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sabato 23 novembre 2024

Ethandune, di Gilbert Keith Chesterton, The Daily News, 27 agosto 1910 - traduzione di Marco Sermarini ©

Questo articolo è la testimonianza del lavoro in corso nella mente di Chesterton che poi portò alla pubblicazione de La ballata del cavallo bianco nell’anno 1911. Chesterton, come è noto, inizia la sua opera con una nota in prosa in cui dichiara che il poema non è storico, seppure raccoglie molte tradizioni ancora vive nell’area del Wessex e delle battaglie combattute dal grande re sassone. Dice di aver scelto di collocare il luogo della battaglia di Ethandun nella Valle del Cavallo Bianco nonostante la mancanza di prove concrete a sostegno di questa collocazione. Gilbert si era recato da quelle parti, accompagnato da un autista, ed ebbe lì l’ispirazione di tutto il poema, che dedicherà alla moglie. L’opera verrà pubblicata nel 1911, cioè nell’anno successivo all’articolo che vi proponiamo e che è tratto da un numero del Daily News del 1910. Il tema da cui parte l’articolo è la collocazione esatta di Ethandune (o Ethandun), questione oggetto di ampia discussione tra gli studiosi. È mia opinione che vada tenuto presente, per la comprensione dell’articolo che vi propongo con questa traduzione, il passaggio che segue della Prefazione al poema: “Una tradizione collega la vittoria finale di Alfredo con la valle del Berkshire chiamata Valle del Cavallo Bianco. Ho riscontrato dei dubbi su questa tradizione, dubbi che possono essere validi. Non so quando o dove sia iniziata la storia; è sufficiente che sia iniziata da qualche parte e che sia finita con me”, ossia l’impatto concreto nella vita dell’autore di questa storia apparentemente leggenda ma in concreto vicenda reale che ha influito sulla civiltà cristiana inglese.


L’articolo, come vedete, è uscito nel 1910 sul giornale ma è stato riproposto da Chesterton nella raccolta intitolata Alarms and Discursions, uscita in quello stesso anno.


Marco Sermarini


Ethandune


Forse non sapete dove si trova Ethandune. Nemmeno io, e nessuno lo sa. È qui che inizia il divertimento un po' cupo. Non posso nemmeno dirvi con certezza se sia il nome di una foresta, di una città o di una collina. Posso solo dire che in ogni caso è del genere che aleggia e che rimane indefinito. Se è una foresta, è una di quelle foreste che marciano con un milione di gambe, come gli alberi che camminano e che furono il destino di Macbeth. Se è una città, è una di quelle città che svaniscono, come una città di tende. Se è una collina, è una collina che vola, come la montagna a cui la fede mette le ali. Su una vasta e oscura regione dell'Inghilterra, questo nome oscuro di Ethandune fluttua come un'aquila che non sa dove scendere in picchiata e colpire, e, in effetti, c'erano abbastanza uccelli da preda su Ethandune, ovunque fosse. Ma ora Ethandune stessa è divenuta oscura e alla deriva come i neri stormi degli uccelli.


Eppure, senza questa parola che non si può associare a un significato e difficilmente a un ricordo, in questo momento sareste seduti su una sedia molto diversa e stareste guardando una tovaglia molto diversa. Come frase pratica moderna non la raccomando; se i miei critici privati e i corrispondenti di cui mi compiaccio dovessero indirizzarmi “G. K. Chesterton, Fermo Posta, Ethandune”, temo che le loro lettere non arriverebbero a destinazione. Se due frettolosi viaggiatori commerciali accettassero di discutere una questione d'affari a Ethandune dalle 17 alle 17.15, temo che invecchierebbero nel quartiere come canuti vagabondi. Per dirla chiaramente, Ethandune non si trova da nessuna parte e in nessun luogo delle colline occidentali; è un miraggio inglese. Eppure, se non fosse per questo dubbio, probabilmente non ci sarebbe il Daily News il sabato e certamente non ci sarebbe la chiesa la domenica. Non dico che nessuna di queste due cose sia un beneficio, ma dico che sono abitudini e che non le avreste se non grazie a questo mistero. Non avreste i pudding di Natale, né (probabilmente) alcun pudding; non avreste le uova di Pasqua, probabilmente non le uova in camicia, dubito fortemente delle uova strapazzate e i migliori storici sono decisamente dubbiosi sulle uova al curry. Per farla breve (e così abbreviare la più lunga di tutte le storie), non avreste alcuna civiltà, tanto meno una civiltà cristiana. E se in un momento di leggera curiosità desiderate sapere perché siete il cittadino splendido, raffinato e del tutto soddisfacente che ovviamente siete, allora non posso darvi una risposta geografica o storica più precisa, ma solo farvi risuonare nelle orecchie il suono del nome non afferrato: Ethandune.


Cercherò di illustrare in modo sensato perché è così importante. Ma anche questo non è facile. Se dovessi riportare il semplice fatto sulla base dei libri di storia, molte persone lo riterrebbero ugualmente irrilevante e remoto, come una qualche guerra dei Pitti e degli Scozzesi. I motivi potrebbero essere esposti in questo modo. C'è un certo spirito nel mondo che accorcia tutto. Ci può essere sfarzo nella rottura, ma la cosa è distrutta. Ci può essere un certo splendore, ma è uno splendore sterile: abolisce tutti gli splendori futuri. Per fare un esempio concreto, la cattedrale di York ricoperta di fiamme potrebbe essere altrettanto bella di quella ricoperta di sculture. Ma le sculture producono altre sculture. Le fiamme non producono altro che un piccolo cumulo nero. Quando un atto ha questa qualità da vicolo cieco, poco importa che sia fatto con un libro o con una spada, con una maldestra ascia da guerra o con una bomba chimica. Lo stesso vale per le idee. Il pessimista può essere una figura orgogliosa quando maledice tutte le stelle; l'ottimista può essere una figura ancora più orgogliosa quando le benedice tutte. Ma il vero banco di prova non è l'energia, bensì l'effetto. Quando l'ottimista dice: “Tutte le cose sono interessanti”, veniamo lasciati liberi; possiamo interessarci tanto o poco a seconda delle nostre esigenze. Ma quando il pessimista dice: “Nessuna cosa è interessante”, può essere un'osservazione molto spiritosa, ma è l'ultima osservazione spiritosa che può essere fatta sull'argomento. Ha bruciato la sua cattedrale; ha avuto la sua fiammata e il resto è cenere. Gli scettici, come le api, danno il loro unico pungiglione e muoiono. Il pessimista deve sbagliarsi, perché dice l'ultima parola.


Ora, questo spirito che nega e che distrugge ha avuto in un periodo della storia una terribile epoca di superiorità militare. Bruciarono la cattedrale di York, o almeno, luoghi dello stesso tipo. In poche parole, dal settimo secolo al decimo, su queste isole e sulle coste occidentali del continente si è riversata una fitta marea di tenebre, di caos e di crudeltà senza cervello, che le ha quasi isolate per sempre dalla cultura dell'uomo bianco. E questa è l'ultima prova umana: i vari capi di quell'epoca vaga furono ricordati o dimenticati a seconda di come avevano resistito a questa incursione quasi cosmica. Nessuno pensava alle moderne sciocchezze sulle razze; tutti pensavano alla razza umana e alle sue più alte conquiste. Artù era un celtico, e forse era un celtico favoloso; ma era una favola dal lato giusto. Carlo Magno poteva essere un gallo o un goto, ma non era un barbaro; ha combattuto per la tradizione contro i barbari, i nichilisti. E anche per questo, solo per questo, in ultima istanza, chiamiamo il più triste e per certi versi il meno riuscito dei re del Wessex con il titolo di Alfredo il Grande. Alfredo fu sconfitto dai barbari più volte, e più e più volte sconfisse i barbari; ma le sue vittorie furono vane quasi quanto le sue sconfitte. Fortunatamente non credeva nello Spirito del Tempo, nell'Andamento delle Cose o in altre sciocchezze moderne, e quindi continuò ad andare avanti. Ma mentre i suoi fallimenti e i suoi infruttuosi successi hanno nomi ancora in uso (come Wilton, Basing e Ashdown - 1), l'ultima epica battaglia che ha davvero sconfitto il barbaro è rimasta senza un luogo o un nome moderno. A parte il fatto che si trovava vicino a Chippenham, dove i danesi abbandonarono le loro spade e furono battezzati, nessuno è in grado di individuare con certezza il luogo in cui voi e io siamo stati salvati dall'essere selvaggi per sempre.


Ma l'altro giorno, sotto un tramonto e un'alba selvaggi, sono passato davanti al luogo che è maggiormente reputato come Ethandune, un'altura cupa, in parte spoglia e in parte ispida; come quel luogo selvaggio e sacro in quei grandi versi immaginifici sull'amante demoniaco e la luna calante. L'oscurità, il naufragio rosso del tramonto, la luna gialla e vivida, le lunghe ombre fantastiche, creavano effettivamente quel senso di mostruoso inconveniente che è il lato drammatico del paesaggio. I pendii grigi e spogli sembravano precipitarsi verso il basso come schiere in rotta; le nuvole scure attraversavano come vessilli lacerati; e la luna era come un drago d'oro, come il Drago d'Oro del Wessex. 


Mentre attraversavamo un'inclinazione della brughiera strappata, vidi improvvisamente tra me e la luna un ammasso nero e informe più alto di una casa. L'atmosfera era così intensa che pensai davvero a un mucchio di danesi morti, con un fantomatico conquistatore in cima. Fortunatamente stavo attraversando queste lande con un amico che conosceva la storia più di me e mi disse che si trattava di un tumulo più antico di Alfredo, più antico dei Romani, più antico forse dei Britanni, e nessuno sapeva se fosse un muro, un trofeo o una tomba. Ethandune è ancora un nome alla deriva; ma mi ha dato una strana emozione pensare che, spada alla mano, mentre i danesi si riversavano con i torrenti del loro sangue giù a Chippenham, il grande re possa aver alzato la testa e guardato quella forma opprimente, che suggeriva qualcosa eppure non suggeriva nulla; possa averla guardata come noi, e averla capita poco quanto noi.


Gilbert Keith Chesterton, The Daily News, 27 agosto 1910, collazionato in Alarms and Discursion, capitolo 30.


1 -  si tratta dei siti di tre battaglia occorse nell'871 tra Etelredo e Alfredo contro i Vichinghi, perse dai sassoni.

(Traduzione di Marco Sermarini © tutti i diritti riservati) 




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