sabato 22 marzo 2014

Il Cardinal Carlo Caffarra sulla comunione ai divorziati risposati

D. – Si parla della possibilità di riammettere all'eucaristia i divorziati risposati. Una delle soluzioni proposte dal cardinale Kasper ha a che fare con un periodo di penitenza che porti al pieno riaccostamento. È una necessità ormai ineludile o è un adeguamento dell'insegnamento cristiano a seconda delle circostanze?

R. – Chi fa questa ipotesi, almeno finora non ha risposto a una domanda molto semplice: che ne è del primo matrimonio rato e consumato?  Se la Chiesa ammette all'eucarestia, deve dare comunque un giudizio di legittimità alla seconda unione. E' logico. Ma allora – come chiedevo – che ne è del primo matrimonio? Il secondo, si dice, non può essere un vero secondo matrimonio, visto che la bigamia è contro la parola del Signore. E il primo?  È sciolto? Ma i papi hanno sempre insegnato che la potestà del papa non arriva a questo: sul matrimonio rato e consumato il papa non ha nessun potere. La soluzione prospettata porta a pensare che resta il primo matrimonio, ma c'è anche una seconda forma di convivenza che la Chiesa legittima. Quindi, c'è un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittima. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali? La domanda di fondo è dunque semplice: che ne è del primo matrimonio? Ma nessuno risponde. Giovanni Paolo II diceva nel 2000 in un'allocuzione alla Rota che "emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del romano pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio". La formula è tecnica, "dottrina da tenersi definitivamente" vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli.

D. – Quindi non è questione solo di prassi, ma anche di dottrina?

R. – Sì, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c'è dubbio alcuno su questo.

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Il testo integrale dell'intervista a "Il Foglio", raccolta da Matteo Matzuzzi:

http://www.ilfoglio.it/soloqui/22326

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