
La prima pagina del numero
della rivista ove fu pubblicato
l'articolo che vi proponiamo
Questo breve saggio, mai pubblicato in alcuna raccolta, è apparso per la prima volta su The Spectator nel numero del 27 febbraio 1932 alle pagine 8 e 9, prima che la casa editrice Hodder and Stoughton commissionasse a Chesterton il noto studio di grande successo su San Tommaso d'Aquino (il libro vide la luce nel 1933); ricordiamo che fu edito in Italia già negli anni Trenta del secolo scorso da diverse case (Agnelli, Marzocco, eccetera).
Apparve nella rubrica intitolata Studies in Sanctity, con cui la rivista settimanale voleva esporre alcune figure di santi che avevano esercitato, in epoche e modi diversi, "un'influenza trasformatrice sulla vita del loro tempo". La settimana successiva fu la volta di Santa Caterina da Siena descritta dalla scrittrice irlandese Alice Curtayne (1898-1981).
L'articolo in originale è rinvenibile a questo collegamento (archivio della rivista):
https://archive.spectator.co.uk/article/27th-february-1932/8/studies-in-sanctity
Traduzione dall'inglese di Marco Sermarini ©.
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La difficoltà di descrivere San Tommaso d'Aquino in questo breve articolo sta nel selezionare quell'aspetto della sua mente poliedrica che meglio ne suggerisca la dimensione o la scala. A causa del corpo massiccio che sosteneva il suo cervello imponente, era soprannominato “Il Bue”; ma qualsiasi tentativo di riassumere un cervello del genere in una letteratura popolare supera ogni possibile battuta su un bue in una tazza da tè. Era uno dei due o tre giganti, uno dei due o tre uomini maggiori che siano mai vissuti, e non mi sorprenderebbe affatto se, a prescindere dalla sua santità, risultasse essere il più grande di tutti. Un altro modo di porre il problema è dire che la proporzione cambia a seconda degli altri uomini con cui lo classifichiamo o lo confrontiamo in quel momento. Non riusciamo a coglierne la portata finché non arriviamo ai pochi uomini nella storia che possono essere suoi rivali.
Quindi, per cominciare, possiamo paragonarlo alla vita comune del suo tempo e raccontare la storia delle sue avventure tra i suoi contemporanei. Solo in questo egli ha gettato luce sulla storia, a parte la luce che ha gettato sulla filosofia. Era nato in una famiglia di alto rango, imparentata con la casa imperiale, figlio di un grande nobile di Aquino, non lontano da Napoli, e quando espresse il desiderio di diventare monaco, è tipico dell'epoca che tutto gli fosse reso facile - fino a un certo punto.
Un grande gentiluomo poteva essere ammesso con decoro nell'ormai antica routine dei benedettini, come il figlio minore di un signorotto che diventava parroco. Ma il mondo era stato appena sconvolto da una rivoluzione religiosa e strani personaggi affollavano tutte le strade. E quando il giovane Tommaso insistette per diventare un domenicano - cioè un frate errante e mendicante - i suoi fratelli lo inseguirono, lo rapirono e lo rinchiusero in prigione.
Era come se il figlio del signorotto fosse diventato uno zingaro o un comunista. Tuttavia, nonostante tutto, riuscì a diventare frate e l'allievo prediletto del grande Alberto Magno a Colonia. In seguito proseguì verso Parigi, dove si distinse nella difesa dei nuovi ordini mendicanti alla Sorbona e altrove. Da qui passò alla grande controversia centrale su Averroè e Aristotele; in effetti alla grande riconciliazione tra fede cristiana e filosofia pagana. La sua vita esteriore era prodigiosamente occupata da queste cose. Era un uomo grande e grosso, stempiato, paziente e bonario, ma incline a vuoti stati di distrazione. Durante una cena con Luigi IX, re di Francia, cadde in una profonda riflessione e improvvisamente batté il pugno con forza sul tavolo, esclamando: «E questo metterà a tacere i manichei!». Il re, con la sua raffinata ironia innocente, mandò un segretario a prendere nota dell'argomentazione, per paura che andasse dimenticata.
Così potrebbe essere paragonato ad altri santi o teologi, come mistico più che come dogmatico. Infatti era, come un uomo sensibile, un mistico in privato e un filosofo in pubblico. Aveva certamente avuto «esperienze religiose», ma non chiedeva agli altri, come si fa oggi, di ragionare sulla base della sua esperienza. Chiedeva loro solo di ragionare sulla base della loro esperienza. Le sue esperienze includevano casi ben documentati di levitazione in estasi; e la Beata Vergine gli apparve, confortandolo con la gradita notizia che non sarebbe mai diventato vescovo. Allo stesso modo, potremmo confrontare lo schema tomista con altri, toccando i punti in cui Scoto o Bonaventura differivano da esso. Non c'è spazio qui per tali distinzioni, al di là di quella generale: che San Tommaso tende almeno relativamente al razionale, gli altri al mistico, potremmo quasi dire al romantico. In ogni caso, non c'è stato certamente mai un teologo più grande, e probabilmente mai un santo più grande. Ma dire che era più grande di Domenico o Francesco non renderebbe minimamente l'idea (nel senso qui richiesto) di quanto fosse grande.
Per comprendere la sua importanza, dobbiamo metterlo a confronto con le due o tre fedi cosmiche alternative: egli rappresenta l'intero pensiero cristiano che dialoga con il paganesimo o con il pessimismo. Egli discute attraverso i secoli con Platone o con Buddha, e ha la meglio nella discussione. La sua mente era così ampia e il suo equilibrio così bello che suggerirlo significherebbe discutere di un milione di cose. Ma forse la semplificazione migliore è questa. San Tommaso affronta altri credo sul bene e sul male, senza negare affatto il male, con una teoria dei due livelli del bene. L'ordine soprannaturale è il bene supremo, come per qualsiasi mistico orientale; ma l'ordine naturale è buono, solido come lo è per qualsiasi uomo della strada. Questo è ciò che “mette a tacere i manichei”. La fede è superiore alla ragione; ma la ragione è superiore a qualsiasi altra cosa e ha diritti supremi nel proprio ambito. È qui che anticipa e risponde al grido antirazionale di Lutero e degli altri; come mi disse un poeta altamente pagano: «La Riforma avvenne perché la gente non aveva il cervello per capire Tommaso d’Aquino».
La Chiesa è più immortalmente importante dello Stato; ma lo Stato ha i suoi diritti, comunque sia. Questa dualità cristiana era sempre stata implicita, come nella distinzione formulata da Cristo tra Dio e Cesare, o nella distinzione dogmatica tra le nature di Cristo. Ma San Tommaso ha il merito di aver afferrato questo doppio filo come chiave di mille cose; e di aver così creato l'unico credo in cui i santi possono essere sani di mente. Si presenta forse al mondo moderno principalmente come l'unico credo in cui i poeti possono essere sani di mente. Perché ora non c'è nessuno che possa placare i manichei; e tutta la cultura è infettata da un vago senso di impurità, secondo cui la Natura e tutte le cose dietro di noi e sotto di noi sono cattive; che c'è solo lode per gli intellettuali nelle alte sfere. San Tommaso esaltava Dio senza sminuire l'uomo; esaltava l'uomo senza sminuire la Natura. Pertanto, creò un cosmo di senso comune; terra viventium; una terra dei viventi. La sua filosofia, come la sua teologia, è quella del senso comune. Non tortura il cervello con tentativi disperati di spiegare l'esistenza mediante giustificazioni. I primi passi della sua mente sono i primi passi di qualsiasi mente onesta; proprio come le prime virtù del suo credo potrebbero essere quelle di qualsiasi contadino onesto. Perché egli, che riuniva in sé tante cose, riuniva anche la sottigliezza intellettuale e la semplicità spirituale; e il sacerdote che si recò al capezzale di questo titano dell'energia intellettuale, il cui cervello aveva strappato le radici del mondo e trafitto ogni stella e spezzato ogni pagliuzza nell'intero universo del pensiero e persino dello scetticismo, disse che ascoltando la confessione del moribondo, gli parve improvvisamente di ascoltare la prima confessione di un bambino di cinque anni.
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