di Gianfranco Amato - Il Sussidiario - lunedì 3 maggio 2010
La diplomazia britannica ha sempre preteso di insegnare al mondo le virtù della prudenza, del rispetto e della mediazione. La rigida etichetta, gli accurati cerimoniali, i ferrei protocolli dell’ars diplomatica d’oltremanica hanno sempre rappresentato un faro per l’umanità civilizzata.
Non è un caso che proprio nel Regno Unito, infatti, sia stata scritta la Satow’s Diplomatic Practice, la bibbia della diplomazia, un testo che continua a guidare, dopo quasi cento anni, le feluche internazionali. La British diplomacy era una di quelle cose per cui i sudditi di Sua Maestà andavano fieri. Come l’invenzione del parlamento, la Magna Carta o l’arte di servire il tè.
È per questa ragione che appare ancora più triste l’inaudita gaffe in cui è inciampato il Foreign Office rispetto alla prossima visita papale nel Regno Unito. Quattro giovani funzionari di quella che un tempo era un’istituzione seria - il ministero degli Esteri britannico - hanno redatto una nota dal titolo The ideal visit would see, in cui sono state indicate le attività che il Sommo Pontefice avrebbe dovuto svolgere durante la visita.
Tra queste veniva espressamente suggerita la proposta che Benedetto XVI «benedicesse una coppia omosessuale legata da una civil partnership (unione registrata molto simile al matrimonio)», «inaugurasse una clinica abortiva», «lanciasse una nuova marca di preservativi dal nome “Benedict”», «facesse capriole con bambini per promuovere una vita sana», «soggiornasse una notte in una casa popolare a Bradford», e altre insolenze del genere. Non ultimo, che chiedesse pure «scusa per la tentata invasione della Invincibile Armata» e che «si esibisse in un duetto con la Regina per beneficenza».
Queste idee sono emerse a seguito di un brainstorming tra i quattro funzionari ministeriali durato ore, anche se la spremuta dei cervelli non ha proprio dimostrato un’abbondanza di materia grigia, visto che l’imbarazzatissimo Foreign Office è stato costretto a definire la nota un «foolish document», un documento idiota.
Il fatto grave è che, nonostante le vive proteste della Santa Sede (arrivate al punto di minacciare l’annullamento della visita papale), nei confronti di quei quattro funzionari non è stato emesso nessun provvedimento disciplinare, mentre il dirigente responsabile, che ha autorizzato la diffusione della nota, è stato semplicemente destinato ad altro incarico, avendo evidentemente dimostrato poca attitudine e idoneità nel delicato compito di accudire gli imbecilli.
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La blanda reazione del Foreign Office nei confronti di quegli improvvidi dipendenti rende evidente quanto siano tenuti in considerazione nelle sfere della haute bureaucratie britannica gli insegnamenti della Chiesa cattolica, e dimostra, anzi, la presenza di un vero e proprio preconcetto contro ogni forma di fede religiosa.
Il danno peggiore in termini di immagine, però, è di aver trasmesso l’idea che il Papa, a cinque mesi dalla visita ufficiale, possa essere considerato come un “buffo signore”, che chiunque è legittimato a prendere tranquillamente in giro.
La vicenda della nota demenziale, lungi dal poter essere archiviata come una goliardata finita male, induce a qualche riflessione. È chiaro, innanzitutto, come l’orgia del politically correct, che raggiunge il suo apice nel feroce pregiudizio anticristiano, abbia ormai pervaso anche la nuova generazione dell’élite e della classe dirigente britannica.
Melanie Phillips, intelligente giornalista vincitrice del premio Orwell, a proposito della nota del Foreign Office ha parlato di un vero e proprio «collasso culturale, educativo, morale che caratterizza la pubblica amministrazione sempre più popolata da giovani funzionari “callow, shallow and politically correct to a fault”», incredibilmente immaturi, superficiali e politicamente correttissimi. «Tali individui - secondo la Phillips - hanno una visione del mondo per cui le minoranze devono essere sempre assiomaticamente rispettate, mentre i cristiani si possono tranquillamente trattare con sprezzante sufficienza».
È facile, del resto, avere la controprova. Qualcuno riesce a immaginare che cosa sarebbe successo se il contenuto offensivo della nota del Foreign Office avesse riguardato credenti musulmani, indù, ebrei o di altre minoranze del Terzo Mondo? Non ci vuole molta immaginazione.
Sempre Melanie Phillips ha evidenziato quanto appaia «impressionante vedere come coloro che si vantano di essere le menti più liberali, colte e illuminate del Paese, siano in realtà del tutto gretti e affetti da una forma perniciosa di illiberalità, oltre che da una totale assenza di rispetto per le opinioni altrui, soprattutto per quelle che fanno riferimento alle principali fedi religiose della tradizione europea».
Lo scivolone della nota del Foreign Office ha fatto pure crollare un altro mito britannico, quello delle “good manners”, della buona creanza e delle regole di una perfetta educazione, che dai tempi della regina Vittoria gli inglesi hanno preteso di insegnare al mondo.
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Da Roma hanno fatto giustamente notare che non è stata Sua Santità a voler visitare il Regno Unito ma il contrario: Benedetto XVI è stato, infatti, caldamente invitato dal governo britannico a mettere piede in quel Paese. E normalmente la buona educazione impone un certo riguardo per gli ospiti che si invitano.
Voglio concludere citando le parole che Sir Ivor Roberts, ex ambasciatore britannico in Italia e curatore dell’ultima edizione del Satow’s Diplomatic Practice, ha pronunciato a proposito di questa squallida vicenda: «Buon Dio, quello che è accaduto è molto triste e frutto di un inconcepibile comportamento puerile. È davvero deprimente e imbarazzante pensare che la diplomazia sia scesa a livelli così infimi. Spero almeno che i responsabili riescano ancora a percepire il senso di profonda vergogna per quello che hanno combinato».
Purtroppo Sir Ivor appartiene a una generazione che si sta estinguendo e che è destinata a lasciare il passo ai rampanti giovani liberal del terzo millennio. Per essi la vergogna è un sentimento sconosciuto. Appartiene al secolo scorso e, soprattutto, non è politically correct.
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