Lunedì mattina, di nuovo in coda in auto: pioggia battente sul parabrezza e alla radio qualcuno canta ‘we fade to grey’. Ci dissolviamo nel grigio. Infatti questo epilogo d’estate sembra proprio ricalcare il più classico degli stereotipi, quello registrato dai telegiornali che hanno mandato i loro inviati negli autogrill della mia zona (quella fetta di terra tra Faenza e Imola dove “misteriosamente” si formano le chilometriche code autostradali estive) per chiedere ai vacanzieri di ritorno dal mare se è dura tornare al lavoro e se, almeno, tornasene a casa col brutto tempo lascia meno amaro in bocca.
La normalità della vita non ha i colori sgargianti delle affocate giornate da spiaggia. A mio figlio è servito l’intero set di pennarelli del suo astuccio per raccontare attraverso i disegni le sue vacanze. E, poi, dopo una parentesi di vivace spensieratezza e riposo si ricomincia il solito tran-tran, e ci dissolviamo nel grigio. A questo colore è stato da sempre attribuito lo spiacevole compito di ritrarre la monotonia abitudinaria, il nulla-di-esaltante, l’uniformità di ciò che non si nota.
Ne consegue un vago retrogusto di tristezza; motivo per cui anche il tocco magico dell’arte, proprio in questi giorni, ha voluto dare una strepitosa chance a quel volatile che è sempre vestito di grigio: il piccione. A Venezia, i turisti si sono messi a dare la (fotografica) caccia ai pochi eletti esemplari di piccioni colorati, divenuti ignari protagonisti della Biennale, grazie all’estro artistico di Julian Charriere e Julius Von Bismarck.
Non è dato sapere il pensiero del piccione, ma poiché gli animalisti sono certi di essere gli unici in possesso della chiave d’accesso all’anima delle care bestiole, la versione diffusa a mezzo stampa proclama che è stato fatto un torto ai piccioni. Ma – chiedo scusa agli animalisti e a quei piccioni che si sentono lesi da questa storia – l’effetto artistico ha un suo senso: un piccione rosso in mezzo a cento piccioni grigi non solo si nota (sarebbe così anche se ci fosse un piccione blu in mezzo a cento gialli), ma rende più evidente lo splendore intrinseco dei colori. Il grigio con la sua tiepidezza di tono è un naturale risaltatore dei colori: è grazie alla sua presenza sullo sfondo che il clamore di una novità – come uno scarlatto pennuto che vola attorno a San Marco – ci lascia stupefatti. Il grigio è il trampolino di lancio della sorpresa e della meraviglia.
Il signor Chesterton era un favoloso disegnatore e oso dire che dovrebbe essere seriamente presa in considerazione l’ipotesi di rendere obbligatoria nella scuola primaria la gioia di leggere agli scolari le descrizioni dei colori che lui fece e le storie che costruì su ciascuno di essi. Una delle prime cose che mi è capitata da quando traduco le sue opere è stata quella di imparare a memoria tutti i nomi ufficialmente catalogati di ogni sfumatura precisa di colore: il “terra d’ombra naturale”, la “lacca di garanza”, il “sangue di drago”. A lui bastava leggere nomi come questi per inventare storie fantastiche.
E da bravo artista, Chesterton riservò un’attenzione cortese anche al grigio e si accorse che quando parliamo del grigiore della vita, forse, stiamo parlando di un tempo di attesa e non semplicemente di un frustrante tempo insipido. Se ne rese conto alzando gli occhi e osservando che il grigio del cielo al mattino si protende via via, col sorgere del sole, verso sfumature infinite e insolite, dal rosa al celeste, al verde, all’arancio.
«I nemici del grigio (uomini astuti, spericolati e malvagi) hanno la mania di sostenere che col tempo grigio i colori soffrono e che per dar rilievo a tutte le sfumature del cielo e della terra è indispensabile una forte luce solare. […]. Un cielo azzurro e lucente è necessariamente il fuoco principale di un quadro, e con la sua luminosità spegne la luce di ogni fiore azzurro. Ma in una giornata grigia uno stelo blu di ranuncolo-fanfara sembra caduto dal cielo.
E, per finire, il colore che gli uomini chiamano incolore ha in sé un dono particolare: quello di farci in qualche modo riflettere sulla nostra esistenza media, incerta e ansiosa, e precisamente sulle sue qualità di lotta e di speranza e di promessa. Il grigio è un colore che sembra sempre lì lì per intensificarsi nell’azzurro, o scolorire nel bianco, o prorompere nel verde e nell’oro. Così esso ci ricorda eternamente quella indefinita speranza di cui è fatto il dubbio stesso; e dunque quando un cielo grigio ricopre le colline o quando i capelli grigi ricoprono le nostre teste, magari prendiamoli come segni che ci ricordano l’alba». (Da Lo splendore del grigio, in La nonna del drago).
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