lunedì 1 giugno 2015

Il pozzo e le pozzanghere, di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

"Il mondo è come lo videro i santi e i profeti, non sta andando né meglio né peggio. Il mondo fa sempre e soltanto una cosa sola: traballa. Lasciato a se stesso non va da nessuna parte".

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Nella difesa della Chiesa cattolica e delle sue tradizioni, Gilbert Keith Chesterton aveva individuato nel pozzo un'immagine che contrastava con le pozzanghere della società secolarizzata. Già nel precedente romanzo, "Le avventure di un uomo vivo",  s'era scagliato contro la superficialità culturale delle pozzanghere, attaccando tutte quelle sterili istituzioni accademiche e la loro parvenza di profondità, un po' come le pozze d'acqua che vivono di luce riflessa ma che in realtà non hanno spessore.

Nella raccolta di saggi del 1935, "Il pozzo e le pozzanghere", lo scrittore londinese, molto umilmente, avvisava che sulla natura umana ferita dal peccato originale non bisognava porre estrema fiducia: "C'è un unico piccolo difetto nell'uomo, immagine di Dio, meraviglia del mondo e modello per gli esseri animali; di lui non ti puoi fidare". Cosa intendeva dire Chesterton? Lo spiegava poche pagine dopo, indicando nel pozzo della Chiesa e nel faro della Sua luce la strada per la salvezza: "Nel cuore della cristianità, nella testa della Chiesa, al centro della civiltà che ha nome cattolicesimo si trova la cristallizzazione del senso comune, delle vere tradizioni e delle riforme razionali…". Per Chesterton il rapporto Chiesa-mondo non poteva essere ribaltato ed alla Chiesa spettava l'Autorità e il giusto ruolo di non lasciare che il mondo traballasse, lasciandolo in balìa di se stesso: "Prima di tutto bisogna ricordare che la Chiesa è sempre avanti rispetto al mondo. Questo è il motivo per cui si dice che non è al passo con i tempi". 

Egli sottolineava l'importanza di distinguere il pozzo dalle pozzanghere, la Chiesa dal mondo, rimarcando l'efficacia del Magistero nel ribadire la Tradizione della Verità contro le tradizioni scettiche del dubbio: "Quelli che abbandonano la tradizione della verità non fuggono verso quella cosa che chiamano libertà. Fuggono tra le braccia di qualcos'altro, che noi chiamiamo moda". Ed aggiungeva, lamentando il triste cammino di un'umanità folle che vagava senza luce ed abbeverandosi alle fonti di acque impure, non attingendo dal sacro Pozzo: "Lasciando il tempio ci incamminiamo in un mondo di idoli, e gli idoli del mercato sono più fragili e passeggeri degli dèi del tempio che abbiamo lasciato". 

Cosa avremmo dovuto fare, secondo il pensatore cattolico inglese, per ritornare a comprendere gli errori commessi? Egli incitava alla consapevolezza ed alla buona battaglia in difesa della fede e della ragione: "Noi abbiamo fatto molto meno di quanto avremmo dovuto per spiegare l'equilibrio di raffinatezza e ragionevolezza prodotto dalla civiltà cristiana…Un mondo in cui gli uomini sanno che la maggior parte di ciò che sanno è probabilmente falso, non è nemmeno degno di essere chiamato scettico; esso è semplicemente un mondo abietto e impotente, che non combatte per nulla…Non ci sfiorava nemmeno il pensiero che il semplice rinnegamento dei nostri dogmi avrebbe portato a un'anarchia così disumana e demente". 

Non è forse quest'anarchia così disumana e demente che imperversa al giorno d'oggi con il rinnegamento, insieme ai dogmi, della legge naturale, della famiglia come unione sponsale tra un uomo e una donna? Non aveva Chesterton colto nel segno ottanta anni fa? Cosa indicava per risalire alla Verità? Lo faceva con un serio esame di coscienza rivolto a se stesso: "Non potrei abbandonare la fede, senza ricadere dentro qualcosa di più vuoto della fede. Non potrei smettere di essere cattolico, senza diventare una persona dalla mentalità più ristretta…Ci siamo allontanati dalle pozzanghere e dai greti inariditi, in direzione dell'unico pozzo profondo: la Verità è nel fondo del pozzo".

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