venerdì 5 ottobre 2012

Affare Dreyfus. Non si possono tirar fuori parole inerenti la vita e la morte alla leggera | La nostra Annalisa Teggi su Tempi.it


«Credi nelle maledizioni?»-chiese Smaill«Non credo in niente: sono un giornalista»-rispose malinconico Boon 

Non parlo per conoscenza personale, ma solo per esperienza cinematografica e televisiva: una bomba deve essere davvero quello che la parola ordigno suggerisce in modo più vivido. Congegnarla richiede un’assoluta delicatezza e minuziosità e precisione; i suoi effetti, invece, sono prepotenti, eclatanti e caotici. All’artificiere appartiene la stessa paradossale natura dell’oggetto che disinnesca; il suo fare è prepotentemente delicato. È ferreo nelle intenzioni, premurosissimo nei gesti. Pensando a questo, mi sono immaginata, con forse un po’ più di fantasia del dovuto, la scena capitata qualche giorno fa a Kabul: un contingente polacco in missione di pace avvista uno strano pacco sul ciglio di una strada, sospetta che sia una bomba artigianale messa dai talebani e dà l’allarme. L’operazione procede come da protocollo per la bonifica: delimitare la zona, indossare le apposite tute, procedere con gli strumenti adeguati (mia sommaria e di sicuro romantica ricostruzione). Ci si avvicina lenti all’oggetto curando tutti i minimi dettagli ed è proprio quello di cui quel pacco ha bisogno; perché a dispetto delle verisimili ipotesi distruttive, lì dentro c’è una bambina di appena due giorni. Credo sia da annoverare tra i rari casi in cui un artificiere ha ringraziato di dover assicurarsi che il congegno trovatosi tra le braccia continuasse a funzionare a dovere.
La notizia è stata battuta così: «I soldati hanno sollevato il coperchio di cartone e hanno visto una neonata avvolta in un asciugamano». Sono talmente assuefatta a quel giornale cattolico chiamato Vangelo, che queste laicissime parole mi sono suonate così simili a «troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Da sempre i grandi potenti fanno uso di armi di distruzione di massa, e il più potente di tutti ha raso al suolo la tentazione del nichilismo, del dubbio, dell’idolatria dell’ego con quel disarmante ordigno che è l’accadere della vita dentro il ventre di una donna.
Questa deduzione impropria che scavalca il mero fatto di cronaca mi allontana definitivamente dalla cerchia dei giornalisti seri. Sono vittima, lo ammetto, della teoria a favore di un giornalismo “non tanto scientifico quanto artistico” – così lo definì il signor Chesterton. Ed egli spiegò la cosa illustrando la linea editoriale del suo giornale, il G.K.’s Weekly: «Io continuo a pensare che (il giornale) debba risvegliare l’immaginazione, e soprattutto quella forma estrema e quasi stravagante di immaginazione che riesca davvero a immaginare la realtà. Gli uomini devono essere messi nella condizione di capire, anche solo continuando a ripeterlo, quanto sia assolutamente irreale ciò che è definito lo stato reale delle cose».
Difese il giornalismo ritenendolo la forma più nobile dello scrivere: i giornalisti – diceva – sono “testimoni della mortalità umana e della quotidianinità del vivere”, sono testimoni dell’autentica e comune natura umana che, se non preventivamente addormentati dal mero dovere di cronaca o addomesticati da ideologie e opinionismi, nel raccontare ogni fatto piccolo o grande puntano il dito verso “quella fiammata spesso dimenticata o scoppio che è lo stupore per la nostra stessa esistenza”.
La sua linea editoriale fu indubbiamente sovversiva, ma non erano parole a vanvera; perché il signor Chesterton era di casa a Fleet Street – la via londinese in cui avevano sede i più importanti quotidiani inglesi; ci bazzicava in quel posto – parlava, discuteva, s’intratteneva, aveva rapporti di lavoro con i personaggi eminenti – e  anche non – della carta stampa e che idea se ne fosse fatto lo deduciamo da uno dei racconti di Padre Brown intitolato La parrucca Rossa: «Il signor Edward Nutt, l’industrioso redattore capo del ‘Riformatore Quotidiano’, sedette al suo tavolo per aprire la corrispondenza e per correggere le bozze. Si sarebbe potuto dire di lui, come di molti giornalisti autorevoli, che la sua emozione più familiare fosse un continuato timore: timore di azioni ingiuriose, timore di avvenimenti minacciosi, timore di errori tipografici, timore del licenziamento. Egli prese in mano una striscia di bozza, la scorse con occhio triste, e con una matita blu sostituì la parola ‘adulterio’ con ‘sconvenevolezza’ e la parola ‘ebreo’ con ‘straniero’, suonò un campanello e la fece volare di sopra. Poi prese un’altra striscia di bozza e la matita blu, e mutò la parola ‘soprannaturale’ in ‘meraviglioso’ e l’espressione ‘abbattere’ con ‘reprimere’». L’automatismo di Nutt è talmente collaudato da correggere anche gli articoli che scarta dalla pubblicazione: «egli stracciò la copia e la gettò nel vasto cestino della carta straccia, ma non prima di aver meccanicamente e per pura forza d’abitudine mutato la parola ‘Dio’ in ‘circostanza’».

Se fosse stato per Nutt, l’articolo di Dreyfus sarebbe finito nel cestino della carta straccia pieno di segni blu a matita. Ma Sallusti non ha preso in mano la matita blu. E ne è nata una vera e propria esplosione. Come è giusto che sia. Ma adesso i giornali parlano di questo nuovo affare Dreyfus concentrando lo sguardo su argomenti come la libertà di stampa, la legge sulla diffamazione, il comportamento corretto o scorretto del reo-confesso Dreyfus Farina, il passato del signor Farina, la veridicità o meno dei fatti raccontanti in quell’articolo. Argomenti pertinenti, senza dubbio – e adeguatamente trattati dai competenti giornalisti scientifici.
Al dilettante giornalista artistico non resta che prendersi il gusto di indugiare un po’ nelle metafore. Tutta questa fiumana di prese di posizione, constatazioni, appelli, accuse sono come i frammenti sparsi di una bomba esplosa: c’è chi cavalca l’onda della discussione sullo strapotere dei giudici, chi ne approfitta per metterci in mezzo gli schifosi politici (che dalle magagne giudiziarie riescono sempre a sgattaiolare via), chi si premura di spiegare come sono andate realmente le cose in merito alla vicenda della tredicenne in questione e rassicura tutti arrivando alla constatazione che è stato solo un legittimo aborto.
I frammenti generati da una bomba sono diversi l’uno dall’altro, ma hanno questo in comune: sono centrifughi. Sono spinti altrove dal punto d’innesco. E io ho la sensazione che anche i nostri occhi in questi giorni siano stati un po’ distratti, portati a seguire piste secondarie ed effetti collaterali di un’esplosione. Ed è un tipo di esplosione che continuerà a esserci finché gli uomini preserveranno un briciolo di istintivo attaccamento alla loro natura. Tra i detti comuni – che sono sempre una fonte attendibile sulle cose davvero importanti – c’è quello per cui si dice ‘questione di vita o di morte’ volendo sottolineare l’urgenza di un gesto. Le questioni di vita o di morte sono e saranno sempre esplosive, costringeranno la gente a comportamenti estremi ed esagerati; Dreyfus e il giudice coinvolto sono d’accordo su questo: non si possono tirar fuori parole inerenti la vita e la morte alla leggera. Aborto, pena di morte, omicidio ci troveranno sempre ai ferri corti. Sono un innesco esplosivo e ci mettono a nudo.
Sono quelle eterne discussioni che vedono fronti contrapposti e inconciliabili: le evidenze intoccabili e le libere scelte della donna, il diritto a una morte onorevole e l’accettazione della vita in tutte le forme e i modi i cui si dà. Tutto questo darà sempre origine a reazioni scomposte. Non possiamo che augurarci di continuare a essere accalorati nel parlare di questioni di vita e di morte, a essere tediosi e ripetitivi nello scontrarci su queste cose, perché dal giornalista Chesterton io ho accettato questo suggerimento: «C’è una legge scritta nell’oscuro Libro della Vita ed è questa: se guardi una cosa per 999 volte, puoi stare perfettamente tranquillo; se la guardi per la millesima volta corri il serio pericolo di vederla per la prima volta» (da Il Napoleone di Notting Hill).
C’è quella millesima volta in cui un artificiere, pronto a disinnescare quella che crede una imprevista e non voluta bomba a orologeria, si accorge che – invece – è inequivocabilmente un bambino.

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