Aretusa fu una rivista letteraria e culturale uscita tra il 1944 e il 1946. Ebbe una vita breve inversamente proporzionale al respiro degli scopi che si prefisse, scopi di educazione del popolo dell'Italia liberata, di difesa della libertà e della democrazia, di interesse civile. Vi trovarono spazio gli scritti, oltre a quelli del Nostro Eroe, di Giorgio Bassani, Benedetto Croce, William Weaver, Corrado Alvaro, Walter Binni, Ugo Foscolo, Leone Ginzburg, Natalia Ginzburg, Vitaliano Brancati, André Breton, Italo Calvino, Delio Cantimori, Aldo Capitini, Giorgio Caproni, Giosuè Carducci, Pericle Fazzini, Federico García Lorca, Goethe, Gerard Manley Hopkins, James Joyce, Carlo Levi, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Geno Pampaloni, Cesare Pavese, Giaime Pintor, Marco Polo, Rilke, Carlo Salinari, Jean-Paul Sartre, Ignazio Silone, Paul Valéry, Elio Vittorini, per citare solo alcuni.
La sua vita fu comunque breve.
Detto questo, veniamo al dunque. Pangea, la "rivista avventuriera di cultura & idee", il 17 agosto 2022 ha riesumato questo brano di Chesterton, inserito nella rubrica "Note e documenti" del numero 2 di Aretusa.
Lo scritto è un estratto dal libro su Charles Dickens del 1906, ed è un mosaico di alcuni stralci del capitolo intitolato "The Dickens Period".
Ve lo propongo come ulteriore conferma della considerazione tutt'altro che trascurabile di cui godeva Chesterton in quei tempi nella nostra patria.
Marco Sermarini
Carlyle uccise gli eroi; dopo di lui non se n'è più avuti. Uccise l'eroico (che egli sinceramente amava) costringendo ogni uomo a farsi questa domanda: «Sono forte o debole?» La risposta di ogni onest'uomo (sì, anche di Cesare o Bismarck) sarebbe certamente: «debole». Egli chiedeva candidati per un aristocrazia definita, di uomini che potessero tenersi coscientemente sopra i proprii compagni. Ne fece, per così dire, la richiesta pubblicitaria; promise loro gloria, onnipotenza. Essi non sono ancora apparsi né appariranno...
Ma noi, del periodo postcarlyliano, siamo divenuti difficili in fatto di grandi uomini. Ogni uomo esamina se stesso, ogni uomo esamina il suo vicino per vedere se essi o lui si adeguino esattamente alla linea che si è tracciata della grandezza. La risposta è naturalmente: « no ». E più d' un uomo che avrebbe potuto essere un profeta maggiore è contento di chiamarsi un ‹poeta minore›. Siamo difficili da soddisfare e di scarsa fede. Possiamo a stento credere che esista quel che è un grande uomo. Essi (nel diciottesimo secolo) potevano a stento credere che vi fosse quel che si chiama un piccolo uomo. Ma noi non facciamo se non pregare che i nostri occhi possano contemplare la grandezza, invece di pregare che i nostri cuori ne siano riempiti. Cosí, per esempio, il Partito Liberale (al quale io appartengo) nel suo periodo di esilio andava dicendo ‹ Oh, se avessimo un Gladstone » e simili. Era un andar sempre chiedendo di essere rinforzati dall'alto, invece di rinforzarci noi stessi dal basso con la nostra speranza, e con la nostra collera e con la nostra gioventù. Ognuno attendeva un capo. Ogni uomo dovrebbe aspettare un'opportunità di guidare.
Se un dio discenderà sulla terra, esso discenderà innanzi agli occhi dei valorosi. Le nostre proteste e le nostre litanie non valgono nulla; le nostre lune nuove ed i nostri sabbati sono delle abominazioni. Il grande uomo verrà quando tutti ci sentiremo grandi, non quando tutti noi ci sentiamo piccoli. Egli apparirà in un qualche splendido momento in cui tutti sentiremo che potremmo• fare a meno di lui. G. K. CHESTERTON
Nessun commento:
Posta un commento