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mercoledì 19 dicembre 2012

Paolo Gulisano su Lo Hobbit (ma ovviamente ci scappa un po' di GKC...)



Intervistiamo l'amico Paolo Gulisano: profondo conoscitore delle opere di J.R.R Tolkien, nonché Vice Presidente della Società Chestertoniana Italiana, autore di libri sull’Irlanda, la Scozia, C. S. Lewis, Wilde, padre MacNabb, Newman, i martiri messicani Cristeros e tanto altro ancora, ha pubblicato di recente il saggio “La mappa de Lo Hobbit” (edizioni Ancora), insieme all'artista ed illustratrice Elena Vanin (conosciuta anche come abile artigiana, realizzatrice delle famose “orecchie da elfo”) Abbiamo chiesto a Paolo di aprirci una finestra introduttiva a questa sua opera, che esce proprio mentre nei cinema arriva la pellicola di Peter Jackson che apre una nuova trilogia cinematografica:

Di questo libro incuriosisce subito il titolo: “La mappa de Lo Hobbit”, e la copertina, raffigurante una bianca strada che si inerpica nei meandri di una misteriosa montagna, e che sembra invitare il lettore a compiere un viaggio di scoperta..e come ogni viaggio che si rispetti, tu e la coautrice Elena Vanin, dotate il lettore di una mappa illustrata, contenuta nella seconda di copertina, veramente molto suggestiva. Ci puoi aiutare a capire il significato simbolico di questa Mappa nel percorso narrativo che proponete ?

La Terra di Mezzo, il mondo dove Tolkien colloca le vicende degli Hobbit, è un mondo complesso, che Tolkien descrisse con meticolosa precisione. Un mondo pieno di località, di fiumi, di montagne, di boschi, dai nomi a volte elfici, a volte umani. Un mondo affascinante in cui inoltrarsi, magari con l’aiuto di una buona mappa, e di una buona guida.  Per questo il libro è stato pensato come una “guida per viaggiatori” e corredato da una bellissima e dettagliata carta. Lo Hobbit, inoltre, è la storia di un viaggio, un viaggio vero e proprio, ma anche un itinerario simbolico.   I protagonisti, almeno per ora, devono fronteggiare mali minori, anche se non meno insidiosi.
Il loro cammino si rivela infatti da subito pieno di insidie: il tragitto è molto lungo e la compagnia deve sempre seguire un sentiero senza mai deviare, pena lo smarrimento della giusta via.
E’ la metafora del viaggio come simbolo della condizione umana, una condizione di cerca, di percorso aspro e difficile, non senza echi evangelici: chi abbandona la Via della Salvezza, che è un sentiero duro e stretto, si perde e perde la sua vita.
Tuttavia in questa impresa, così come nella stessa condizione umana, è dato di perdersi e ritrovarsi molte volte; fino a quando non si finisce definitivamente in un baratro mortale, è sempre data la possibilità di ritrovare il giusto sentiero, magari con l’aiuto di qualcuno, di un amico. Bilbo e i Nani si perderanno più volte, ma sarà l’arrivo di Gandalf o di qualche altro provvidenziale aiuto che li trarrà dai pasticci.Il tema principale della storia si fa, pagina dopo pagina, sempre più chiaro: la crescita e la maturazione del protagonista, Bilbo Baggins. Il viaggio per recuperare il tesoro, quello strano incarico di scassinatore conferitogli da Gandalf, rappresenta la possibilità che il destino gli ha offerto per cambiare, per diventare un eroe.

Nel primo capitolo del tuo saggio l'attenzione è focalizzata a guidare il lettore nel comprendere l'originalità della figura de Lo Hobbit, la creatura più originale nata dalla penna di Tolkien... così diversa dagli eroi nordici come Sigfrido a cui la letteratura nordica ci aveva abituato. Ci puoi aiutare a capire meglio i tratti distintivi degli abitanti della Contea, così cari al professore di Oxford?  

Nel 1944, al figlio Christopher in procinto di partire per la guerra, Tolkien scriveva: “Conserva nel tuo cuore la tua hobbitudine, e pensa che tutte le storie sono così. Tu sei dentro una storia molto grande.”  E’ una frase straordinaria, considerate anche le circostanze in cui venne scritta. Tolkien parla ad un figlio ormai adulto della hobbitudine”, una condizione da non smarrire, da conservare nel proprio cuore. E’ la condizione di chi ha gioia di vivere, ma anche consapevolezza del male da affrontare. Di chi ha uno sguardo pieno di meraviglia e gratitudine verso la realtà. Gli Hobbit che l’autore ci descrive non sono creature perfette: hanno tanti limiti e difetti, ma le loro virtù- soprattutto coraggio e umiltà, e spirito di sacrificio- erano quelle che il professore di Oxford più ammirava.

Quando, all'inizio della storia l'inaspettato (rappresentato da Gandalf e dall'arrivo dei nani nella tranquilla dimora dello hobbit) prorompe con forza nella vita di Bilbo Baggins, mi è venuto in mente il paragone con l'episodio dell'Antico Testamento in cui Dio chiede ad Abramo di uscire dalla sua terra e dalle sue sicurezze, per rispondere ad una chiamata più grande. Puoi parlarci della crescita e maturazione che Bilbo e i nani incontrano lungo la via che Bosco Atro li porterà alla Montagna Solitaria

Come poteva un personaggio tranquillo, pacioso, per nulla incline alle avventure, come Bilbo Baggins, diventare un eroe e dare una svolta decisiva alla storia della Terra di Mezzo? Semplicemente rispondendo ad una chiamata. Gandalf il mago che all’inizio sembra un vecchietto un po’ stordito; Gandalf degli Istari, coloro che hanno avuto il compito da Ilùvatar, Dio, di custodire e consigliare gli uomini. Gandalf stregone, Gandalf Angelo Custode, così simile a figure del mondo leggendario celtico, come Mago Merlino, il mèntore di Re Artù, ma anche simile ai primi santi eremiti delle Isole Britanniche, esponenti di quel Cristianesimo Celtico delle origini, appassionato e assetato di Assoluto. Forse il segreto di Gandalf può risiedere nell’etimologia del suo essere stregone, in inglese Wizard, che deriva da Wise, saggio. Gandalf non è un mago vero e proprio, come in tanta tradizione favolistica, ma è il custode di un’antica sapienza, è il maestro saggio che tutti vorremmo avere, è l’amico buono che tutti vorremmo avere. In una lettera del 1954, Tolkien si riferisce a Gandalf come un "Angelo incarnato", e successivamente ancora lo definisce, come “un essere angelico”.  Il ruolo di Gandalf nella storia è quello di fungere da consigliere e guida per Bilbo (e non solo per lui) facendo sì che emergano in lui tutte le sue potenzialità, qualità, virtù. Così il piccolo Hobbit della Contea diventa un eroe.

C'è in te molto più di quanto tu stesso non sappia”: in queste parole pronunciate da Thorin Scudodiquercia c'e'racchiusa, come sottolinei nel tuo saggio, tutta la ricchezza del libro... infatti i protagonisti si rendono conto che la posta in gioco, che all'inizio del racconto sembrava tutta focalizzata nella riconquista del tesoro custodito da Smaug, diventa ben più grande (mi viene in mente la battaglia dei Cinque Eserciti...) Bilbo stesso, da timido “scassinatore”, si scoprirà capace di imprese ben più grandi... ci puoi spiegare meglio questo cambio di registro, da storia per ragazzi a racconto dal sapore epico ?

Bilbo Baggins della Contea è la testimonianza di come si possa divenire eroi, pur non essendo grandi e grossi, pur non appartenendo ad una élite, affrontando le sfide che la vita pone di fronte, per quanto insormontabili esse possano apparire. L’avventura che aveva vissuto gli aveva inoltre insegnato che le grandi imprese non sono opera di un eroe solitario, ma di una compagnia. Uno dei beni più importanti che aveva riportato a casa, molto più prezioso di oro e gioielli, era l’amicizia. Bilbo è cresciuto in coraggio, responsabilità, saggezza. Ha lasciato per sempre dietro di sè la pigrizia congenita degli hobbit e la sua originaria semplicioneria, acquisendo una profonda maturità. Non ha vinto direttamente la sfida col mostro, ma ha dimostrato di poter affrontare e superare ogni sfida della vita, comprendendo a fondo quei grandi valori - la fedeltà, l'amicizia, il coraggio - che nel tranquillo immobilismo della Contea non aveva mai avuto modo di sperimentare a fondo. Questo significa scoprire di avere in sé qualcosa che nemmeno si immaginava di avere. In questo senso Lo Hobbit recupera la forza delle antiche favole, che avevano la “morale”, ovvero un valore profondo da trasmettere, ma allo stesso tempo riesce a toccare le corde del cuore e della ragione di chi legge, suscitando nostalgia per cose grandi e belle, per la Verità che è risposta a tutte le nostre domande e le nostre ricerche. 

Tolkien e Chesterton: ci sono dei legami tra questi due grandi?

Ci sono legami profondi e importanti, e posso anticipare che sto lavorando proprio a questo, e al prossimo Chesterton Day avrò sicuramente occasione di parlare di Tolkien & GKC. Per intanto, brevemente, posso dire che Tolkien andò a colmare, con la sua opera, quella mancanza che qualche anno prima Gilbert Chesterton aveva lamentato essere la grande assente dalla narrativa moderna:  “Nella sua sostanza, la letteratura contemporanea è quasi totalmente priva di elementi gioiosi. E penso che sia giusto dire, parlando genericamente, che non è abbastanza infantile per essere gioiosa.”
   
Tolkien possedeva questo spirito infantile, inteso non come puerilità, ma come capacità di guardare alla realtà con occhi di bambino, pieni di domanda e di stupore. Tolkien sceglie il linguaggio del simbolo e della fiaba per suscitare nel lettore la nostalgia per cose grandi e belle, come ancora aveva detto il nostro grande Gilbert Keith Chesterton: “Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”. 


(INTERVISTA A CURA DI DONATELLA CERBONI)

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