Una delle risposte più profonde e sagge del controverso dottor Johnson era, credo, qualcosa del genere: «Beh, signore, in senso stretto il coraggio fisico non è una virtù cristiana. Tuttavia, un cristiano dovrebbe coltivarlo, perché chi ha perso quella virtù non potrà mai essere certo di conservarne altre».
Ma nella nostra epoca più raffinata non solo il coraggio non è definito cristiano, ma la codardia è addirittura definita cristianesimo. Motivi del tutto meschini, egoistici, materialistici e timidi sono considerati in qualche modo in linea con il Vangelo, purché portino alla pace e non alla guerra. Naturalmente, ogni cristiano, se è sano di mente, pensa che la pace sia meglio della guerra; e se il suo orrore per la guerra è compassione per i soldati feriti o indignazione per i diritti calpestati, è il sentimento di un cristiano e persino di un santo. Ma ciò di cui mi lamento è che questa superiorità spirituale è rivendicata dai pacifisti, le cui motivazioni sono elevate quasi quanto quelle di Falstaff quando fingeva di essere un cadavere sul campo di battaglia di Shrewsbury. Mantenere la pace per denaro può essere malvagio quanto fare la guerra per denaro. Questi retori possono definire la semplice opposizione fisica alla guerra un «progresso» nell'etica umana, ma a me sembra più una fuga che un progresso.
Gilbert Keith Chesterton, The Illustrated London News, 21 giugno 1913.

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