lunedì 22 ottobre 2018

Inedito Chestertoniano - Il Natale e l’arte di vendere (Christmas and Salesmanship) - GKC, Illustrated London News, 28 Dicembre 1935 (traduzione di Umberta Mesina ©)

L'opera è inedita in italiano - grazie a Umberta Mesina che ne ha curato la traduzione.
Provo un cupo e malinconico piacere nel ricordare agli scribacchini e sgobboni  prezzolati che mi sono compagni nel terribile mestiere del giornalismo che il Natale appena finito dovrebbe continuare per il resto dei dodici giorni. Dovrebbe terminare nella Dodicesima Notte, in occasione della quale Shakespeare in persona ci ha assicurato che dovremmo star lì a fare Quel che ci Pare.[1]
Invece una delle cose più bizzarre riguardo al nostro tempo scombinato è che tutti abbiamo sentito tanto parlare del Natale appena prima che arrivasse e, dopo che è arrivato, all'improvviso non ne sentiamo più dir niente. Il mio mestiere, la tragica gilda che ho già menzionato, è ammaestrato a cominciare a profetizzare il Natale in un qualche momento verso l'inizio dell'autunno; e le profezie in proposito sono come profezie sull'Età dell'Oro e il Giorno del Giudizio combinati insieme. Chiunque scrive di che glorioso Natale avremo. Nessuno, o pressoché nessuno, scrive mai a proposito del Natale che abbiamo appena avuto.
Intendo fare di me stesso un'esasperante eccezione in proposito. Ho intenzione di invocare un più lungo periodo nel quale scoprire che cosa realmente s'intendesse con il Natale; e una più piena riflessione su ciò che abbiamo realmente trovato. C'è un numero infinito di leggende, perfino leggende moderne, su ciò che accade prima di Natale; si tratti della preparazione dell'albero di Natale, che si dice risalga solo ai tempi del marito tedesco della regina Vittoria, o della vasta popolazione di Babbi Natale che oramai affollano i negozi quasi allo stesso ritmo dei clienti. Ma non c'è nessuna leggenda moderna su ciò che avviene subito dopo Natale; a parte una tetra battuta circa l'indigestione e l'arrivo del dottore. E tanto più, allora, sono spinto a inviare a tutti un saluto post-natalizio o, se fossi abbastanza operoso, un biglietto post-natalizio; e in verità c'è una folla pusillanime che se la cava ripiegando sui biglietti per l'Anno Nuovo. Ma vorrei esaminare questo problema degli usi e festeggiamenti del dopo-Natale un po' più attentamente.
È di certo un segno distintivo di una comunità commerciale che essa faccia pubblicità in tal modo durante l'Avvento. Tutto l'obiettivo di un simile sistema è di consegnare merci. Una volta che siano state consegnate, c'è un silenzio di tomba; quantomeno come assenza di qualunque esplosione di gioia per la creazione di cose nuove; un relativo silenzio circa le stelle del mattino che cantano insieme o le grida dei figli di Dio.[2] In altre parole, una volta consegnati i beni, non è del tutto certo che qualcuno li abbia esaminati e abbia visto che sono buoni.[3] E l'immensa importanza dell'annuncio diffuso ovunque diminuisce la corrispondente importanza dell'apprezzamento. So che nel caso del commercio ci sono a volte delle prove di apprezzamento. So che nobildonne e attrici (spero che questo sia l'ordine corretto di precedenza) scrivono testimonianze del loro piacere nel consumare un qualche tipo di sapone; e che intellettuali di primo piano sono pescati a dichiarare che praticamente sarebbero stati dei mezzi scemi se non fosse stato per qualche particolare allenamento della mente. Ma prendendo i moderni annunci e avvisi pubblicitari e attestazioni nell'insieme, non c'è paragone tra il volume delle promesse e il volume degli apprezzamenti. Tutti conoscono gli annunci, ma pochi potrebbero citare gli apprezzamenti. Questo è tanto più ovvio nel caso del Natale, perché il Natale è tuttora giustamente considerato una festa per i bambini. È forse naturale che dire a un ragazzino che a breve avrà delle caramelle sia più esplicito ed esplicativo del ragazzino stesso quando sta effettivamente mangiando le caramelle; quando è rimpinzato e incollato alla sedia dalle caramelle; e non è dell'umore adatto per simboleggiare la gratitudine altro che con l'ingordigia. Non gli chiederemmo neanche un lirico grido che possa diventare un inno di ringraziamento; tanto meno un brano di prosa perfetta in cui analizzi le sue impressioni. I bambini andrebbero visti e non sentiti.  In altre parole, vengono per comprare caramelle, non per elogiarle. Purché non si producano rumori eccessivi nella masticazione dei dolciumi, dispenseremo la gioventù da qualunque lungo esercizio retorico in forma di rendimento di grazie. E una certa quota di questa sproporzione naturale tra l'eccitazione dell'attesa e ringraziamento bisogna consentirla a tutti i giovani. La triste agonia che tanti ragazzini devono stare attraversando in questo momento, allo scopo di scrivere tre righe di ringraziamento alla nonna che gli ha dato le caramelle, di per sé non è una riflessione sulle caramelle. La gratitudine, essendo quasi il più grande dei doveri umani, è anche quasi il più difficile. E se persone adulte non pensano praticamente mai ad essere grate per il sole e la luna e i loro stessi corpi e anime, è facile scusare una persona immatura se trova difficile dirti grazie per un sacchetto di dolci. Soltanto, dicevo, una volta fatte tutte queste concessioni, c'è ancora una sproporzione tra le promesse di qualunque festa simbolica tanto grande e lo strano adempimento della promessa. E ciò è connesso con una certa consuetudine commerciale di certe persone che promettono tutto o di tutto, così che le altre persone sviluppano una tendenza a non ringraziarle per niente. C'è una specie di silenzio circa l'assorbimento di molte cose moderne, in confronto alle alte grida che ne hanno annunciato l'arrivo.
Non so fare a meno di sospettare che ci sia, in questo, un problemino riguardo a ciò che è chiamato entusiasticamente l'Arte delle Vendite. Non dico che vendere non possa essere un'arte; non dico neanche che sia diventata troppo artefatta. Tuttavia non sono i suoi nemici ma i suoi amici ad alludere di continuo che essa non significa far comprare alle persone ciò che non vogliono. Una transazione di tal genere spiegherebbe in pieno i gioiosi schiamazzi dei negoziati d'apertura in confronto al silenzio successivo. È un trionfo per il venditore quando fa comprendere al cliente di aver avuto bisogno da tempo di uno spazzolino elettrico o di una matita automatica, dei quali mai prima aveva sentito parlare. Ma non è sempre un trionfo per il cliente quando questi in seguito si mette ad esaminare giustamente e seriamente quelle cose. E a me pare che la nostra civiltà sia in qualche misura andata fuori posto, proprio nel punto esatto di questa congiunzione tra un'offerta accanita e zelante e una domanda piuttosto debole e tentennante. C'è una tale carica di elogio e raccomandazione, da un lato, e una tale mancanza di reazione, sia di elogio sia di protesta, dall'altro, che dubito che il consumatore stia fornendo allo Stato una critica abbastanza costruttiva.
Dopotutto, il fondamento originale di ogni commercio è stato che le idee provenivano dal consumatore; e che questi era ben certo di ciò che voleva consumare. I sogni e le visioni del consumatore erano poi concretizzati e, per così dire, incarnati, nelle arti e nei mestieri che li soddisfacevano. Naturalmente, artisti e artigiani facevano nel dettaglio cose che il consumatore non poteva fare da sé; ma il consumatore faceva qualcosa non nel dettaglio ma nel disegno. In un certo senso, lui era l'architetto e loro i costruttori. Se però l'architetto deve ritrovarsi al riparo di tutt'altro tipo di edificio e sentirsi dire che quello è ciò che veramente voleva senza saperlo, allora non gli si sta dando un alloggio ma un sepolcro.
Il mio unico punto al momento è che, in fin dei conti, egli è ora piuttosto silenzioso nella sua tomba. So che c'è una gran difficoltà a organizzare qualsivoglia espressione da parte di coloro che hanno veramente avuto ciò che gli piaceva; principalmente perché ciò implicherebbe l'allarmante alternativa che si esprimano su ciò che non gli è piaciuto. Suppongo che non ci sia mai stato un annuncio pubblicitario veramente convincente per il sapone Smith o una testimonianza davvero convincente per il tè Tomkinson. Perché l'unica affermazione veramente entusiasmante riguardo al sapone Smith sarebbe che è molto meglio del sapone Brown; e il solo encomio totalmente convincente  del tè Tomkinson sarebbe una testimonianza che dicesse "Che sollievo è stato dopo il sapore assolutamente schifoso del tè Wilkinson". E questo è vietato da ogni usanza commerciale; e immagino che lo sia perfino dalle leggi vigenti. Non dico neanche per un momento che sarebbe facile ottenere un vero resoconto del ricevimento di cose buone, specialmente quando sono buone davvero; e se il mondo moderno fosse di quell'umore, immagino che ci sarebbe un più lungo periodo di apprezzamento, e forse perfino qualche festività finale di ringraziamento dopo la festività del Natale. I Puritani in America inventarono il Giorno del Ringraziamento per evitare il giorno di Natale.[4] Sarebbe una vera riconciliazione anglo-americana combinarli insieme; e avere un Giorno del Ringraziamento per il tacchino che abbiamo mangiato a Natale.
Gilbert Keith Chesterton (traduzione di Umberta Mesina © gratitudine nostra 😊)
… … …  
[1] Il titolo intero della commedia di Shakespeare "la dodicesima notte" è The Twelfth Night, or What You Will, cioè "La Dodicesima Notte, o Quel che Volete Voi", intendendo che nella storia ciascuno può vedere ciò che gli pare.
[2] Una citazione del libro di Giobbe, capitolo 38, verso 7.
[3] In inglese "buono" si dice good, al singolare e al plurale; "merci" si dice goods, cioè "beni" (che noi usiamo come termine economico o legale o in espressioni particolari come "beni di prima necessità", ma in genere non usiamo come termine colloquiale).
[4] I Puritani storici, come i Padri Pellegrini che nel 1620 arrivarono in America con la Mayflower, non celebravano il Natale. In Inghilterra lo abolirono come festa nazionale, attraverso il parlamento, dal 1645 al 1660, ma nel New England Uniti, oltre a non celebrarlo, lo misero proprio fuorilegge, dal 1659 fino agli anni Ottanta dello stesso secolo. Anche quando il Natale smise di essere fuorilegge, comunque, i puritani d'America continuarono a non celebrarlo. Per ulteriori informazioni, "When Americans banned Christmas"The Week, December 20, 2011.

Nessun commento: