mercoledì 6 gennaio 2016

Dalla nostra Umberta Mesina, una bella riflessione su Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Buongiorno! Vi capita mai di rivivere nella vostra vita quotidiana qualcosa che avete letto nei libri di GKC? 
Non mi riferisco alla constatazione che ormai bisogna combattere per dimostrare che le foglie sono verdi e simili citazioni. Dato il mondo intellettuale in cui siamo costretti a vivere, tutti siamo capaci di adattare _a posteriori_ qualcosa che abbiamo letto a qualcosa che succede. Questa però spesso non è esperienza, resta superficiale. 
Mi riferisco proprio a cose che vi capitano durante la giornata e all'improvviso vi viene in mente un pezzo di un qualche libro di Gilbert; e allora capite meglio o la cosa o il libro e anche i nessi di quella frase o di quella cosa con il resto della realtà. 
A me ogni tanto succede. Mi è successo anche ieri mentre guardavo mio padre che riparava un paio di guasti a casa. 
Io abito con la mia famiglia in campagna, siamo una famiglia di agricoltori, e mio padre sa fare un sacco di cose: gli ho visto costruire muretti, fare il fabbro, il meccanico, sistemare interruttori e prese... Non può fare tutto, però può fare molte cose che ormai siamo abituati a delegare a qualcun altro, specializzato nella sua attività particolare e pagato per svolgerla. Ieri l'ho osservato mentre faceva due di queste cose e mi veniva in mente il capitolo II della terza parte di "Cosa c'è di sbagliato nel mondo", dove Gilbert parla proprio dello spezzettamento delle funzioni, prima per gli oggetti e poi per gli uomini:
«Confrontiamo insieme questi ritrovati, nuovi e antichi, e constateremo l'attuarsi di una tendenza generale. Un tempo si trovava ovunque un grande oggetto che aveva sei finalità, oggi ci sono dappertutto sei piccoli oggetti; oppure, è più facile trovare (e questo è il problema) cinque oggetti e mezzo». 
Questo non è negativo in sé; ma la tendenza diventa negativa quando comincia ad applicarsi a tutto, il che ci paralizza: «Qualsiasi cosa è stata separata da qualcos'altro e tutto si è congelato». 
Solo che «questa capacità di adattarsi a molte finalità era una specie di forza che non dovrebbe sparire completamente dalle nostre vite. .... anche gli uomini moderni saranno d'accordo con me nel vedere un merito nella capacità di adattarsi a più funzioni, un merito che può facilmente non essere riconosciuto. Questo equilibrio e questa universalità sono stati i capisaldi della visione di molti uomini in diverse epoche. .... ma la grande massa degli uomini è sempre stata incapace di raggiungere questa universalità, a causa del tipo di lavoro che svolge. E sottolineo: non perché gli uomini hanno un lavoro. .... Ciò che rende difficile all'uomo comune di essere universale è che l'uomo comune deve essere uno specializzato: non solo deve imparare un mestiere ben preciso, ma deve impararlo così bene da tenerselo stretto in una società parecchio spietata». 
Questo succedeva anche in passato, ma forse adesso succede di più. 
Gli agricoltori però sono più universali di altri uomini – e questo forse rende ragione del fatto che molti cercano, o almeno sognano, di tornare all'agricoltura. È vero che tanti di loro sono quel che mia sorella definisce "neobucolici" ma credo che, sotto sotto, anche i NB si muovano per questa esigenza di universalità. 
A parte questo, se mio padre non sapesse fare piccole riparazioni elettriche e meccaniche, se avessimo dovuto attendere gli specialisti del caso, adesso saremmo senza automobile e senza riscaldamento. Così, mentre lo guardavo, mi veniva in mente che davvero noi ci stiamo perdendo una bella fetta di vita e una grande forza. Una forza che invece hanno (ancora) quelli che provengono da Paesi più poveri del nostro. 
Una volta accortami di questo, la sola cosa che ragionevole da fare è cercare di diventare più universale che posso. 
Altrimenti leggere Chesterton non mi servirebbe a niente.

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