Piccole vite sospese, la scelta più difficileNovember 12th, 2009
C’è un criterio per decidere se sospendere le cure: se il paziente trova insopportabile il trattamento. Ma come si fa a capirlo se oggetto di cure è un bambino che non si esprime? Ecco come la pediatria può dare “voce” a chi non ne ha. Il caso drammatico di Baby Rb che ha diviso l’Inghilterra.
Di Carlo Bellieni http://carlobellieni.com
Miastenia Congenita: una terribile malattia che progressivamente inchioda i muscoli volontari e lascia intatte le facoltà cognitive. E il piccolo RB, bambino inglese di un anno, ha proprio questa terribile condanna. I genitori inizialmente in disaccordo sulla possibilità di lasciar staccare il bambino dal respiratore, ora sembrano invece concordi nel non procedere in una tracheotomia per portare il bambino a casa, come voleva il padre. Le cure che lo tengono in vita saranno sospese. Il quotidiano Telegraph riporta che uno dei dottori che lo hanno in cura crede che anche con supporti medici difficilmente sarebbe arrivato “a compiere 5 anni”. Insomma, il caso è gravissimo: il bimbo si muove già poco ed è molto più grave di altri con la stessa malattia. La decisione potrebbe essere compresa se la ventilazione artificiale e le manovre connesse non prolungassero la vita in modo significativo. Ma il fatto che, come riportavamo, si parli di 5 anni di vita, lo esclude. C’è poi un altro criterio per decidere se sospendere le cure: se il paziente trova intensamente – e non come paura preventiva- insopportabile il trattamento. Ed è un criterio basilare; ma come si fa a capirlo, se il paziente è un bambino che non si esprime? Ci sono due strade: o far decidere ai genitori al posto suo o trovare un modo per capire cosa davvero prova. La prima strada è la più semplice e anche quella che sentimentalmente tutti ad un primo esame approvano: chi meglio della mamma capisce cosa prova un figlio? In realtà qui l’intoppo è evidente: la mamma e il babbo sono spesso sotto stress, coinvolti emotivamente così tanto da non essere a volte sereni per una decisione davvero oggettiva. Vedere il proprio figlio peggiorare in modo costante può portare a pensare che soffra quando non soffre o, al contrario, a vedere in alcuni tratti di attività bel bimbo dei segni di miglioramento che sono invece pura illusione. Non dimentichiamo poi che ci sono dei casi limite in cui i genitori, in modo intuibile, hanno una sorta di conflitto di interesse col bimbo malato, arrivando a vedere la scomparsa del bambino come un peso che, pur dolorosamente, si toglie loro; è un conflitto anche comprensibile, ma mai si deve pensare che la vita di una persona debba essere interrotta nell’interesse di un’altra, sia pure quest’ultima un suo genitore, anche se esistono purtroppo dei protocolli per la sospensione delle cure, che propongono tra l’altro di sospenderle quando il genitore sente come non sopportabile per sé (“unbearable”) il proseguo delle cure al figlio.
C’è poi un altro criterio, dicevamo: quello oggettivo. Oggi abbiamo strumenti per valutare dolore e stress nel bambino che non sa esprimersi o ha problemi di motilità: si fa attraverso la valutazione di ormoni dello stress (si può dosare il cortisolo nella saliva con un procedimento piuttosto semplice), o si può fare attraverso la valutazione di altri indicatori quali la misurazione della sudorazione del palmo delle mani –segno di attività del sistema nervoso autonomo e dunque segno di stress- , per la qual cosa esiste un apparecchio apposito. Se il bambino poi non ha impedimenti a muoversi, questa valutazione si fa attraverso l’analisi del comportamento o tramite scale di valutazione del dolore e dello stress. Insomma, anche chi non parla può esprimere l’insopportabilità di un trattamento, e questo deve essere considerato per valutare se andare avanti.
Non sappiamo quale strada sia stata presa in Inghilterra; ma se il rifiuto da parte del paziente è solo ipotizzato, o se – e non osiamo pensarlo – è presunto sulla base del fatto che la vita con estremo handicap non merita di essere vissuta, questo non lo accettiamo. Soprattutto perché non lo accettano tanti disabili che vivono in condizioni gravissime di immobilità e ci dicono che la loro vita non per questo vale meno di quella altrui.
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