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venerdì 28 dicembre 2012

Un aforisma al giorno

«Gli uomini non differiscono molto su ciò che chiamano male. Differiscono enormemente su quali mali definiranno scusabili».

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 23.10.1909

Un aforisma al giorno

«I dogmi non sono scialbi e non lo sono nemmeno quelle che si chiamano sottili distinzioni dottrinali. Assomigliano alle più complesse operazioni chirurgiche che separano nervo da nervo per ridare la vita»

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno


«E' l'unico argomento dell'autorità genitoriale. Nel trattare con i fanciulli abbiamo il diritto di imporci perché se usassimo la persuasione rovineremmo l’infanzia».

Gilbert Keith Chesterton, La serietà non è una virtù

Un aforisma al giorno (insuperabile, attualissimo)

«Il mondo offre in realtà alla Chiesa Cattolica l'omaggio supremo di non tollerare che essa tolleri nemmeno l'ombra di quei mali che il mondo ammette in qualsiasi altra istituzione».

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno (attualissimo, no? ma ancora nessuno si decide a farlo seriamente..)

«Non si tratta più di liberarsi da re, capitani e inquisitori, ma il punto fondamentale è riuscire a liberarsi degli slogan, dai titoli dei giornali, dalle ripetizioni ipnotiche e da tutti gli stereotipi plutocratici imposti dalla pubblicità e dalla stampa».

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno (e adesso vediamo che dirà qualcuno…)

«Ciò che per il cattolicesimo rappresentò la morte diede invece vita al capitalismo».

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno

«Il mondo si troverà sempre più in una posizione in cui perfino i politici e gli uomini che esercitano una professione si troveranno a dire: "Se il Papa non esistesse, bisognerebbe inventarlo"»

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Aurel Kolnai, un'altra "vittima" di GKC

Kolnai nacque a Budapest, la capitale dell'Ungheria, da genitori ebrei per trasferirsi a Vienna prima dei vent'anni allo scopo di iscriverò all'università.

Lì studiò filosofia e fu attratto dal pensiero di Brentano e dalla fenomenologia si Edmund Husserl. Nel 1926 si laureò summa cum laude e nello stesso giorno si convertì al cattolicesimo per l'influenza giocata su di lui dal nostro Gilbert, che Kolnai definì "un brillante anche se non sistematico, fenomenologo dell'esperienza comune" (D. J. Mahoney, "The Recovery of the Common World: An Introduction to the Moral and Political Reflection of Aurel Kolnai." Privilege and Liberty and Other Essays in Political Philosophy. Lexington Books: Latham, Maryland. 1999, pag. 2). Altrove dirà: "Sono stato vinto al cattolicesimo largamente, se non principalmente, dalla saggezza e dall'arguzia di G. K. Chesterton".

Kolnai morì nel 1973.

lunedì 24 dicembre 2012

Annalisa Teggi su Tempi


Dove Dio fu senza un tetto, 

tu e io siamo a casa. 

Poesia di Natale di G. K. Chesterton

Una miriade di luci illuminano le nostre strade e soprattutto 
le nostre case in questo periodo. E dicono che è festa perché la luce 
è entrata in casa nostra. 
Abbiamo bisogno di paradossi come quelli che scriveva il signor Chesterton 
per poter guardare le cose vere con occhio strano quanto basta per continuare a meravigliarci,  
di giorno in giorno, di anno in anno. 
Tra le molte poesie sul Natale che Chesterton scrisse, questa, che riporto 
con una mia traduzione scritta per questa occasione, 
ci porta dentro quella capanna di Betlemme 
e ce la fa guardare una volta di più con occhi incuriositi: 
solo là dove Dio fu senza un tetto, tu ed io siamo a casa.

Laggiù  una madre senza posa camminava,
fuori da una locanda ancora a vagare;
nel paese in cui lei si trovò senza tetto,
tutti gli uomini sono a casa.
Quella stalla malconcia a due passi,
fatta di travi instabili e sabbia scivolosa,
divenne qualcosa di così solido da resistere e reggere
più delle pietre squadrate dell’impero di Roma.
Perché tutti gli uomini hanno nostalgia anche quando sono a casa,
e si sentono forestieri sotto il sole,
come stranieri appoggiano la testa sul cuscino
alla fine di ogni giornata.
Qui combattiamo e ardiamo d’ira,
abbiamo occasioni, onori e grandi sorprese,
ma casa nostra è là sotto quel cielo di miracoli
in cui cominciò la storia di Natale.
Un bambino in una misera stalla,
con le bestie a scaldarlo ruminando;
solo là, dove Lui fu senza un tetto,
tu ed io siamo a casa.
Abbiamo mani all’opera e teste capaci,
ma i nostri cuori si sono persi – molto tempo fa!
In un luogo che nessuna carta o nave può indicarci
sotto la volta del cielo.
Questo mondo è selvaggio come raccontano le favole antiche,
e anche le cose ovvie sono strane,
basta la terra e basta l’aria
per suscitare la nostra meraviglia e le nostre guerre;
Ma il nostro riposo è lontano quanto il soffio di un drago
e troviamo pace solo in quelle cose impossibili,
in quei battiti d’ala fragorosi e fantastici
che volarono attorno a quella stella incredibile.
Di notte presso una capanna all’aperto
giungeranno infine tutti gli uomini,
in un luogo che è più antico dell’Eden
e  che alto si leva oltre la grandezza di Roma.
Giungeranno fino alla fine del viaggio di una stella cometa,
fino a scorgere cose impossibili che tuttavia ci sono,
fino al  luogo dove Dio fu senza un tetto
e dove tutti gli uomini sono a casa.


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Un altro modo per dirvi Buon Natale

Questa canzone natalizia l'ha scritta Frances Blogg in Chesterton, moglie di Gilbert.
Il titolo è "How far is it to Bethlehem", la musica è quella di una canzone tradizionale inglese.

Il video, fatto da un'amica della Società Chestertoniana Americana, rappresenta bene come si volevano bene Gilbert e Frances e quanto fosse importante Gesù Bambino nella loro vita (facevano ogni anno un'epica festa a casa loro per tutti i bambini di Beaconsfield, tra l'altro, e Gilbert faceva dei numeri pazzeschi e i bambini non volevano tornare più a casa...).

Che questo affetto ci appartenga!

Buon Natale, carissimi amici.



Carissimi Amici, Soci e Simpatizzanti,

voglio farvi gli auguri di Buono e Santo Natale, e voglio farveli a nome di tutta la Società con un breve brano suggeritomi dall'amico americano Spencer Howe (Spencer e Angelo Bottone sono gli unici soci che vantano la doppia appartenenza, il primo alla Società Americana e a quella Italiana, il secondo a quella Irlandese ed Italiana).

E' una lettera di GKC al Tablet di Londra in cui si parla della sua (e anche mia!) provata e giustificata fede in Babbo Natale.

E' l'occasione per ringraziarvi di tutto, della vostra amicizia, dell'amicizia che ci scambiamo e condividiamo sotto l'ala protettrice del nostro caro Gilbert, quell'amicizia che punta sempre all'Obiettivo che festeggiamo in questa splendida festa. L'anno che viene è gravido di belle cose, tra cui (lo preannunciamo si da ora! Tenersi liberi!) un bel convegno a Roma in Marzo con gli amici della Società Chestertoniana Americana ed il gemellaggio tra la Chesterton Academy di St. Paul, Minnesota e la Scuola Libera "G. K. Chesterton" di San Benedetto del Tronto, opere educative che si ispirano nel nome ma soprattutto nello spirito al grande Gilbert.

Che il Natale ci ispiri sentimenti di gioia e di bellezza e quel sano buonumore necessario a far sventolare la Bandiera del Mondo come voleva Gilbert (vedi Ortodossia), perché se Dio è venuto in questo mondo a farsi Uomo, vuol dire che questo mondo può essere amato e noi dobbiamo lottare perché somigli sempre più a Chi l'ha fatto.

«Quello che mi è successo è l'opposto di quello che sembra essere l'esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. E' successo in questo modo. Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono - lungi da me! 
E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano "Santa Claus" era benevolmente disposto verso di me... Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente. E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l'idea.
Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.
Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi dollari e qualche biscotto. 
Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.
Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza.
Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all'origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l'ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà».

Gilbert Keith Chesterton, lettera a The Tablet of London

Auguri a tutti! Evviva Gesù! Evviva Gilbert!

Marco Sermarini, presidente SCI
&
La Segreteria Volante

sabato 22 dicembre 2012

Così Chesterton convertì McLuhan

Pochi sanno (ma i lettori di questo piccolo blog sono tra i pochi!) che Marshall McLuhan era cattolico e dovette la sua conversione proprio a Chesterton per esplicita ammissione.
Altre notizie le trovate sul nostro blog (basta usare il motore di ricerca interno, qui in alto), ma vi proponiamo un'intervista a  Derrick de Kerckhove, uno dei massimi massmediologi al mondo.

http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_paginat0?id_pagina=21197&limite_id_sezione=0&limite_id_sito=0&target=0&rifi=&rifp=

venerdì 21 dicembre 2012

Un aforisma al giorno

"Mantenersi un uno stato di rivolta richiede buon umore".

Gilbert Keith Chesterton, L'imputato

Un aforisma al giorno

"Ciò che in generale impedisce di vedere le cose nel loro splendore è una memoria monotona".


Gilbert Keith Chesterton, L'imputato 

giovedì 20 dicembre 2012

Un aforisma al giorno (scusate ma va anche nella rubrica "Chesterton è attuale", o no?)

"Socialismo e Capitalismo oggi sono fondamentalmente la stessa cosa. Mirano entrambi al controllo di una nazione servile per mezzo di una classe burocratica, centralizzata; il che significa, naturalmente un controllo finanziario centralizzato".

Gilbert Keith Chesterton

mercoledì 19 dicembre 2012

Il paradosso della grotta - di Fabio Trevisan



A Natale si contempla il paradosso della grotta, ovvero di un Dio Signore dei Cieli  e della Terra che si è fatto Uomo piccolo, nascosto e protetto nel grembo santissimo di Maria, senza guardie del corpo né sontuosi troni regali. Il pagliericcio pregno di umori animali fa da cuscino al suo capo sotto lo sguardo tenero e apprensivo di San Giuseppe: così indifeso, così incapace se non di piangere, è un Dio che si affida alle cure terrene dell’uomo come un qualsiasi bambino. Come ricorda suggestivamente Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) nel saggio L'Uomo eterno, il bambino Gesù riassume lo scherzo paradossale di un Dio le cui mani che avevano fatto il sole e le stelle erano troppo piccole per arrivare alle grosse teste degli animali (il bue e l’asinello nell’iconografia ideale del presepe). Come è potuto accadere questo ? Come questo mistero incarnato sia potuto passare attraverso un mirabile e santo Fiat di una Sua creatura ? Difficile penetrare ed esaurire razionalmente questo potente mistero: la ragione, senza tuttavia smettere di argomentare, non può che farsi illuminare dalla luce della fede come una fiaccola in una caverna a Betlemme portata innanzi dagli umili pastori. Un Dio così umile, così infinitamente piccolo rivela in questo modo strabiliante la Sua grandezza e propone così, in questo modo apparentemente banale e semplicemente terreno, la Sua àncora di salvezza. Non è così naturale ed immediato, se non con l’avvento di Gesù, mettere in relazione Dio con un infante. Faceva notare ancora Chesterton che l’onnipotenza e l’impotenza, la divinità e l’infanzia, formano in definitiva una sorta di epigramma che un  milione di ripetizioni non farà diventare banale. Non è sragionato chiamarlo unico. Betlemme è superlativamente il luogo in cui gli estremi si toccano.
Noi fedeli cristiani chiediamo a Natale di poter scorgere i tratti di questo Uomo chiamato Cristo e lo chiediamo alla Madre, a Maria con il beneplacito di Giuseppe suo sposo. Molti Santi più degnamente di noi lo hanno chiesto e qualcuno di loro è stato esaudito al punto che la premurosa Madre ha acconsentito di metterLo nelle loro braccia e di poterLo cullare e contemplare. Questo è potuto accadere poiché, citando ancora Chesterton, non potete visitare il figlio senza visitare la madre; non potete, nella comune vita umana, avvicinare il bambino senza avvicinare la madre. Dobbiamo o lasciare Cristo fuori del Natale, o il Natale fuori di Cristo, o dobbiamo ammettere che quelle sante teste son troppo vicine perché le aureole non debbano insieme confondersi e sovrapporre. Il centro della nostra attenzione, Gesù bambino, assume un angolo visivo più allargato che l’immaginazione cattolica ha colto in ogni particolare presepe: quel piccolo Essere divino nella culla ci fa abbracciare l’intera umanità dei poveri peccatori che implorano in adorazione il perdono e credono in quel potente paradosso avvenuto nella grotta. Possiamo e dobbiamo aggiungere qualcosa di autentico e di personale nella nostra rappresentazione sacra del presepe poiché noi tutti siamo chiamati a rendere presente quel Santo mistero nella nostra vita. Lo dobbiamo fare con solerzia e solenne tranquillità, consci che quella che sarà la nostra proiezione natalizia avrà una felice ripercussione, un riverbero del Bene che abbiamo ricevuto visitando quella povera stalla, stando davanti a quei piccoli piedi ed a quelle piccole mani che tanto hanno amato il Creato. Sarà un fantastico e prodigioso incanto che potrà liberare un mondo che si è costruito con l’illusione di poter fare a meno di Lui e che ne ha pagato le tristi conseguenze anche sociali. Gesù bambino, con la Sua divina umanità, ci sorprende ancora ed attende che noi umilmente ci prostriamo ai Suoi piedi per poter cogliere quel Suo Regale abbassamento, aprendoci così alla prospettiva di un vero mondo nuovo. Come espresse efficacemente lo scrittore londinese citato precedentemente: “Cristo non soltanto era nato allo stesso livello dell’umanità, ma anche più basso. Il primo atto del dramma divino non solo non fu recitato su nessun palco posto al di sopra degli spettatori, ma in un oscuro palco col sipario calato … nel Mistero di Betlemme era il cielo che stava sotto la terra”.
In questo straordinario mondo capovolto dove la prospettiva celeste si coglie abbassando umilmente lo sguardo, lo spettacolo della Sacra Famiglia non avviene sul palcoscenico mondano. I Santi Attori di questa Sacra Rappresentazione non si dispongono in alto, sopra i nostri occhi, come in una comune piece teatrale, per ricevere il nostro plauso ammirato. Se ci sediamo, come a teatro, aspettando che il Miracolo di Betlemme venga rappresentato su un palcoscenico attendiamo invano come degli spettatori ingenui e sprovveduti. La nostra posizione e disposizione d’animo deve essere, come nella prospettiva cristiana del Natale, capovolta. Capovolta come Colui che ha voluto capovolgere il mondo, confondendo i sapienti che attendevano il trionfo del Re sul palcoscenico del mondo. Con lo scrittore di Beaconsfield possiamo ancora affermare il paradosso della caverna che, mentre ci suscita emozioni di una fanciullesca semplicità permette che i nostri pensieri possano abbracciare una complessità senza fine … Il Natale è diventato una cosa, in un certo senso, semplicissima ma, come tutte le verità della tradizione cristiana esso è, in un altro senso, una cosa assai complessa. La sua unica nota è che esso tocca simultaneamente molte note: umiltà, gaiezza, gratitudine, paura mistica, e anche attesa drammatica … C’è in questa divinità sotterranea come un’idea di minare il mondo; c’è in questa strana storia come l’erompere del cielo: d’ora innanzi le idee più alte non potranno agire che dal basso. Apprestiamoci ad assaporare il lieto annuncio facendoci sorprendere come i bambini, lasciandoci confondere dal paradosso della grotta in cui il Re divino ha scelto liberamente di presentarsi al mondo nascondendosi: nascondendosi nelle pieghe delle vesti della Madre, nel mantello del Suo Custode San Giuseppe. Invano sarebbe attenderLo in altro modo, invano sarebbe cercarLo, come nel teatro mondano, su palcoscenici umani dove sarebbe impossibile trovarLo. Il cristiano che, come i pastori o i Magi, cerca qualcosa a Betlemme non dimentica mai che sta combattendo. Proclama la pace in terra, ma giammai dimentica perché ci fu guerra in cielo.


FABIO TREVISAN

Il nostro Fabio Trevisan recensisce "Ci salveranno le vecchie zie" di Gnocchi & Palmaro

CI SALVERANNO LE VECCHIE ZIE

 

Con questo interessante saggio ("Ci salveranno le vecchie zie"- Edizioni Fede&Cultura), Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro inaugurano la collana dei libri del ritorno all'Ordine, che ha il merito di offrire una vasto panorama di critica alla modernità nel riconoscimento della Tradizione della Chiesa Cattolica. Fin dal prologo, gli Autori rispondono positivamente all'interrogativo posto da Leo Longanesi nel 1953 ("Ci salveranno le vecchie zie ?"), affermando che la Tradizione va salvaguardata soprattutto da chi la vive quotidianamente, ovvero da chi custodisce, come le vecchie zie, l'Ordine delle cose con pazienza, amore, tenacia, sacrificio e fede.

Citando San Vincenzo di Lerino ("Bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato ciò che in ogni luogo, sempre e da tutti è stato creduto"), Gnocchi e Palmaro rilevano quanto del ricco patrimonio tradizionale sia andato perduto nella moderna società secolarizzata, che ha  posto il passato e i suoi strumenti sotto una campana di vetro, rendendoli così intangibili al servizio della vita quotidiana. Perso così l'esercizio costante del sensus Traditionis, ovvero il lavoro per ricostruire il senso comune nella quotidianità, vivere la Tradizione può divenire impresa eroica o forsennata, come argutamente attesta l'espressione efficace sans papiers de l'Eglise coniata dagli Autori. Cosa fare per ripristinare l'Ordine nel quotidiano, la Tradizione nella vita ordinaria in un quadro corrotto dal neomodernismo ?

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro rispondono innanzitutto con il vecchio e saggio adagio: "Bisogna armarsi di santa pazienza" recuperando, con le loro stesse parole, monconi di vestigia tradizionali , dando loro forma organica, unitaria il tutto con amorevole cura e mai rassegnata fiducia. In secondo luogo, indicano gli Autori, vanno evitati sterili intellettualismi che rendono incapaci di parlare al prossimo, in totale assenza di carità; vanno altresì incoraggiati tutti quei tentativi che recuperino ad esempio quel senso naturaliter cattolico per la liturgia che alberga nel cuore dell'uomo, per ricondurlo, con l'aiuto della Grazia, a casa, nel seno della Verità della Chiesa Cattolica. Risvegliare così il sensus fidei dei fedeli ordinari è compito grandioso che, anche alla luce del Magistero della Chiesa, assume un valore inestimabile; riportare la naturalezza e la familiarità della fede nella Tradizione quotidiana significa, al di là e al di più di mille elucubrazioni, trasmettere agli uomini di ogni tempo la continuità della bellezza e della schiettezza del vivere feriale, permettendo così di assaporare la genuinità e la verità dell'essere cristiani. La difesa di questi legami invisibili tra Cielo e terra, tra Creatore e creature, è compito degli autentici restauratori dell'Ordine divino nel quotidiano ed è impreziosita dagli Autori con stupende citazioni tratte da Antoine de Saint-Exupéry, Charles Peguy e Giovannino Guareschi; di quest'ultimo viene riportato lo straordinario brano in cui Don Camillo viene illuminato dal Cristo crocifisso per la salvaguardia del seme della fede contro il deserto spirituale mondano.

Facendo proprio il memorabile invito di Padre Pio: "Fate i buoni cristiani", Gnocchi e Palmaro rammentano che l'affermazione di Padre Pio, oltre che ad essere una di quelle misericordiose perle tratte dal tesoro della comunione dei santi, risponde ad un mondo che ha bisogno di conversione, a partire evidentemente dalla propria: per convertire un mondo che non adora si esigono persone che adorano, per parlare a un mondo che non si umilia ci vogliono persone che si umiliano. Citando anche Georges Bernanos e la vicenda delle suore carmelitane martiri durante la Rivoluzione francese a Compiègne, gli Autori riprendono la critica alla modernità, che ha reso sempre più difficile la preghiera e quindi ha portato all'oscuramento della Presenza Reale del Santissimo, dell'Eucaristia e della divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.

Non solo, anche il linguaggio, osservano i due Autori, esprime la caduta dal piano ontologico (che riguarda l'essere) a quello psicologico (che riguarda il percepire): linguaggio che così esprime il primato del soggettivo sull'oggettivo e che perde il reale contatto con la verità delle cose (ravvisabile sia in  senso liturgico che nel comune rapporto con il prossimo). Mirabile e commovente, con le parole di Guareschi, il finale del capitoletto Lacrime che salgono verso il Cielo, laddove gli Autori riflettono sulla tenerezza del Signore che si fa figlio dell'uomo fino alla lacrima che riga con un filo d'argento il legno nero della croce … specchio di una delicata armonia tra la gravità del mondo e la levità della Grazia.

Nella seconda parte del saggio, Gnocchi e Palmaro indicano con audacia i nemici e gli ostacoli che si frappongono frequentemente a colui che vorrebbe preservare la Tradizione e qui lo stuolo di avversari si allarga inequivocabilmente. Gli Autori non celano nomi e situazioni, come nella vicenda sconcertante legata alla morte del Card. Martini ed alla sua "indebita canonizzazione" anche da parte di molto mondo cattolico ed alle strumentalizzazioni rese possibili dall'ambiguità teologica dell'ex arcivescovo di Milano (di cui la proposta eutanasica sul fine vita da parte del parlamentare del Partito Democratico Furio Colombo, intitolata proprio "Legge Martini").

Oltre all'enumerazione delle eresie che contraddistinguono la nostra epoca, il saggio ha il pregevole merito di indicare nella laicità e nel suo linguaggio uno degli aspetti più sconosciuti dell'azione del Maligno. Con le parole dello scrittore canadese Marshall McLuhan, come osservano  Gnocchi e Palmaro, si delineano acutamente gli strumenti di distruzione del senso comune cattolico: "La Chiesa (con l'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg) in quel periodo è stata distrutta o smembrata da un incidente storico banale, cioè dalla tecnologia". Il monito non ha ovviamente alcuna valenza anti-scientifica ma si pone all'attenzione per un'avveduta riflessione sulla portata e sull'impiego del mezzo comunicativo: "Il mondo stampato è visivo … Lutero e i primi protestanti, uomini della scuola che sapevano leggere, hanno trasferito il vecchio metodo di discussione scolastica sul nuovo ordine visivo: hanno utilizzato la recente scoperta della stampa per incrementare la frattura che li opponeva alla Chiesa romana". Sempre McLuhan, nel saggio Il microfono e la liturgia spiegava come l'utilizzo della tecnologia avesse portato alla perversione della liturgia: "Molte persone lamenteranno la scomparsa della Messa in latino dalla Chiesa cattolica, senza capire che in realtà è stata vittima del microfono posto sull'altare". Attraverso le parole dello studioso canadese, Gnocchi e Palmaro hanno posto in debita considerazione il ridursi dello spazio sacro in quantità e qualità, laddove l'altare, luogo del sacrificio di Cristo, cessa di essere il punto focale del manifestarsi del mistero. La profanizzazione del Tempio, come anche quella del corpo umano, non permette così alla persona di capire di dipendere, con le parole degli stessi Autori, da Qualcuno di più grande.

Dalla devastazione dell'ortodossia, garanzia di una corretta ortoprassi, derivano ultimamente tutte le mode transeunti che passano fenomenologicamente dal "cattolaico" al "cattocomunista", dal "neopauperista" (che veste Prada) al progressista "comuncattolicista", secondo le esilaranti e pertinenti attribuzioni coniate da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.

Emerge così un triste (in quanto eretico) e comico (in quanto superficiale) campionario  di posizioni che sintetizza il brillante ed umoristico detto: "Poche idee ma confuse".

Nella terza e conclusiva parte gli Autori indicano con lucidità e fermezza l'antidoto alla dissoluzione del cattolicesimo, che è il recupero di una saggezza che associa il corpo al suo destino eterno. Con Padre Pio, che ha portato sul suo corpo i segni dolorosi della conformazione a Cristo, gli Autori hanno voluto indicare un testimone della Tradizione mostrata fin nei segni delle stigmate … di cui non c'è traccia di odio per il proprio corpo. Con un altro grande apologeta della fede, Gilbert Keith Chesterton, gli Autori hanno voluto, come con le vecchie zie, mostrarci come tutto vada curato, amato, protetto, perché tutto dono di Dio. Contro i tic ed il logorio della cultura moderna ammalata di psicologismo, sociologismo ed intellettualismo occorre ritornare al realismo incantato di un Giovannino Guareschi in cui la parola è divenuta intimità con il mistero ed introduce ad una sapienza soprannaturale. Occorre ritornare ad una "visionarietà ragionevole" di Chesterton in cui la virtù della logica è applicata ai principi eterni o ad un' "epica fiabesca" di Tolkien in cui si assapora il vero ritorno a casa, perché si ha sperimentato (come l'hobbit Samvise Gamgee) che nel mondo c'è qualcosa di sacro e di grande. O come nelle parole del grande scrittore cattolico Eugenio Corti che, alla domanda come fece a mantenere la fede durante la guerra, rispose: "Ho salvato la fede perché senza la fede non si vive".

Nell'Epilogo del saggio gli Autori hanno ravvisato e confermato, nelle vecchie zie, coloro che hanno avuto la capacità amorevole di serbare ciò che conta poiché quando lo sguardo riposa nelle cose del Cielo diventano riflesso celeste anche quelle della Terra.

 

L'articolo di Alberto Friso su JRRT

Qui il testo completo dell'articolo di Alberto Friso su Tolkien, da Il Messaggero di Sant'Antonio: 

Paolo Gulisano su Lo Hobbit (ma ovviamente ci scappa un po' di GKC...)



Intervistiamo l'amico Paolo Gulisano: profondo conoscitore delle opere di J.R.R Tolkien, nonché Vice Presidente della Società Chestertoniana Italiana, autore di libri sull’Irlanda, la Scozia, C. S. Lewis, Wilde, padre MacNabb, Newman, i martiri messicani Cristeros e tanto altro ancora, ha pubblicato di recente il saggio “La mappa de Lo Hobbit” (edizioni Ancora), insieme all'artista ed illustratrice Elena Vanin (conosciuta anche come abile artigiana, realizzatrice delle famose “orecchie da elfo”) Abbiamo chiesto a Paolo di aprirci una finestra introduttiva a questa sua opera, che esce proprio mentre nei cinema arriva la pellicola di Peter Jackson che apre una nuova trilogia cinematografica:

Di questo libro incuriosisce subito il titolo: “La mappa de Lo Hobbit”, e la copertina, raffigurante una bianca strada che si inerpica nei meandri di una misteriosa montagna, e che sembra invitare il lettore a compiere un viaggio di scoperta..e come ogni viaggio che si rispetti, tu e la coautrice Elena Vanin, dotate il lettore di una mappa illustrata, contenuta nella seconda di copertina, veramente molto suggestiva. Ci puoi aiutare a capire il significato simbolico di questa Mappa nel percorso narrativo che proponete ?

La Terra di Mezzo, il mondo dove Tolkien colloca le vicende degli Hobbit, è un mondo complesso, che Tolkien descrisse con meticolosa precisione. Un mondo pieno di località, di fiumi, di montagne, di boschi, dai nomi a volte elfici, a volte umani. Un mondo affascinante in cui inoltrarsi, magari con l’aiuto di una buona mappa, e di una buona guida.  Per questo il libro è stato pensato come una “guida per viaggiatori” e corredato da una bellissima e dettagliata carta. Lo Hobbit, inoltre, è la storia di un viaggio, un viaggio vero e proprio, ma anche un itinerario simbolico.   I protagonisti, almeno per ora, devono fronteggiare mali minori, anche se non meno insidiosi.
Il loro cammino si rivela infatti da subito pieno di insidie: il tragitto è molto lungo e la compagnia deve sempre seguire un sentiero senza mai deviare, pena lo smarrimento della giusta via.
E’ la metafora del viaggio come simbolo della condizione umana, una condizione di cerca, di percorso aspro e difficile, non senza echi evangelici: chi abbandona la Via della Salvezza, che è un sentiero duro e stretto, si perde e perde la sua vita.
Tuttavia in questa impresa, così come nella stessa condizione umana, è dato di perdersi e ritrovarsi molte volte; fino a quando non si finisce definitivamente in un baratro mortale, è sempre data la possibilità di ritrovare il giusto sentiero, magari con l’aiuto di qualcuno, di un amico. Bilbo e i Nani si perderanno più volte, ma sarà l’arrivo di Gandalf o di qualche altro provvidenziale aiuto che li trarrà dai pasticci.Il tema principale della storia si fa, pagina dopo pagina, sempre più chiaro: la crescita e la maturazione del protagonista, Bilbo Baggins. Il viaggio per recuperare il tesoro, quello strano incarico di scassinatore conferitogli da Gandalf, rappresenta la possibilità che il destino gli ha offerto per cambiare, per diventare un eroe.

Nel primo capitolo del tuo saggio l'attenzione è focalizzata a guidare il lettore nel comprendere l'originalità della figura de Lo Hobbit, la creatura più originale nata dalla penna di Tolkien... così diversa dagli eroi nordici come Sigfrido a cui la letteratura nordica ci aveva abituato. Ci puoi aiutare a capire meglio i tratti distintivi degli abitanti della Contea, così cari al professore di Oxford?  

Nel 1944, al figlio Christopher in procinto di partire per la guerra, Tolkien scriveva: “Conserva nel tuo cuore la tua hobbitudine, e pensa che tutte le storie sono così. Tu sei dentro una storia molto grande.”  E’ una frase straordinaria, considerate anche le circostanze in cui venne scritta. Tolkien parla ad un figlio ormai adulto della hobbitudine”, una condizione da non smarrire, da conservare nel proprio cuore. E’ la condizione di chi ha gioia di vivere, ma anche consapevolezza del male da affrontare. Di chi ha uno sguardo pieno di meraviglia e gratitudine verso la realtà. Gli Hobbit che l’autore ci descrive non sono creature perfette: hanno tanti limiti e difetti, ma le loro virtù- soprattutto coraggio e umiltà, e spirito di sacrificio- erano quelle che il professore di Oxford più ammirava.

Quando, all'inizio della storia l'inaspettato (rappresentato da Gandalf e dall'arrivo dei nani nella tranquilla dimora dello hobbit) prorompe con forza nella vita di Bilbo Baggins, mi è venuto in mente il paragone con l'episodio dell'Antico Testamento in cui Dio chiede ad Abramo di uscire dalla sua terra e dalle sue sicurezze, per rispondere ad una chiamata più grande. Puoi parlarci della crescita e maturazione che Bilbo e i nani incontrano lungo la via che Bosco Atro li porterà alla Montagna Solitaria

Come poteva un personaggio tranquillo, pacioso, per nulla incline alle avventure, come Bilbo Baggins, diventare un eroe e dare una svolta decisiva alla storia della Terra di Mezzo? Semplicemente rispondendo ad una chiamata. Gandalf il mago che all’inizio sembra un vecchietto un po’ stordito; Gandalf degli Istari, coloro che hanno avuto il compito da Ilùvatar, Dio, di custodire e consigliare gli uomini. Gandalf stregone, Gandalf Angelo Custode, così simile a figure del mondo leggendario celtico, come Mago Merlino, il mèntore di Re Artù, ma anche simile ai primi santi eremiti delle Isole Britanniche, esponenti di quel Cristianesimo Celtico delle origini, appassionato e assetato di Assoluto. Forse il segreto di Gandalf può risiedere nell’etimologia del suo essere stregone, in inglese Wizard, che deriva da Wise, saggio. Gandalf non è un mago vero e proprio, come in tanta tradizione favolistica, ma è il custode di un’antica sapienza, è il maestro saggio che tutti vorremmo avere, è l’amico buono che tutti vorremmo avere. In una lettera del 1954, Tolkien si riferisce a Gandalf come un "Angelo incarnato", e successivamente ancora lo definisce, come “un essere angelico”.  Il ruolo di Gandalf nella storia è quello di fungere da consigliere e guida per Bilbo (e non solo per lui) facendo sì che emergano in lui tutte le sue potenzialità, qualità, virtù. Così il piccolo Hobbit della Contea diventa un eroe.

C'è in te molto più di quanto tu stesso non sappia”: in queste parole pronunciate da Thorin Scudodiquercia c'e'racchiusa, come sottolinei nel tuo saggio, tutta la ricchezza del libro... infatti i protagonisti si rendono conto che la posta in gioco, che all'inizio del racconto sembrava tutta focalizzata nella riconquista del tesoro custodito da Smaug, diventa ben più grande (mi viene in mente la battaglia dei Cinque Eserciti...) Bilbo stesso, da timido “scassinatore”, si scoprirà capace di imprese ben più grandi... ci puoi spiegare meglio questo cambio di registro, da storia per ragazzi a racconto dal sapore epico ?

Bilbo Baggins della Contea è la testimonianza di come si possa divenire eroi, pur non essendo grandi e grossi, pur non appartenendo ad una élite, affrontando le sfide che la vita pone di fronte, per quanto insormontabili esse possano apparire. L’avventura che aveva vissuto gli aveva inoltre insegnato che le grandi imprese non sono opera di un eroe solitario, ma di una compagnia. Uno dei beni più importanti che aveva riportato a casa, molto più prezioso di oro e gioielli, era l’amicizia. Bilbo è cresciuto in coraggio, responsabilità, saggezza. Ha lasciato per sempre dietro di sè la pigrizia congenita degli hobbit e la sua originaria semplicioneria, acquisendo una profonda maturità. Non ha vinto direttamente la sfida col mostro, ma ha dimostrato di poter affrontare e superare ogni sfida della vita, comprendendo a fondo quei grandi valori - la fedeltà, l'amicizia, il coraggio - che nel tranquillo immobilismo della Contea non aveva mai avuto modo di sperimentare a fondo. Questo significa scoprire di avere in sé qualcosa che nemmeno si immaginava di avere. In questo senso Lo Hobbit recupera la forza delle antiche favole, che avevano la “morale”, ovvero un valore profondo da trasmettere, ma allo stesso tempo riesce a toccare le corde del cuore e della ragione di chi legge, suscitando nostalgia per cose grandi e belle, per la Verità che è risposta a tutte le nostre domande e le nostre ricerche. 

Tolkien e Chesterton: ci sono dei legami tra questi due grandi?

Ci sono legami profondi e importanti, e posso anticipare che sto lavorando proprio a questo, e al prossimo Chesterton Day avrò sicuramente occasione di parlare di Tolkien & GKC. Per intanto, brevemente, posso dire che Tolkien andò a colmare, con la sua opera, quella mancanza che qualche anno prima Gilbert Chesterton aveva lamentato essere la grande assente dalla narrativa moderna:  “Nella sua sostanza, la letteratura contemporanea è quasi totalmente priva di elementi gioiosi. E penso che sia giusto dire, parlando genericamente, che non è abbastanza infantile per essere gioiosa.”
   
Tolkien possedeva questo spirito infantile, inteso non come puerilità, ma come capacità di guardare alla realtà con occhi di bambino, pieni di domanda e di stupore. Tolkien sceglie il linguaggio del simbolo e della fiaba per suscitare nel lettore la nostalgia per cose grandi e belle, come ancora aveva detto il nostro grande Gilbert Keith Chesterton: “Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”. 


(INTERVISTA A CURA DI DONATELLA CERBONI)

martedì 18 dicembre 2012

Un aforisma al giorno


"L'attuale sistema sociale che, nella nostra epoca e nella nostra cultura industriale, subisce seri attacchi ed è afflitto da problemi penosi, è tuttavia normale. Mi riferisco all’idea che la comunità è costituita da alcuni piccoli regni nei quali un uomo e una donna diventano il re e la regina esercitando un’autorità ragionevole, soggetta al buon senso della comunità, finché coloro che essi educano diventano adulti e fondano regni simili ed esercitano a loro volta un’autorità simile. Questa è la struttura sociale dell’umanità, molto più antica di ogni sua cronaca e più universale di tutte le sue religioni; i tentativi di modificarla sono solo parole al vento e baggianate".

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

lunedì 17 dicembre 2012

Un aforisma al giorno (natalizio ed anche espressivo del pensiero dell'Uomo Vivo. Punto e basta)

"Personalmente è chiaro, io credo in Babbo Natale; ma è il tempo del perdono, e perdonerò gli altri che non ci credono".


Gilbert Keith Chesterton, La Nonna de Drago e altre serissime storie

sabato 15 dicembre 2012

Un aforisma al giorno (Il Club è per strada ed ha lasciato dietro di sé questo splendido frammento)

"O Rowty-owty tiddly-owty Tiddly-owty tiddly-owty Highty-ighty tiddly-ighty Tiddly-ighty ow."

Il Giudice Basil Grant in Gilbert Keith Chesterton, Il Club dei Mestieri Stravaganti

giovedì 13 dicembre 2012

Chesterton sull'Unità...

Enzo Verrengia sull'Unità non parla di Chesterton, ma usa una sua citazione come introduzione di un articolo su un giallo.

http://www.unita.it/culture/un-grande-giallo-italiano-br-ebook-di-biondillo-a-1-99-1.473926

mercoledì 12 dicembre 2012

Un aforisma al giorno


"La verità non è in cima alla torre, ma in fondo al pozzo. Per gli occhi, Roma è notevolmente una città di fontane. Nel guardare queste fontane, mi nacque vagamente nella mente l’idea che esse pure fossero l’espressione perfetta di un qualche cosa, e che se le acque profonde erano il cuore della città, le fontane ne potevano essere i polmoni. E ricordai quindi che una fontana è l’espressione esatta di un paradosso: una specie di prodigioso capovolgimento destinato a mostrare che l’acqua può cadere verso l’alto e scorrere a monte. L’acqua, già piegata e umile nonostante la sua lucentezza tra le rocce dove San Francesco l’accarezzava come creatura viva, qui si slancia altissima come in volo, come se il pozzo potesse farsi vulcano. Anche l’acqua è in stato di ribellione, o almeno di resurrezione. E quando ritrovai questa parola capii l’immagine che non mi dava tregua, capii che Roma è la Roma delle fontane perché dappertutto esiste in essa questo senso di cose segrete lanciate in alto dal profondo".

Gilbert Keith Chesterton, La resurrezione di Roma

martedì 11 dicembre 2012

Tremende Bazzecole - Da domani @Pontifex twitta (e così ci indica la via verso casa) - Annalisa Teggi su Tempi.it

C'è chi ha detto che assomiglia a una marca di materassi o di preservativi. @Pontifex, l'account ufficiale del papa su Twitter, ha suscitato un profluvio di battute più o meno ovvie, più o meno ironiche. Non me ne scandalizzo, penso piuttosto che anche dal tipo di spontaneità debordante dell'anonima folla di username dei social network salti fuori una qualche verità sul nostro attuale guazzabuglio umano. Su Twitter non c'è l'ironia sofisticata della satira ufficiale e non c'è neppure l'umorismo sano e sguaiato del comico che si vede alle sagre; in molti casi c'è solo il lasciarsi andare al tripudio chiassoso di ridicoli luoghi comuni. E figuriamoci se il Papa non dà adito a beffe e scherni. È sempre stato così, e – penso e lo ripeto – anche le beffe più triviali ci dicono qualcosa di chi le fa. I soldati romani che sbeffeggiarono Cristo lo cinsero con una corona di spine e gli diedero da bere aceto. Erano romani, gente sveglia; per ridicolizzarlo gli porsero versioni deformi di sovranità e cibo, dimostrando così di aver intuito che il problema di quell'uomo riguardava uno strano miscuglio di regalità e umanità. Noi dimostriamo tutt'altro e Pontifex ci fa ridere perché pensiamo alle telepromozioni di materassi e ai preservativi. Forse davvero siamo un po' materassi e preservativi e forse non nel senso che abbiamo trovato una stabile quiete e ci curiamo di preservare qualcosa; più che altro siamo addormentati e veneriamo il nostro egoismo fino al punto di preservarlo dall'impegnarsi a preservare la specie.
Fa gola anche al potere avere gente addomesticata e adagiata a riposo nel regno del piacere usa e getta: a questi poveracci bastonati dalla crisi si possono concedere almeno le grazie della Dea Bendata. Come non interpretare così il significativo aumento di incentivi a favore delle multiformi attività legate al gioco d'azzardo, che viene tassato meno del pane (come dimostra un recente dossier fatto da Avvenire). Però l'ipotesi di felicità di un uomo sveglio non può essere quella della slot machine e del poker. Sperare in una mano buona non è davvero sperare; è piuttosto arrendersi a credere che la vita sia un'amara tragicommedia. È comodo e tremendo attendere un caso straordinariamente buono standosene seduti a grattare un foglio di carta; è assurdo pensare che la vita sia una roulette. Non è una passeggiata, siamo d'accordo; ma l'azzardo vero è trattarla come un'avventura – che è l'opposto del motto in base a cui solo uno su mille o su un milione ce la fa.

Le fiabe sono molto istruttive da questo punto di vista: di solito il castello dove è imprigionata la principessa è sempre in un luogo impervio e pericoloso. Costa fatica liberarla. Il signor Chesterton annovera una storia basata su questo genere di avventura come il suo primo ricordo infantile; suo padre aveva costruito un teatrino di cartone e lui si entusiasmò nel vedere una particolare scena rappresentata in quel piccolo spazio incantato e domestico: «La primissima cosa che ricordo d'aver visto, davvero con i miei occhi, è un giovane che attraversa un ponte. Aveva baffi arricciati e un piglio sicuro, che sfiorava l'arroganza. In mano, teneva una chiave sproporzionatamente grande, di splendente color ocra, e indossava una larga corona d'oro, o dorata. Il ponte che attraversava, da un lato spuntava dal bordo di un temibile baratro di montagna, e dall'altro raggiungeva la cima della torre di un castello merlato» (dall'Autobiografia). Quel giovane stava andando a liberare una principessa imprigionata nella torre e Chesterton rimase colpito, più di ogni altra cosa, da quel ponte, perché la forma stretta e arcuata di quella struttura accentuava ancora di più nella sua immaginazione la voragine degli abissi che si aprivano al di sotto. Eppure la via per arrivare al castello c'era e quel giovane aveva una grande chiave per aprire la porta del castello.
Questa immagine rimase scolpita nella memoria di Chesterton con un sigillo di indubitabile felicità e non gli fu difficile, da adulto, riconoscere il senso di una gioia ancor più grande quando si accorse che la fiaba non era una favola e che davvero a un povero pescatore di Galilea fu affidato il compito di essere Pontifex Claviger. Gli fu affidato il compito di camminare insieme agli uomini indicando la via sicura di un ponte gettato sopra ogni abisso, vertigine e paura. Sicuro al punto da sembrare quasi arrogante, con quella chiave in mano così straordinariamente grande. Audace nel camminare su un'impalcatura gettata sopra i dirupi dello scetticismo, del pessimismo e del nichilismo; mostrando che il nostro cuore non è né un remoto recesso oscuro, né un salotto da conversazioni in poltrona, ma è un castello. Chi l'ha costruito non era bendato, l'ha fatto imponente – con alte torri che sfiorano in cielo e anche con sotterranei che s'insinuano nel buio della terra. C'è una chiave che rende questo castello abitabile ed amabile, non sottraendogli la prerogativa dei suoi imponenti slanci e anche la vertigine dei propri nascondigli oscuri.
Che scriva encicliche, impartisca benedizioni in ogni lingua esistente, celebri messa o twitti, nella voce di chi ci porta quella chiave permane il compito di Pontifex, quello di entrare nelle altalenanti montagne russe dei discorsi degli uomini, indicando la via di casa – a chi crede di essersi perso, e a chi crede di essere già nel suo paradiso personale. E per questo saranno adeguati anche i 140 caratteri dei tweets che da domani manderà al mondo; in fatto di efficacia comunicativa il suo datore di lavoro (così lo definiscono quelli che parlano di materassi e preservativi, pensando a Morgan Freeman e Jim Carrey) ha dato l'esempio: per annunciare che la speranza era entrata nel mondo cominciò dal vagito di un bambino.

lunedì 10 dicembre 2012

Un aforisma al giorno

«Non posso liberarmi dal vago sospetto che la dignità stia in una certa relazione con lo stile».

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia

Un aforisma al giorno

«Mentre una tendenza costante del vecchio Adamo è quella di rivoltarsi contro quella cosa così universale e automatica che è la civiltà, di predicare deviazione e ribellione, il romanzo dell'attività di polizia mette in un certo senso sotto gli occhi il fatto che la civiltà stessa è la più sensazionale delle deviazioni e la più romanzesca delle ribellioni».

Gilbert Keith Chesterton, Come si scrive un giallo

domenica 9 dicembre 2012

Un aforisma al giorno - Su Babbo Natale (thanks, Spencer!)!


"Quello che mi è successo è l'opposto di quello che sembra essere l'esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. E' successo in questo modo. "Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono - lungi da me! 
"E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano 'Santa Claus' era benevolmente disposto verso di me... Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente. E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l'idea.
"Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.
"Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi dollari e qualche biscotto. 
Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.
Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza.
Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all'origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l'ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà".

Gilbert Keith Chesterton, lettera a The Tablet of London

sabato 8 dicembre 2012

Da Cultura Cattolica: Chiara Corbella: «Uomo dell'anno 2012


Chiara Corbella: «Uomo dell'anno 2012
http://www.culturacattolica.it/?id=17&id_n=32042

L'anno scorso appoggiammo Shahbaz Bhatti, quest'anno Chiara Corbella.
Un saluto a don Gabriele Mangiarotti.

Un aforisma al giorno



Soc Chestertoniana (@Sochest)

 su Twitter
"#GKC attualissimo: "La prova della democrazia non è se il popolo vota ma se il popolo governa" (Illustrated London News, 20 ott. 1909)."

Un aforisma al giorno

"È questo senza dubbio il vero significato delle famose parole, molto spesso fraintese, rivolte ai primi santi: 'Voi siete il sale della terra'. [...] Il sale insaporisce e conserva il manzo, non perché è come il manzo, ma perché è molto diverso. Cristo non disse agli apostoli che erano semplicemente quelli che eccellevano, né che erano i soli ad eccellere, ma che erano l'eccezione, quelli permanentemente in contraddizione e incompatibili".

Gilbert Keith Chesterton, San Tommaso d'Aquino

venerdì 7 dicembre 2012

Una bella manifestazione pro life in Irlanda, e si intravede anche un nostro amico...


Rigettando il tentativo degli attivisti pro aborto di sfruttare la recente morte di una donna indiana incinta per cercare di ottenere la legalizzazione dell'aborto in Irlanda, circa 10.000 manifestanti si sono uniti per la Veglia per la Vita il 4 Dicembre 2012 a Dublino.

Simons Caroline, consulente giuridico con la Campagna Pro Vita ha detto che il governo irlandese non era tenuta a legiferare per l'aborto a causa della Corte europea dei diritti sul caso ABC.

"Non vi è alcun obbligo del genere", ha detto.

La Veglia per la Vita su Kildare Street è stata promossa dalla pro-life gruppi come campagna per la Vita e la difesa della gioventù a rispondere al dibattito su Savita e tenere sotto pressione il partito Fine Gael circa il suo impegno a favore della vita.

Il pericolo è che le potentissime lobby abortiste inducano il partito oggi al governo, il Fine Gael, a formare una legge sull'aborto.

Noi chestertoniani d'Italia siamo orgogliosi di vedere che in prima fila c'era uno di noi, Angelo Bottone, cui va il nostro plauso più grasso possibile.

giovedì 6 dicembre 2012

A chestertonian Christmas carol


Cari amici chestertoniani,

ho molti amici americani a Roma.
Non sono una categoria di emuli di Alberto Sordi (anche se qualcuno di loro apprezza la sua comicità...), ma giovani seminaristi, diaconi e sacerdoti che vivono al Pontificio Collegio Nordamericano.
Sono bravissimi ragazzi, di grande fede e vivacità, tra di essi si trovano molti amici di Pier Giorgio Frassati e di Chesterton.
Uno di loro, Jack, come altri suoi amici è stato nostro ospite e ha voluto raccontarmi questa storia: 

Caro Marco,
Ti devo raccontare una storia vera dell'altro ieri che mi ha fatto pensare a te e Chesterton. Tornavo al NAC (North American College, ndr) dalla Gregoriana (l'omonima Università, ndr), e come al solito passava una signora rumena che chiede sempre aiuto davanti alla chiesa di ****. Lei è brava, la conosciamo. Sa cucire e suo marito pulisce le scarpe, dunque tenevo in mano un paio di scarpe e qualcosa da cucire. Ma parlava con un signore italiano, grande, e i suoi tre figli stavano attorno. L'uomo ha chiesto ai bambini: "Che volete, un presepe di Natale oppure un albero di Natale?". Dopo qualche minuto si avvicina a me, e l'ho conosciuto. Era un uomo gioioso, un amico della famiglia rumena da anni. Lavorava come traduttore. Bene, ho consegnato la mia roba e me ne sono andato. Un altro americano che stava con me ha proclamato: "Abbiamo conosciuto Santa Claus!". E' vero, ho conosciuto Santa Claus. Ero così contento per il resto del giorno. Pensavo all'importanza della mitologia buona nella mente di Chesterton. Mi ricordo anche quando stavo a tavola con la tua famiglia, Maria Chiara (mia figlia, ndr) parlava di Santa Claus, e tu mi hai chiesto "Credi in Santa Claus?" (naturalmente io credo fermamente in Babbo Natale, ndr)... Ho risposto sì... ma adesso veramente ci credo. Grazie perché mi porti nel mondo vero e cattolico e vivo dei Tipi Loschi e Chesterton
Bene.
Vi sosteniamo con la preghiera!
Jack (un americano a Roma)

mercoledì 5 dicembre 2012

Mons. Luigi Negri diventa Arcivescovo di Ferrara

http://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/2012/12/04/811924-intervista-nuovo-arcivescovo-luigi-negri.shtml

Nel collegamento qui sopra la prima intervista del neoeletto arcivescovo di Ferrara - Comacchio, mons. Luigi Negri, legato a noi da amicizia e stima reciproche.

Gli facciamo gli auguri più sinceri di buon lavoro, di vero cuore.

martedì 4 dicembre 2012