martedì 9 gennaio 2007

Apocalypto, The Road e altro


Un bell'articolo del più chestertoniano dei prelati cattolici oggi in circolazione (Papa a parte...), mons. Lorenzo Albacete, portoricano a New York, collaboratore di grandi testate americane e anche del settimanale Tempi (www.tempi.it) e autore di best sellers come God at the Ritz...
Giudizio molto interessante su Apocalypto, la cultura dominante e tanto altro...
Molto chestertoniano, l'autore. Anche nella straordinaria mole e nell'umorismo.

La passione di noi moderni

Dopo la morte di Gesù, Gibson racconta quella dei Maya (e la nostra). Due film che secondo Albacete andrebbero visti in ordine inverso
di Lorenzo Albacete

New York
Per due settimane, sopravvivendo a una dura competizione con pellicole dal contenuto più natalizio e con cast famosi, Apocalypto di Mel Gibson è stato campione d'incassi negli Stati Uniti. Nonostante le controversie suscitate da La passione di Cristo, la gente sembra non aver perso interesse per i film di Gibson. Dopo gli insulti antisemiti rivolti ai poliziotti che lo avevano arrestato perché guidava ubriaco, ci si sarebbe aspettati che molti critici cinematografici perdessero entusiasmo nei confronti del lavoro di Gibson, ma sorprendentemente Apocalypto è stato recensito positivamente dalla maggior parte delle pubblicazioni più prestigiose d'America. Un consenso che pare ancor più sorprendente se si considera con quale intento il regista ha detto di aver girato questo film: metterci in guardia sul collasso della nostra civiltà dovuto alla continua erosione della sua fibra morale. Intervista dopo intervista, Gibson ha ammesso di volere che il pubblico guardi al crollo della civiltà Maya come un avvertimento riguardo ai pericoli che noi stessi stiamo affrontando. E l'accettazione di questo allarme da parte dei principali critici cinematografici della cultura dominante dimostra come esso non sia affatto considerato "politicamente scorretto" nell'America di oggi.

Lo stesso messaggio di The Road
Storie sulla distruzione della nostra civiltà sono sempre state popolari. Durante la Guerra fredda molti film hanno puntato sulla paura diffusa di un olocausto nucleare (giusto l'altra sera hanno trasmesso On the Beach alla tv), ma quella era una minaccia che veniva dall'esterno, mentre ora la paura è di qualcosa che viene "dall'interno", dall'interno dei nostri stessi cuori. E questo è il messaggio di Gibson. Noi non ci troviamo ad affrontare una debolezza identica a quella della civiltà Maya, ma anche noi siano feriti dall'interno. Noi non abbiamo schiavi legali e non uccidiamo per motivi religiosi, ma allo stesso modo la gente è spinta dal film a riconoscere che l'impianto della nostra civiltà sta crollando.
Mi ricorda il messaggio di The Road, il nuovo romanzo di Cormac McCarthy. Anche The Road fu accolto entusiasticamente dai critici della cultura dominante. Apparentemente, nonostante molti vedano nella cultura dominante le cause del nostro declino, coloro che ne fanno parte sono in grado di vedere tale processo, solo che non ne individuano la causa nel loro stesso modo di pensare. Cosa vedono, invece? Ho posto questa domanda a uomini dei media, i quali però rispondono scomodando problemi come la famiglia, l'educazione, la giustizia sociale eccetera, ma non sanno come andare oltre con il loro giudizio. Alla fine di Apocalypto l'avvento del cristianesimo è anticipato dall'arrivo delle navi spagnole. In verità esso si preparava a costruire una nuova civiltà sulle rovine di quella Maya, ma nella cultura dominante questo non è considerato un miglioramento poiché in molti casi la tragica conseguenza del declino dei Maya emergeva proprio nella loro incapacità di resistere alla cultura cristiana e aliena della Spagna coloniale.
Non penso che questa sia anche la sua idea, ma vorrei che Gibson avesse invertito l'ordine dei suoi ultimi due film: prima Apocalypto, poi La passione. Questo avrebbe chiarito come la violenza inflitta su Cristo fosse la redenzione della violenza che ha distrutto una civiltà che non lo conosceva. E spiegherebbe come vedere meglio la natura della nostra debolezza e il modo per superarla.

Da Tempi n.49 del 21/12/2006

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