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giovedì 1 giugno 2017

In difesa della vita - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

Forse non tutti sanno che in età giovanile Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) scrisse una poesia in difesa della vita umana ("By the babe unborn"). Prima del 1900 il grande saggista, romanziere e poeta inglese aveva dovuto fare i conti con l'eugenetica, ossia con il tentativo ideologico (supportato da pretese scientifiche) di determinare il controllo delle nascite. Erano i tempi in cui le teorie maltusiane si intrecciavano con l'evoluzionismo darwinista e le istanze del superuomo, costituendo una miscela esplosiva che lo stesso Chesterton denunciò con vigore e coraggio in opere come "Eugenetica e altri mali", scritta precedentemente alla prima guerra mondiale e in innumerevoli articoli apparsi su riviste e giornali dell'epoca. Nella traduzione di Annalisa Teggi (che ha pure tradotto il poema epico "La ballata del cavallo bianco" del 1911) invito alla riflessione, collocandomi, come fece Chesterton, dalla parte del bambino non nato.

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Dal bambino non nato

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Se ci fossero alti tronchi d'albero e ciuffi d'erba bassa,

come nella fantasia di certe fiabe,

e se più oltre si scorgesse a tratti un mare blu

a rompere la pallida linea dell'orizzonte,

se ci fosse una palla di fuoco appesa in aria

a riscaldarmi durante il giorno,

e se una folta chioma verde ondeggiasse sulle valli,

là saprei cosa fare.

Me ne sto nel buio: sognando che esistano

grandi occhi severi o gentili,

e strade storte e porte silenziose,

e uomini vivi dietro ad esse.

Che venga la bufera: meglio un'ora,

e poter piangere e combattere,

piuttosto che questo infinito vuoto

a misurare l'impero della notte.

Penso che se mi permettessero

di stare in quel mondo

sarei buono per un tempo pari

a questo lungo giorno nel regno delle fate.

Non udrebbero da me una sola parola

di egoismo o disprezzo,

se solo riuscissi a trovare la porta,

se solo nascessi.

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