i piccoli commercianti ritroviamo la stessa vaga eppur vivida presenza di quello spirito che può essere chiamato soltanto voto".
In un capitolo del pamphlet: "La storia del voto" , Chesterton analizzava dal punto di vista storico come fosse stato perduto quello spirito di legarsi a promesse durature che impegnavano la persona stessa a mantenersi leali e fedeli, cosa che con l'introduzione del divorzio avrebbe suggellato la definitiva scomparsa: "L'idea, o comunque l'ideale, di ciò che è chiamato voto, è abbastanza ovvia. Essa vuole combinare la stabilità, che è accompagnata dalla finalità, con il rispetto di sé, che può essere accompagnato solo dalla libertà". Il crollo di questa civiltà dell'onore, del mantener fede alle promesse, prime fra tutte quelle matrimoniali, ricevette un colpo letale da Enrico VIII: "La civiltà dei voti fu distrutta quando Enrico VIII ruppe la promessa matrimoniale…I monasteri, costruiti per voto, furono distrutti. Le corporazioni (da ricordare, per inciso, il grido alto e sofferto in difesa delle corporazioni di arti e mestieri contenuto nella Rerum novarum di Leone XIII), reggimenti di volontari, furono disperse. La natura sacramentale del matrimonio fu negata)…Tutto è cominciato con il divorzio di un re e sta ora finendo in divorzi per un intero regno". Chesterton si chiedeva, ed è imbarazzante riconoscere che a distanza di quasi cento anni avesse colto nel segno (a maggior ragione per quanto sarebbe stato e sarebbe ancora opportuno leggerlo), "a chi poteva giovare tutto questo"? Chi, dall'infrangersi dei voti e dei vincoli determinati dalle promesse che impegnavano le persone, poteva trarne dei benefici? Chi era, in definitiva, il nemico smascherato della famiglia e del matrimonio e quali erano i suoi veri fini? Chesterton non aveva dubbi, dopo che aveva assistito all'esito della prima guerra mondiale ed all'instaurarsi del comunismo in Russia: "Il capitalismo è in guerra con la famiglia, senza dubbio….il capitalismo desidera che le sue vittime siano individui o, in altre parole, atomi…I maestri della plutocrazia moderna sanno il fatto loro. Un istinto radicato e ben preciso li ha spinti a individuare nella famiglia l'ostacolo principale al loro progresso disumano. Senza la famiglia siamo indifesi di fronte allo Stato". Ora che sono crollati altrettanti disumani ed efferati sistemi ideologici (comunismo, nazismo), il solo che conserva il vero volto brutale è esattamente quello additato da Chesterton, quel capitalismo che s'avvantaggia sempre dell'atomizzazione individualistica e spinge nella specializzazione e nella competitività, nel perseguire divorzi a catena, cuori infranti, divisioni e contraddizioni.
Cosa fare dinanzi ad una battaglia feroce che ci vede coinvolti tutti nella sopravvivenza fisica e spirituale? Chesterton invitava a considerare il ruolo determinante della famiglia, visto come un piccolo stato da difendere ad oltranza contro i distruttori dell'ordine, contro i superstiziosi fautori del divorzio: "Il piccolo stato fondato sui due sessi è allo stesso tempo il più volontario e il più naturale degli stati autonomi…il ponte antico lanciato tra le torri dei due sessi sia la più degna delle grandi opere della terra…altrimenti lungo il freddo e triste corridoio del progresso (con il suo bel pavimento smaltato), le porte della morte e del divorzio saranno le sole a rimanere aperte, anzi a spalancarsi sempre di più". In un'epoca come la nostra, dove si sono inanellate sconfitte storiche sulle battaglie perdute del divorzio e dell'aborto e che dinanzi alle sfide odierne di altri corto circuiti del pensiero che producono aberrazioni umane sconvolgenti, basti pensare alla sola ideologia del gender, questo testo rimane sconvolgente nei principi di fondo e nelle conseguenze etiche. Alto e vibrante rimanga il monito conclusivo di Chesterton, a rafforzare innanzitutto la nostra mente, a riscaldare il nostro cuore nella difesa della famiglia, del voto e della vita: "Le leggi fondamentali degli uomini si trovano nei valori assoluti della vita, quei valori comuni a tutti i tempi e a tutti i luoghi…è forse in questo senso che dobbiamo riflettere, con timore e gravità, sul futuro del nostro paese".
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