venerdì 29 maggio 2009

Azzurro, l'ultima fatica dell'amico Fabio Canessa



Fabio Canessa, caro amico e coprotagonista del Chesterton Day 2008, na dato alle stampe quest'opera interessante, di cui parla un altro nostro amico, Andrea Monda, in questo articolo che segue. Bravo, Fabio, bella prova!

L'editrice Donzelli presenta un saggio di Fabio Canessa sulla canzone cantata da Celentano su melodia di Paolo Conte di Andrea Monda

Nel novembre 2007 un sondaggio ha stabilito che la canzone italiana più cantata all’estero è “Azzurro”, seguita da “Volare” e “’O sole mio”. Fa dunque bene Fabio Canessa a intitolare il primo capitolo del suo libro su “Azzurro”, “Un altro inno nazionale”, che si conclude con l’affermazione secondo cui la famosa canzone, cantata da Celentano sulla melodia di Paolo Conte e le parole di Vito Pallavicini, è la trasfigurazione artistica più compiuta di un «ossimoro fertilissimo» che riesce a realizzare «la giusta alchimia per far emergere l’identità più autentica degli italiani, sempre miracolosamente in bilico fra ortodossia e trasgressione […] fra attaccamento alle radici e attrazione per i modelli d’oltreoceano, fra religiosità e disincanto, fra malinconia e umorismo, fra reale e surreale».

Inserito nella collana “Canzoni”, che l’editore calabrese Donzelli ha avviato qualche anno fa, il saggio di Canessa non solo è uno dei testi più piacevoli e interessanti tra quelli usciti di recente in Italia, ma è anche una buona occasione per riflettere sull’identità italiana, sulla storia degli ultimi 40 anni (la canzone esce a metà del fatidico 1968), sulla magia della musica, sull’importanza delle cosiddette «canzonette» e altro ancora. Il fatto è che Canessa non ha solo una scrittura che quasi ipnotizza il lettore, ma anche un bagaglio culturale di tale ampiezza da condurlo verso luoghi insospettati e inesplorati, proprio come fa la stessa canzone oggetto della sua indagine.

In “Azzurro” c’è l’oratorio ma anche il baobab e il leone, la malinconia di un pomeriggio «arci-italiano» ma anche un vago esotismo, insomma di nuovo l’ossimoro fertilissimo («l’Africa in giardino»). La «spensierata malinconia» è la linfa di questa canzone che, come nota Maurizio Bianchini, «appartiene a quel genere di canzoni che sono scritte dal proprio tempo più che da un autore empirico. Un po’ come “La vie en rose”, “Lili Marlene” o “Blowin’ in the wind”. Più che pregevoli canzoni, o belle canzoni, sono canzoni in cui è racchiuso lo spirito del tempo».

Il saggio di Canessa è strutturato con logica euclidea: presentazione della canzone, racconto biografico e artistico dei tre autori (Celentano, Conte, Pallavicini), analisi puntale e appassionata della canzone. All’interno di questa rigida architettura, Canessa si muove con padronanza fino alla temerarietà, come quando intuisce in Celentano una natura di «epigone di Chesterton» per l’allegria con cui entrambi si sono divertiti a rompere tutti gli schemi e le convenzioni del tempo volendo ricordare agli uomini che «sono ancora vivi». In questo «clima» troviamo perfino una citazione di Benigni che paragona Celentano ad «una via di mezzo tra Papa Giovanni e Brigitte Bardot» e, parlando proprio di “Azzurro”, afferma che «la bellezza è la moneta di Dio, non bisogna accumularla, bisogna farla circolare». È quello che ha fatto anche Canessa con questo curioso saggio, divertito e divertente.

"Azzurro", F. Canessa, Donzelli, p.115, 16 euro

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