lunedì 26 maggio 2014

Il testo dell'intervento di Marco Sermarini al Meeting di Rimini 2013

Siccome per ragioni di tempo fui costretto a tagliare (io avrei continuato a parlare a ruota, tanto era l'entusiasmo che avevo pensando a Gilbert e alle sue performance, e tanto era lo stordimento di quei giorni in cui ovunque ti giravi c'era in agguato uno che voleva sapere chi era Chesterton e perché io fossi così malato...), metto a disposizione il mio intervento al Meeting sull'Uomovivo.

C'è anche il video qui sul blog, vedrete che ho tagliato (anzi, si vede che ad un certo punto ho detto che sì, avrei tagliato).

Una ragazzina mi chiese la copia cartacea che avevo quel giorno e io gliela diedi volentieri; chi vuole può prendersi questa, mettiamola così.

Marco Sermarini

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E’ Chesterton stesso che ci illustra la genesi di quest’opera, e lo fa nella sua Autobiografia:

Ciò che mi stupisce, quando guardo indietro alla mia giovinezza, e anche all’adolescenza, è l’estrema rapidità con cui si può fare ritorno con il pensiero alle cose fondamentali e perfino alla negazione delle cose fondamentali. In età precocissima, ero tornato con il pensiero fino al pensiero stesso: ed è una cosa terribile, perché può indurre a credere che non ci sia nulla, al di fuori del pensiero (...) Era come se avessi io stesso proiettato l’universo dall’interno, con i suoi alberi e le sue stelle. E si arriva così vicino alla nozione di essere Dio che, in tutta evidenza, ci avvicina ancora di più alla follia (...) Mentre atei ottusi predicavano che nulla esisteva al di fuori della materia, li ascoltavo con il quieto orrore del distacco, pensando invece che non esisteva nulla al di fuori della mente.

da Autobiografia

Queste idee, unite al clima culturale decadentistico e pessimistico, avevano creato un cattivo habitus mentale nel giovane Gilbert (tra i diciotto ed i venti anni), che lo avevano indotto a pensare anche al più folle dei delitti, il suicidio.
Poi tutto cambiò grazie alla lettura di alcuni libri, tra cui spiccano Robert Louis Stevenson con la sua Isola del Tesoro, Walt Whitman con le sue poesie (chiaramente quelle non a sfondo omosessuale che Gilbert avrebbe rifiutato decisamente: era una di quelle insane inclinazioni che più gli avevano messo paura, se proprio vogliamo dirla tutta) ed il libro biblico di Giobbe (sì, proprio Giobbe, quello che discute con Dio dopo la apparente negazione e privazione del tutto).
Chesterton mette una solenne pietra sopra a queste assurde preoccupazioni psicologiche (come le chiama lui stesso) verso la primavera - estate del 1894, quando scrive una lettera al suo amico di sempre Edmund Clerihew Bentley in cui dice:

Adesso la visione sta svanendo nel corso della vita quotidiana, e ne sono felice. È imbarazzante parlare con Dio faccia a faccia, come si parla con un amico.

Adombra un’esperienza mistica? Forse, ma sta di fatto che da lì in poi cambierà tutto. Dirà Chesterton di aver

scoperto che la realtà intorno a noi, se la si esamina, testimonia una… perfezione mistica

e di essere

certo che ogni cosa è come è perché così deve essere.

Gratitudine sarà la parola chiave di questa storia che ha lasciato il segno nella vita di migliaia di persone:

Nessun uomo ha veramente misurato la vastità del debito verso quel qualsiasi essere che l'ha creato e che lo ha reso capace di chiamarsi qualcosa. Dietro il nostro cervello, per così dire, v'era una vampa o uno scoppio di sorpresa per la nostra stessa esistenza: scopo della vita artistica e spirituale era di scavare questa sommersa alba di meraviglia, cosicché un uomo seduto su una sedia potesse comprendere all'improvviso di essere veramente vivo, ed essere felice.
da Autobiografia

Più avanti ci dice che sempre in quel periodo della sua vita compose la poesia The Babe Unborn, in cui l’autore impersonava un bambino mai nato che implorava l’esistenza e prometteva di prodigarsi in tutte le virtù e che avrebbe fatto sempre il buono, purché gli fosse data la vita. E ancora:

Fu in quel periodo che abbozzai quello che, più tardi, fece parte del mio racconto intitolato Manalive: la storia di un tale d’animo buono, che andava in giro con una pistola e la puntava a bruciapelo contro il pessimista, se mai diceva che la vita non valeva la pena di essere vissuta.

Quest’idea viene accennata pubblicamente per la prima volta nel capitolo introduttivo di Ortodossia, dove  dice:

Spesso ho avuto la tentazione di scrivere un romanzo sulla figura di un navigatore inglese che, per un lieve errore di calcolo della rotta, scoprì l’Inghilterra credendo di aver scoperto una nuova isola nei mari del Sud.

E poi accusa la sua pigrizia che gli avrebbe impedito di scrivere questo libro. Il pressing durava dall’età di vent’anni, ormai non ce la faceva più. Prima si chiarì le idee scrivendo L’uomo che fu Giovedì, la sua autobiografia romanzata, e Ortodossia, la sua autobiografia filosofica. E’ Chesterton stesso che le definisce così, sia chiaro. In queste due opere trovate le idee fondamentali di quest’uomo buono e geniale e lui ripercorre tutto il suo viaggio verso l’ortodossia.
Ma il libro sull’uomo buono che girava con la pistola a cannoneggiare i pessimisti era troppo importante per non essere scritto, e quindi oggi possiamo dire grazie a Dio e leggerlo e pure presentarlo a tutti qui.

Uomovivo forse è il romanzo più scopertamente autobiografico (a ben guardarli, lo sono tutti: o meglio, tutti contengono qualcosa che riguarda la vita di Chesterton, un personaggio che gli somiglia, un uomo grande e grosso, il poeta, oppure qualcosa che fa parte della sua vita di tutti i giorni e spesso anche una donna dai capelli rossi, cioè la sua cara moglie). Quindi quando si dice che questo libro è la storia di un uomo dall’animo buono, tutto converge a pensare a lui, perché lui era davvero di animo buono, era un uomo davvero buono ed innocente come un bimbo. Padre O’Connor lo ribattezzò Chestertonchild.
Poi è autobiografico anche quando Chesterton racconta di Innocent Smith che gira con la pistola: non tutti lo sanno ma Chesterton si andò a sposare con la pistola in tasca, perché dice lui che non esistono matrimoni prudenti come non esistono suicidi prudenti, e siccome il matrimonio è una grande avventura, bisogna prepararsi per bene. Poi passò anche in una latteria a bere un bicchiere di latte, proprio dove lo portava da bambino sua mamma... Per la cronaca si presentò in chiesa con il bollino del prezzo ancora attaccato alle suole delle scarpe e quando si inginocchiò fece ridere tutti e partì per il viaggio di nozze dimenticando i bagagli alla stazione (ma con la pistola in tasca...!).

Quando Chesterton scoprì che la vita era bella ed era vera, partì per quello che William Oddie, uno dei suoi biografi, chiama the long journey round the world, il lungo viaggio attorno al mondo, alla vita, al bello dell’esserci, il viaggio che parte dalla scoperta della gratitudine per la somma bontà del tutto, dalla scoperta dell’ortodossia e dalla riscoperta dello strumento del costante stupore. Quest’opera dunque fu concepita con questo precipuo scopo: fungere da regola (sì, proprio così, è una regola, come i francescani, i domenicani e i benedettini) per chi riconosce il segreto della vita - la gratitudine per tutto, in primis per l’esserci, che è meglio del non esserci - e decida di esercitare senza tregua l’arte del suo protagonista, Innocent Smith, che “frustava la sua anima a suon di risate pur di impedire che si addormentasse". Sentite come si descrive attraverso le parole del reverendo Percy:

Aveva fatto perdere a sua moglie una lunga serie di domestiche eccellenti, a causa di quella sua abitudine di bussare a casa sua come fosse un perfetto sconosciuto, per chiedere se il signor Smith abitasse davvero lì e che tipo d’uomo fosse. La classica domestica londinese non è abituata a padroni che si dilettano con ironie così astruse; e risultò impossibile spiegarle che il padrone lo faceva per guardare le proprie faccende con la stessa viva curiosità che di solito si ha verso le faccende altrui.
«So che c’è un tale chiamato Smith» era solito dire con aria stranita «che vive in una di queste case a schiera. So che è molto felice, eppure non riesco mai a coglierlo in flagrante». Talvolta era capace di mettersi improvvisamente a trattare sua moglie con quel tipo di cortesia impacciata, tipica di un giovane che s’innamora a prima vista di una sconosciuta. Talvolta era capace di estendere queste poetiche premure anche nei confronti del mobilio; si scusava con la sedia su cui si sedeva, saliva le scale con la prudenza di uno scalatore, per sentire come nuova la percezione di quello scheletro di realtà. «Ogni gradino è una scala e ogni sgabello è una gamba» diceva. E altre volte si comportava da sconosciuto nel modo completamente opposto, cioè entrando da passaggi strani, per sentirsi come un ladro o un rapinatore. Scassinava e s’introduceva abusivamente in casa sua, come aveva fatto quella notte con me”.

Questa idea era chiara da sempre, tanto che la ritroviamo ne L’Imputato (in cui elogia le cose apparentemente indifendibili) ma soprattutto in Ortodossia:

(...) Il libro "Robinson Crusoe" (...) deve la sua perenne vitalità al fatto che esso celebra la poesia dei limiti o meglio ancora il romanzo stravagante della prudenza. Crusoe è un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare: la parte più bella del libro è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario. Ogni utensile da cucina diviene ideale perché Crusoe avrebbe potuto lasciarlo cadere nel mare. E' un buon esercizio nelle ore vuote o cattive del giorno stare a guardare qualche cosa, il secchio del carbone o la cassetta dei libri, e pensare quanto sarebbe stata la felicità d'averlo salvato e portato fuori del vascello sommerso sull'isolotto solitario. Ma un migliore esercizio ancora è quello di rammentare come tutte le cose sono sfuggite per un capello alla perdizione: tutto è stato salvato da un naufragio. Ogni uomo ha avuto una orribile avventura: è sfuggito alla sorte di essere un parto misterioso e prematuro come quegli infanti che non vedono la luce. Sentivo parlare, quand'ero ragazzo, di uomini di genio rientrati o mancati; sentivo spesso ripetere che più d'uno era un grande "Avrebbe-potuto-essere". Per me, un fatto più solido e sensazionale è che il primo che passa è un grande "Avrebbe-potuto-non-essere".

da Ortodossia

In Ortodossia elaborerà la filosofia di Pimlico, il quartiere di Londra decaduto che però se amato quando ancora non è amabile può diventare Firenze o Roma, cioè il patriottismo cosmico; in altre parole bisogna combattere per il mondo amandolo ed odiandolo con la stessa intensità perché diventi quel che deve essere.
Nell’Autobiografia dice che quello che fu chiamato il suo ottimismo, che l’aveva salvato e che lui definirà ottimismo irrazionale, poteva suonare grosso modo così:

Perfino la mera esistenza, ridotta agli estremi limiti, è talmente straordinaria da essere stimolante. Paragonato al nulla, tutto era meraviglioso.

Allargando il raggio al mondo intero, un giorno Chesterton giovanotto ventenne arriverà a dire ad un suo amico qualcosa di simile a questo: A mondo donato non si guarda in bocca... Quindi non solo stupirsi quando può accadere, ma stupirsi sempre, meglio ancora: esercitare l’arte dello stupore e della meraviglia, del riconoscere in ogni cosa quella vampa di sorpresa anche a costo di prendersi a schiaffi per rimanere svegli. Scriverà Gilbert in un prezioso quadernetto ancora in quei gloriosi giorni attorno al 1894:

C’è un segreto per la vita
Il segreto del costante stupore

Ma dove nasce tutto ciò?
Il senso della gratitudine per tutto è una caratteristica dell’immaginazione chestertoniana che trae origine dalla sua fanciullezza: a venti anni Gilbert riesce a recuperare “la permanente attesa della sorpresa” che era il dono di suo padre Ed, un uomo splendido che fabbricava per i figli il teatrino delle marionette e lo animava e leggeva loro tutti i più bei libri della letteratura inglese, cioè la prospettiva che il quotidiano è il cancello per l’imprevisto ed il meraviglioso, che era stato coltivato con il “vero senso per cui ognuno ha in mano il capo di un filo elfico che deve alla fine condurlo al paradiso” (L’età vittoriana in letteratura) secondo George McDonald.
Tutto questo, misteriosamente e miracolosamente, era già tutto intero nella testa del giovane ventenne Gilbert, come uno scoppio di meraviglia desiderato ed atteso. Lo troviamo in uno dei suoi Notebooks, i suoi quaderni giovanili (segue nella riga successiva la frase di prima sul segreto del costante stupore):

C’è una cosa che dà radiosità a tutto, strade, case, pali della luce, comunità, politica, vite - è l’idea di qualcosa dietro l’angolo.

Ma c’è un aspetto che non va trascurato, ossia: non fermiamoci solo a stupore e gratitudine, che vanno benissimo. Chesterton in quegli anni giovanili scoprì il pericolo dell’eresia, cioè del cattivo pensiero, il pensiero contrario alla ragione, che è radice del male:

Il punto è che ho scavato talmente in profondità da incontrare il diavolo e misteriosamente riconoscerlo.

dirà nell’Autobiografia. Fermarsi solo al primo livello significherebbe mutilare Chesterton. Difatti c’è un interessante, misconosciuto in Italia, articolo di Chesterton su un numero del Daily News del 1907 intitolato The Diabolist, cioè il satanista. Racconta di un incontro accaduto proprio in quegli anni giovanili con un suo coetaneo che si proclamava satanista, seguendo il flusso delle idee decadentiste in voga in quell’epoca e rifiutate da Chesterton. In esso Chesterton racconta che il suo conoscente gli aveva chiesto perché stesse diventando ortodosso. Chesterton dice di non essersene accorto sino a quel momento e risponde che stava diventando ortodosso

perché sono arrivato, giusto o sbagliato che sia, dopo aver stirato il mio cervello fino a farlo squarciare, al vecchio credo secondo cui l’eresia è più minacciosa del peccato. Un errore è peggio di un crimine, perché un errore genera crimini.

Per lui una vita ingrata era, prima ancora che una follia, un’eresia perché non riconosceva l’evidenza di quel qualcosa dietro l’angolo che dava radiosità e luce a tutto. Per cui si lanciò nella battaglia dell’ortodossia. Guardate che Innocent Smith non è un buontempone che gode dei tramonti e del vino bevuto sul tetto di casa, di una bottiglia di vetro volgarissimo e dell’oro perché è tutt’oro quello che luccica. E’ uno che fa queste cose ma perché è sbagliato e folle non farle. Innocent si prende la briga di saltare il muro di Casa Beacon e vi porta lo scompiglio dell’ortodossia, calca in testa allo scientista dottor Warner il suo cappello perché è depresso e questo è sbagliato perché ogni uomo è un re e il suo cappello è la sua corona e quindi l’uomo comune vale come il re; punta la pistola in faccia al rettore Eames perché rinsavisca e così possa rinsavire lui stesso!

Una regola, non istruzioni per l’uso, ma una regola vera: vuoi rimanere sano? Vuoi rimanere in questa attesa permanente della meraviglia e godere davvero di tutto, anche del godimento? Frusta allora la tua anima a suon di risate perché questo è ortodosso, il nulla è eretico.


Stupore, gratitudine per tutto, anche per le tende a pallini ed i paperi dello stagno, amore per la propria moglie ed una bella pistola puntata sulla testa dell’uomo moderno, cioè l’amore per l’ortodossia ed il senso comune contrapposti all’eresia che guasta l’uomo e il suo cervello e così questo mondo per cui combattere da patrioti cosmici. Ecco il significato di quest’esplosione di vita che l’Innocente Chesterton ci regala perché la possiamo tenere sempre per noi come un gigantesco segreto da rivelare al mondo.

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