Anche se con un po' di ritardo, vorrei partecipare anch'io alla tenzone lanciata lo scorso 16 settembre (la riflessione era nata subito, ma sono stata un po' di corsa nelle ultime settimane e non ho avuto tempo di metterla in file!)
Concordo pienamente con la riflessione di Roberto Persico, che ringrazio anche per le note sulla traduzione (anch'io ho l'edizione S. Paolo dell'intera raccolta dei racconti di padre Brown). Alle sue osservazioni vorrei aggiungere che a mio avviso è questo esercizio che, portando al riconoscimento del male anche in sé, permette condannare il peccato ma non il peccatore.
Quante volte di fronte a un delitto ci è capitato di pensare, in riferimento al colpevole: "io lo metterei in prigione e butterei via la chiave!".
Io confesso che a me succede: ogni volta che trovo un delitto talmente orribile che rifiuto di riconoscere di avere qualcosa in comune con chi lo ha commesso.
Ma a volte un reato, un peccato, può essere (anche) un grido di aiuto, e immedesimarsi nel peccatore fino ad essere in tutto come lui tranne che nella volontà di passare all'azione, di commettere realmente il peccato, provando gli stessi sentimenti e le stesse frustrazioni, può permettere al sacerdote di ascoltare quel grido e aiutare veramente il peccatore a redimersi (e in effetti a Padre Brown più che assicurare il colpevole alla giustizia interessa salvare la sua anima). Dimostrandogli di aver ascoltato e capito le domande che quello non sapeva nemmeno di avere. E questo vale non solo per i delitti.
In proposito, esemplari sono le parole dell'ex-ladro Flambeau che descrive la sua "capitolazione" di fronte a Padre Brown: "Io rubai per vent’anni con queste mie mani; io sfuggii alla polizia con questi miei piedi. … Forse che io non ho udito i sermoni dei virtuosi e veduto il freddo sguardo delle persone rispettabili? Forse che non mi venne detto che nessuna persona per bene avrebbe potuto sognare una simile depravazione? Fu solo il mio amico Padre Brown a dirmi che egli conosceva perfettamente perché io rubassi. E da quel giorno non rubai più».
Sull'importanza cuciale della confessione per Chesterton mi piace ricordare la sua affermazione di aver aderito al cattolicesimo "[...] per liberarmi dai miei peccati. Perchè non v'è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. [...] Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso".
Su questi temi rilancerei perchè è molto bella questa riflessione di Fabio Trevisan, pubblicata sul blog poco meno di un anno fa - dalla quale ho "rubato" le parole di Flambeau, visto che già le aveva scritte.
;-)
Maria Grazia Gotti
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