mercoledì 20 ottobre 2010

La recensione de La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento uscita su Cultura & Identità qualche tempo fa

Gilbert Keith chesterton, La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento, Lindau, To- rino 2010, pp. 116, € 13,00.

La società occidentale postmoderna viene solitamente descritta come una società libera, orgogliosamente fondata sul primato dei diritti e soprattutto della tolleranza. Sembrerebbe una società ideale, in cui tutto si può dire, eppure restano, inaspettate, delle parole tabù. ‘Conversione’ è una delle parole tabù dei giorni nostri. Sui mezzi di comunicazione e nei salotti pubblici ben poche perso- ne osano pronunciarla e ancora meno la tollerano. Probabilmente perché si tratta di una parola di per sé impegnativa, che presuppone peraltro l’esistenza di una Verità oggettiva da riconoscere, superiore al singolo individuo — cose veramente intollerabili per la diffusa cultura del disim- pegno e del relativismo morale. Il saggio del “convertito eccellente” Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) pubblicato per la prima volta in Italia da Lindau offre a tal proposito, sul tema della conversione (e dei convertiti), delle riflessioni straordina- riamente puntuali. Nella Prefazione (pp. 5-10), Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, tratteggia brevemente il profilo del grande scrittore inglese mettendone in luce l’eccezionale ars retorica, propria dei grandi apologeti di Cristo: «quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un “discorso ecclesia- stico” o clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dell’allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorni... Tutto era la conferma che la vita era degna di essere vissuta, che il mondo era magico e che, se ne aveva scoperto la magia, voleva dire che c’era un Mago» (p. 9).

Seguono sei capitoli nel consueto stile chestertoniano brillante e paradossale su quelle che il futuro inventore dell’indi- menticabile “Padre Brown” definisce le fasi-tipiche della conversione: anzitutto la caduta dei pregiudizi e delle proiezioni mentali su quello che l’outsider “crede” sia la religione, quindi la scoperta della bel- lezza e della grandezza della fede, infine la consapevolezza del dono ricevuto, da conservare, difendere e comunicare. La conversione autentica infatti — come in- segna Papa Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazaret — non scaturisce mai da un’astratta decisione intellettuale ma da un incontro: la scoperta del volto amo- revole di Cristo che chiama l’umanità di ogni tempo alla sua sequela. Una scoperta che vince ogni resistenza e persuade tutti gli scetticismi covati fino a quel momento nell’anima: «avevo intenzione di farmi cattolico tanto quanto di diventare cannibale»(p. 55), confida con ironia il grande scrittore per testimoniare la potenza imprevedi- bile della grazia davanti alla sua orgogliosa testardaggine. Parlando a un pubblico ieri come oggi per lo più critico verso la maturità dei convertiti, da alcuni guardati alla stregua di fuggiaschi del mondo che coltivano illusioni, il futuro apologeta sot- tolinea poi come una delle chiavi di lettura delle vere conversioni sia invece proprio l’adesione alla realtà: «il convertito non abbandona affatto la ricerca e nemmeno l’avventura. Non pensa di sapere tutto, né ha perso interesse per ciò che non conosce. Ma l’esperienza gli ha insegnato che quasi tutto si trova da qualche parte all’interno di quel maniero, e che al di fuori molti non trovano quasi nulla» (p. 79). Quel maniero che resiste alle crepe e alle sofferenze dei tempi è la Chiesa, che Che-

sterton — ancora, come tutti i veri convertiti — ama con tutto il cuore in quanto luo- go di grazia, prescelto dal Si- gnore per comunicarsi ai suoi figli. Insomma, «diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a far- lo. È questo il suo significato, proprio come guarire da una paralisi non significa rinuncia- re a muoversi, ma imparare a farlo» (p. 79).

Il passo successivo è la rilet- tura di quella storia e di quella civiltà cri- stiana che il pensiero moderno ha in gran parte rifiutato, pur continuando a goder- ne i numerosi frutti morali e sociali. Così, Chesterton si definisce un «medievalista, nel senso che a mio avviso la vita moderna ha molto da imparare da quella medievale». E a chi parla di Medioevo riferendosi ai “secoli bui”, non esita a rispondere che «i secoli bui hanno migliorato la [...] vita squallida e volgare» (p. 73) che l’umanità aveva condotto fino ad allora. D’altron- de, il Medioevo fu l’età di Dante Alighieri (1265-1321), di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e di Giotto (1267-1337), solo per citare tre geni assoluti che hanno illu- minato — come ben pochi dopo di loro

— tre differenti campi di studio. Queste figure — ma se ne potrebbero citare tante altre — esemplificano in modo eloquente il binomio caratteristico da sempre della fede cristiana, ultimamente richiamato in funzione pedagogica anche dal magiste- ro pontificio: ragione e libertà. Di conse- guenza, «il fatto che la maggioranza delle persone ritenga siano queste le due cose proibite ai cattolici, è un’osservazione il- luminante sull’attuale propaganda anticat- tolica» (p. 99). Il più grande debito verso la fede però riguarda la difesa cristallina di quel che chiamiamo ordinariamente buon senso e garantisce la stabilità delle fondamenta della civiltà contro le passio- ni ebbre delle ideologie alla moda: infatti, «ogni passo indietro verso il buon senso è un passo indietro verso il cattolicesimo» (p.

75). La Chiesa muove i suoi passi — ieri come oggi — tra mille insidie, tuttavia «fintanto che rimarrà un barlume di buon senso, nonostante il giornali- smo e l’istruzione di stato, sarà possibile riconoscere ciò che de- finiamo una realtà» (p. 101).

Da ultimo Chesterton ricorre alla testimonianza e all’azione trascinante dei grandi conver- titi del suo tempo, compagni di strada nell’affascinante cam- mino alla ricerca della verità. Fra di essi soprattutto il cardinale — presto beato — John Henry Newman (1801-1890), che aveva smascherato i diffusi pregiudizi e gli stereotipi anticat- tolici della società del tempo nelle pagine formidabili dei Discorsi sul pregiudizio: la condizione dei cattolici in Inghilterra nel 1851. Così, la Chiesa si rivela veramente come il luogo in cui tutte le verità si danno appuntamento: essa, infatti, è «l’unica cosa in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo» (p. 85).

Omar Ebrahime

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