"Non avevo idea che la ricostruzione della civiltà dopo le guerre barbariche e il Medio Evo potesse essere così affascinante e complessa"
In questo romanzo,"Il ritorno di Don Chisciotte", del 1927, Gilbert Keith Chesterton omaggia sin dal titolo Miguel de Cervantes, come aveva fatto nel precedente poemetto Lepanto del 1911, a ricordo di chi allora aveva combattuto per la civiltà cristiana. Questa corposa opera letteraria del grande scrittore inglese è ancora una volta un rimando affascinante a quel nobile Medioevo a cui il novello Don Chisciotte, Michael Herne, di professione bibliotecario, rimarrà letteralmente abbagliato e desideroso di restaurarlo nella società moderna.
Come spesso accade nei romanzi chestertoniani, la trama è complessa e si dipana apparentemente in modo accidentale, anche se in verità dovremmo dire provvidenzialmente. Il luogo dove si svolgono i fatti è un'antica abbazia modernamente trasformata in una villa da Lord Seawood. In quel luogo di ancestrale memoria un'amica della figlia (Rosamund) di Lord Seawood, Olive Ashley, commediografa ed appassionata di arte, dipinge cercando i colori di un tempo passato: "La ragazza stava stendendo i suoi colori particolari con estrema attenzione, cercando di imitare dei gioielli sul fondale come se stesse riproducendo una miniatura medievale…perché riteneva facesse parte di un concetto molto più ampio legato a un passato ricco di tradizioni". Non dobbiamo dimenticare che Chesterton stesso si era diplomato alla Slade School of Art ed era un grande appassionato di arte. Sarà infatti Olive l'anima della ricerca e del ripristino degli antichi e fieri colori appartenuti a quell'epoca medievale passata: "L'oro antico che usavano un tempo è andato perduto. Ieri stavo guardando un vecchio messale che ho trovato in biblioteca. Sai che il nome di Dio era sempre scritto in caratteri dorati?". Ed ancora: "In un angolo della pagina c'era l'immagine del mostro dalle molte teste dell'Apocalisse…i suoi colori vivaci brillavano ancora attraverso i secoli con un rosso che pareva avere la purezza della fiamma".
Manderà lei infatti il fido Douglas Murrel, che diventerà lo scudiero Sancho Panza, a recuperare quel colore rosso antico dal vecchio artigiano Hendry, drammaticamente isolato e ignorato da tutti. Murrel lo farà scarrozzando su un hansom cab (calesse a due ruote con cabina) piuttosto che su un ronzino come nell'epopea cavalleresca del Cervantes. Come ha giustamente notato Paolo Morganti nella premessa al libro che ha lui stesso tradotto: "E' il colore, depositario di antiche e romantiche immagini di cavalieri armati, di dame leggiadre, di fantastici animali e di vegetali usciti da un libro medievale, la chiave di volta su cui regge l'intera storia". La ricerca appassionata del colore antico andato quasi irrimediabilmente perduto sarà così la "giusta vernice" alla fantastica commedia: "Blondel il trovatore", nella quale spiccherà il nuovo Don Chisciotte, che vestirà i panni del re Riccardo Cuor di Leone (Riccardo I d'Inghilterra).
La questione del "colore" era per Chesterton essenziale; si potrebbe dire, nel linguaggio tomistico prediletto dal romanziere di Beaconsfield, che si trattava di un problema di sostanza e di forma. Infatti farà dire a Murrel, l'intrepido scudiero di Don Chisciotte: "Quando parlo a Olive so che il colore giusto e il colore sbagliato sono in lei altrettanto reali del Bene e del Male e di qualsiasi altra cosa". Questo amore per le cose belle e preziose produrrà parecchie conversioni, documentate nel romanzo: la prima, quella del bibliotecario (nuovo Don Chisciotte), a tal punto rapito dalle suggestioni e ragioni antiche da non voler lasciare più la forte identità ravvisata nella cultura medievale: "Voi tutti amate cambiare e vivere per cambiare, ma io non potrò mai cambiare. Chi ha cambiato è caduto, ed è per questa follia del cambiamento che in genere si precipita". La seconda, quella di Rosamund Seawood, che dopo essersi convertita al cattolicesimo farà restaurare l'abbazia paterna e richiamerà i monaci che l'avevano abitata in precedenza.
Il ritorno di Don Chisciotte, scritto quasi un secolo fa, è ancora meravigliosamente attuale e sprona, come tutti gli scritti di Chesterton, a riflettere seriamente, come espresso nel finale da Olive: "Se noi vogliamo il fiore della cavalleria, dobbiamo andare indietro fino alle radici della cavalleria. Dobbiamo tornare indietro fino a un luogo spinoso che la gente chiama teologia. Dobbiamo pensare in un modo differente alla morte, all'essere liberi, alla solitudine e all'ultimo appello…I nostri padri hanno fatto queste cose a migliaia ed erano persone abbastanza comuni. Noi non siamo sempre a domandarci come hanno fatto. Quello che dobbiamo domandarci è perché l'hanno fatto".
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