martedì 11 aprile 2023

Un aforisma al giorno.

Mio fratello, Cecil Edward Chesterton, nacque quando avevo circa cinque anni, e, dopo un periodo brevissimo, cominciò subito a discutere e continuò sino alla fine. Sono sicuro che discuteva con veemenza anche con i soldati con cui morì, nell’ultimo fuoco di gloria della Grande Guerra. Mi hanno raccontato che, quando mi annunciarono che avevo un fratellino, il mio primo pensiero andò al piacere che provavo nel recitare versi e dissi: «Benissimo, d’ora in poi avrò sempre un pubblico». Se l’ho detto davvero, mi sono sbagliato. Mio fratello non aveva alcuna intenzione di essere un semplice ascoltatore e molto spesso obbligò me a essere il suo pubblico. Spesso tuttavia eravamo tutt’e due oratori senza pubblico. Discutemmo per tutta l’adolescenza e la giovinezza, finché diventammo la bestia nera di chi ci stava intorno. Gridavamo concitati l’uno contro l’altro, dai due lati del tavolo, discutendo di Parnell o del puritanesimo, o della testa di Carlo I, finché coloro che ci erano più vicini e più cari, scappavano via e intorno a noi si faceva il deserto. Anche se non c’è ragione di rallegrarsi tanto per aver costituito un supplizio per gli altri, sono felice di aver potuto esprimere sempre un’opinione su tutti i soggetti del mondo. Sono felice al pensiero che non cessammo mai di discutere e che non litigammo mai. Forse non ci azzuffavamo solo perché così avremmo troncato la discussione. A ogni modo, il dibattito tra noi non si interruppe mai, se non quando si avviava alla conclusione naturale, cioè la persuasione. Non era tanto che l’uno o l’altro finisse per ammettere di essere in errore, piuttosto, attraverso un processo di dissenso incessante, trovavamo infine un accordo.

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia.

G. K. Chesterton - Il blog dell'Uomo Vivo: Il mio nome è Chesterton, Cecil  Chesterton - di Luca Fumagalli
Cecil Chesterton (a sinistra) durante il processo per lo Scandalo Marconi

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