Dal sito del quotidiano cattolico Avvenire vi proponiamo l'editoriale di oggi a firma del prof. Francesco D'Agostino, filosofo cattolico per anni membro del Comitato Nazionale di Bioetica, sulla questione della obiezione di coscienza dei farmacisti sollevata da Papa Benedetto XVI e da noi segnalata.
Il discorso che Benedetto XVI ha rivol to ai partecipanti al XXV Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, stigmatizzando la commercializzazione di farmaci abortivi ed eutanasici, è im portante sotto diversi profili, su almeno due dei quali mi sembra opportuno ela borare in questa sede alcune riflessioni. In primo luogo, il discorso del Papa è ri levante sotto l’aspetto propriamente bioetico. Egli torna ad insistere sul dove re di lottare contro la progressiva «anestetizzazione » delle coscienze che caratterizza il nostro tempo e che induce così tante donne a pensare all’aborto non più come ad un’eventualità estrema, eccezionale e tragica, ma come ad una banale possibilità, gestibile attraverso altrettanto banali sussidi farmacologici (o meglio pseudo-farmacologici).
Ma c’è anche un altro punto da sottolineare e che per me possiede un rilievo ancora maggiore, per la sua forte carica di novità: il Papa delinea, in poche, ma perfette espressioni, l’essenza della deontologia del farmacista, che, se non vuole relegarsi al rango, indubbiamente onesto, ma riduttivo, del mero commerciante, deve percepire se stesso come in termediario tra medico e paziente ed esercitare nei confronti di quest’ultimo u na funzione di fondamentale informazione, che – data la delicatezza delle que stioni sanitarie – diviene inevitabilmente una funzione 'educativa'. Non è una mera e neutrale informazione lo spiega re a una donna che quella pillola che es sa sta per comprare non si limita a ren dere impossibile il concepimento, ma può produrre la morte di un figlio già concepito: quando è in questione né più né meno che la vita stessa ogni informa zione o è 'educativa' oppure, se il valo re della vita non viene adeguatamente ricordato e promosso, è per forza di co se 'diseducativa'.
In secondo luogo, il discorso del Papa ha una forte e legittima valenza politica. Sap piamo che già molti laicisti sono tornati a reiterare le loro logore proteste contro le 'invadenze' vaticane. Si tratta di pro teste indebite, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. Formal mente, perché l’eutanasia in Italia è illegale e lo è anche l’aborto, se non viene praticato nel rispetto di una procedura difficilmente compatibile con la vendita in farmacia di pillole abortive (e qui pen so non solo alla RU 486, ma anche alla 'pillola del giorno dopo', che può di fat to produrre effetti abortivi): quindi, au spicare l’obiezione di coscienza alla ven dita di prodotti abortivi ed eutanasici è paradossalmente un ammonimento per ché non si violino, surrettiziamente, i principi normativi vigenti.
Ma il cuore della questione, ovviamente, non è formale, ma sostanziale. Nella sostanza, l’appello del Papa per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti va molto al di là del caso, pur delicatissimo, che lo ha provocato: è un appello perché non si perda la consapevolezza che quando sono in gioco temi etici fondamentali (e quelli della vita e della morte sono – se così si può dire – i più fondamentali di tutti), te mi che suscitano gravissime questioni di coscienza, è dovere di tutti fermarsi e at tivare una riflessione ampia ed articolata, per evitare che simili questioni ven gano degradate a mere dispute di carattere ideologico o meno che mai confessionale. Fa impressione la superficialità con cui Repubblica del 30 ottobre (pag. 2) afferma che accogliere l’appello del Papa (definito riduttivamente «una parola d’ordine») equivarrebbe ad una «balcanizzazione » del nostro sistema sanitario, con una evidente allusione ai conflitti in sensati, ciechi ed ottusi, pregiudiziali e violenti, che hanno insanguinato i Balcani. Tutto, tranne questo, si può dire a ca rico di chi promuove la difesa della vita, affidandola all’obiezione di coscienza: dovrebbero ricordarselo soprattutto quei laicisti, che in altre occasioni hanno giu stamente e laicamente lottato perché l’obiezione ottenesse un doveroso ricono scimento nel nostro ordinamento.
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