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venerdì 31 maggio 2013

Un aforisma al giorno

"(Innocent Smith) frustava la sua anima a suon di risate perché non si addormentasse".

Gilbert Keith Chesterton, Manalive

Un aforisma al giorno

«Io torno ai metodi dottrinali del tredicesimo secolo, ispirato dalla speranza complessiva di giungere a qualcosa».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Un aforisma al giorno - La riforma dello Stato la faremo fare a Innocent Smith…

«(...) Probabilmente gli esseri umani potrebbero ottenere di più da una specie di giustizia locale, mentre oggi possono ottenere solo un'ingiustizia legale... oh, sono anch'io un avvocato, e ne so qualcosa. E' vero anche che c'è un eccesso di autorità, ufficiale e indiretta. Spesso e volentieri ci sono cose che una nazione intera non riesce a sistemare, mentre invece potrebbe essere più facile farlo in una famiglia».

Gilbert Keith Chesterton, Uomovivo

Carbonari segnalatore alacre ci dice di guardare l'Avvenire di oggi 31 Maggio 2013...

Caro presidente,
ti scrivo per segnalarti che oggi Avvenire dedica una breve notizia al convegno di domani a pagina 21. 
Saluti chestertoniani.
Andrea Carbonari

Tremende Bazzecole - Oggi Chesterton festeggia il suo compleanno insieme a 59, il neonato cinese buttato nelle fogne e salvato - Annalisa Teggi da Tempi.it

«L’avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all’improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi, come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l’atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola» (da Eretici).

Il 29 maggio 1874 nasceva Gilbert K. Chesterton e, dunque, oggi è il suo compleanno. Auguri. E penso che lui stesso sarebbe molto lieto di condividere la gioia di questa ricorrenza esultando per la notizia che in Cina un neonato, gettato nelle condutture di scarico di un bagno, è stato salvato. Per lui la nascita è stata davvero un’avventura e ha sentito fin troppo presto il significato emblematico con cui noi diciamo “venire alla luce”: il senso di questa espressione lo hanno riscoperto anche quelli che gli sono andati in soccorso, i vicini di casa che hanno sentito i suoi vagiti dentro il tubo e i pompieri che hanno scavato, tagliato e faticato per riportarlo, davvero, alla luce.


Ora il suo nome è solo 59, dal numero dell’incubatrice in cui è stato messo, ma non è senza nome – perché forse il segno eclatante di eventi come questo fa ricordare a tutti noi il nostro nome, il nostro esserci, il nostro compleanno. Questi fatti di cronaca sono quelli in cui, guarda caso, anche i giornali più moderati e seri tirano sempre fuori dal cassetto la parolamiracolo. Ma è vero, perché – a ben vedere – tutti siamo vivi per miracolo. Dunque auguri a Chesterton e benvenuto a 59, le cui voci (e vagiti) oggi cantano all’unisono qualcosa che non è mai male ripetersi:

«Il fascino dei bambini sta nel fatto che con ognuno di loro tutte le cose vengono rifatte, e l’universo rimesso alla prova. Quando camminiamo per strada e sotto di noi vediamo le deliziose teste bulbose di questi funghi umani, il triplo delle dimensioni che dovrebbero avere in proporzione al corpo, dovremmo sempre ricordarci innanzitutto che ognuna di quelle sfere contiene un universo nuovo fiammante. In ognuna c’è un nuovo sistema di stelle, nuova erba, nuove città, un nuovo mare. […] La dignità instabile dei loro testoni commuove più di qualsiasi umiltà; i loro grandi occhi pieni di luce sembrano contenere tutte le stelle nel loro stupore;  e il fatto curioso che quasi non abbiano il naso sembra fornirci l’indizio migliore del genere di ottimismo che ci attende nel regno dei cieli» (da L’imputato).


@AlisaTeggi


martedì 28 maggio 2013

29 Maggio 1874, Campden Hill, Kensington...

"Inchinandomi con la mia cieca credulità di sempre di fronte alla mera autorità e alla tradizione dei padri, bevendomi superstiziosamente una storia che all'epoca non fui in grado di verificare in persona, sono fermamente convinto di essere nato il 29 maggio del 1874 a Campden Hill, Kensington; e di essere stato battezzato secondo il rito anglicano nella piccola chiesa di Saint George, che si trova di fronte alla torre dell'acquedotto, immensa a dominare quell'altura. Non attribuisco nessun significato al rapporto tra i due edifici; e nego sdegnosamente che la chiesa possa essere stata scelta perché era necessaria l'intera forza idrica della zona occidentale di Londra per fare di me un cristiano".

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia

Buon Compleanno, Gilbert!

Ecco il programma di Rimini, 30 Maggio 2013, ore 18.00

A Rimini l'anticipazione di cosa vedremo al Meeting 2013

"Alla scoperta dell'uomo vivo" è il titolo dell'incontro organizzato da Karis Foundation in collaborazione con il Meeting per l'Amicizia fra i popoli, che si terrà il 30 Maggio, alle ore 18.00 presso la Karis Foundation sede Comasca, viale Regina Elena, 14 a Rimini.

Un'indagine semiseria su uno dei più grandi autori del '900, un'occasione per approfondire non solo i testi, ma la vita intera di Gilbert Keith Chesterton

Fr. Ian Boyd, Presidente G.K. Chesterton Institute;Marco Sermarini, Presidente Società Chestertoniana Italiana; la traduttrice, blogger e letterante, come lei stessa si definisce, Annalisa Teggi e Otello Cenci, Responsabile del Dipartimento Spettacoli della Fondazione Meeting saranno i relatori che dialogheranno sul giornalista, polemista e scrittore inglese. 

Una significativa anticipazione di quello che vedremo nella prossima edizione del Meeting della quale G.K. Chesterton sarà un vero e proprio protagonista.

Il 19 e 20 agosto, infatti presso il teatro "E. Novelli" sarà allestito lo spettacolo "Manalive – Un uomo vivo", con la drammaturgia di Giampiero Pizzol e la regia di Otello Cenci

Inoltre "Il cielo in una stanza: Benvenuti a casa Chesterton", è il titolo di una delle mostre del Meeting di quest'anno, che sarà curata da Ubaldo CasottoGloria Garafulich GraboisAndrea Monda,Edoardo RialtiAnnalisa Teggi.

Segnalazione da Andrea Carbonari

Caro presidente,
scrivo per segnalere che l'articolo di oggi diNicola Spes sulla Manifestazione di Parigi in difesa della famiglia ("Manif pour tous": una gioia spacciata per violenza") per la Bussola Quotidiana si conclude con una citazione di GKC. E non poteva essere altrimenti...
Questo il link: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-manif-pour-tous-una-gioia-spacciata-per-violenza-6553.htm
Saluti chestertoniani.
Andrea Carbonari

Riceviamo da Fuorilinea e volentieri pubblichiamo

 COMUNICATO STAMPA

 

IN OCCASIONE DEL 139° COMPLEANNO DI GILBERT KEITH CHESTERTON (29 MAGGIO 1874)

LA CASA EDITRICE FUORILINEA (WWW.FUORILINEA.IT) PUBBLICA

"L'ETA' VITTORIANA NELLA LETTERATURA" SCRITTO ESATTAMENTE 100 ANNI FA.

 

IN QUESTO PROFETICO SAGGIO, ASSENTE DALLE LIBRERIE ITALIANE DA OLTRE 70 ANNI, GKC AFFERMA CHE È STATA LA PENNA A MINARE L'UTILITARISMO MERCANTILE ACCETTATO IN NOME DELLA RICCHEZZA E DEL PRESTIGIO DELL'IMPERO COLONIALE BRITANNICO.

(Roma) Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) saggista, narratore e poeta inglese pubblica nel 1913 "Victorian Age in Literature" (questo il titolo originale): si tratta di un excursus sulla storia letteraria inglese senza però offrire – come scrive Saverio Simonelli nella prefazione –  "le canoniche biografie, la contestualizzazione storica, una guida per comprendere", poichè l'intenzione di Chesterton, come egli stesso afferma, era di occuparsi "dei grandi Vittoriani non servendomi unicamente di date e nomi, ma piuttosto ricorrendo a scuole e correnti di pensiero".
In questo saggio GKC sottolinea che è stata la grande letteratura a infrangere il compromesso vittoriano, ossia quell'atteggiamento che negava, grazie anche allo scudo morale di quella filosofia spietata che è l'utilitarismo, l'esistenza di un diffuso disagio sociale nell'Inghilterra della seconda rivoluzione industriale. I grandi scrittori – Charles Dickens, sicuramente, ma soprattutto Robert Louis Stevenson – hanno reagito a questa rimozione collettiva: ognuno a proprio modo ma tutti pienamente consapevoli che qualcosa di fondamentale fosse andato perduto nella loro società. L'Uomo. «Ne L'età vittoriana nella letteratura – come spiega Sabina Nicolini, curatrice dell'opera – "Chesterton intuisce che la ricerca ottusa del benessere ha portato a un autunno spirituale, a una strana e fredda atmosfera di vacuità in cui ciò che veramente conta veniva trascurato in nome del progresso».  
«I vittoriani – scrive Chesterton con profetica lungimiranza – credevano che il commercio estero di un paese dovesse portare la pace: e indubbiamente ha portato la guerra. Credevano che il commercio interno dovesse indubbiamente promuovere la prosperità: e ha in gran parte promosso la povertà. Ma per loro questi erano esperimenti; per noi devono essere insegnamenti. Se noi continueremo a trattare il popolo com'è nell'uso capitalista, se noi continueremo a servirci degli armamenti esteri com'è nell'uso capitalista, il nostro comportamento ricadrà pesantemente sui vivi. Il disonore non resterà ai morti».
«L'età vittoriana nella letteratura – spiega Franco Irawan Esposito-Soekardi, direttore editoriale di Fuorilinea – è un testo per molti versi profetico perché Chesterton sottolinea che un certo tipo di sviluppo, come l'avevano già intuito gli scrittori che passa in rassegna, non si sarebbe potuto sostenere a lungo, come poi dimostrato con l'ecatombe della Grande Guerra, scoppiata l'anno successivo». «Siamo particolarmente orgogliosi di annunciare la pubblicazione di questo libro, nella nuova ed eccellente traduzione di Federico Mazzocchi, nel giorno esatto del compleanno di Chesterton, e a pochi giorni prima dalTerzo incontro internazionale su Gilbert Keith Chestertonorganizzato da La Civiltà Cattolica insieme al Chesterton Institutee all'Associazione BombaCarta, che avrà luogo nella prestigiosa sede romana della Civiltà Cattolica, in via di Porta Pinciana 1, il prossimo 1° giugno dalle ore 16»(https://www.facebook.com/events/653894127959811/).
Un'intervista di Sabina Nicolini, curatrice dell'opera, è disponibile sul portale Rai Letteratura (http://www.letteratura.rai.it/articoli/chesterton-e-la-potenza-della-letteratura/21111/default.aspx)

 

L'Età vittoriana nella letteratura di Gilbert Keith Chesterton

a cura di Sabina Nicolini

fuorilinea – isbn 9788896551059

collana fuorilinea

Ufficio Stampa: +39 3286898127


Una sentenza storica per gli obiettori di coscienza - di Gianfranco Amato (da La Nuova Bussola Quotidiana)

Merita di essere letta con molta attenzione la sentenza [2013] CSIH 36 P876/11 emessa dalla Court of Session di Edimburgo, la Corte Suprema civile scozzese, in un caso divenuto un importante precedente, quello che nella common law si definisce un landmark case
E meritano di essere ricordati anche i nomi dei tre coraggiosi magistrati della Corte: Lord Mackay of Drumadoon, Lady Dorrian e Lord McEwan.
Il caso riguarda la vicenda di due ostetriche cattoliche, Mary Teresa Doogan e Concepta Wood, che da molti anni lavorano presso il plesso ospedaliero del NHS Greater Glasgow and Clyde Health. Avendo esercitato il diritto all'obiezione di coscienza, le due donne non sono mai state coinvolte nelle procedure di interruzione volontaria della gravidanza, fino al momento in cui, con la chiusura del Queen Mother's Maternity Hospital di Glasgow avvenuta nel 2010, si è registrato un aumento delle richieste di aborto.
Sul presupposto di una carenza di personale, la struttura sanitaria in cui operano le predette ostetriche ha preteso che le stesse dessero un'assistenza indiretta alle procedure di interruzione della gravidanza.

Il resto dell'articolo è nel collegamento qui sotto:


lunedì 27 maggio 2013

L'ordinazione di Spencer, prete italo-americano chestertoniano!

L'ordinazione di Spencer! Spencer è il primo ed unico prete italo-americano chestertoniano (ha tutte e due le tessere!).


Una vecchia recensione del bellissimo Cars di Pixar porta una bella citazione di Chesterton, e pensandoci bene Cars somiglia molto alla filosofia di Pimlico...

Io, Marco Sermarini, sono fissato dei film della Pixar. Li trovo molto belli, trovo che in loro ci sia sempre uno spunto educativo notevole, prima per i grandi e poi per i piccoli.
Uno di quelli che mi piace più di tutti è Cars.
Girando nel sito www.sentieridelcinema.it ho trovato una vecchia entusiastica recensione di questo bel film (attenzione: per me entusiastica non è un termine negativo e dispregiativo come per quelli che capiscono; una cosa entusiastica è una cosa da adulti, da gente che sa quello che vuole) e scavando c'è qualche frammento di Chesterton, proprio sulla famiglia.
Trovo molto bello questo film e l'ho sempre trovato chestertoniano: onestamente lo vedrei bene come descrizione plastica del capitolo quinto dell'Ortodossia, quando Chesterton parte ricordandoci che il mondo non è una casa d'affitto a Brighton e che anche Pimlico, quartiere degradato di Londra, merita che noi diamo la nostra vita per lui perché Roma è diventata grande perché qualcuno l'ha amata prima che lo fosse. Se ricordate, c'è una bellissima scena in cui Saetta, conquistato dalla semplicità e dall'innocenza di Cricchetto, cede le armi e decide di "starci", di stare al gioco e di rimanere per un po' a Radiator Springs, il paesello dimenticato sulla Route 66, the mother road, dopo aver tanto recalcitrato e cercato di fuggire, e si dedica a valorizzare tutti, da Guido il gommista fissato di Ferrari a Fillmore l'hippy al Sergente, e tutti dietro questa spinta sistemano e rendono bello il paesino perché qualcuno si era mosso e lo aveva iniziato ad amare. Il tutto condito con una bella canzone Anni Cinquanta, Sh-Boom (Life could be a dream) cantata dai Crew-Cuts, con una bella serata di primavera in cui tutti i pazzi veicoli di Cars sono amici, si aiutano e si vogliono bene.
Lo trovo bello e calzante e vi propongo di rivederlo (a casa lo facciamo spesso, piccoli e grandi) con due specialissimi lenti da occhiali 3-D; una ve la presto io e l'altra il bravo recensore di Sentieri del Cinema.

Marco Sermarini

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In principio fu 
Toy Story. Era il 1995 e il mondo rimase sorpreso dalla storia di Woody e Buzz, i due amici giocattoli che si facevano compagnia affrontando la realtà. Il pubblico rimase sbalordito da questo cocktail di tecnologia avanzata e contenuti per grandi e piccini e il film ebbe un ottimo successo. Si bissò due anni dopo con Toy Story 2, se possibile ancora meglio del primo: avventure entusiasmanti e ancora la storia di un'amicizia che non muore. Fu un altro successo. 
Poi la storia recente con Monster's & Co.Alla ricerca di Nemo e Gli Incredibili, capolavori con un unico grande tema comune: la paternità in azione. Anzi: negli ultimi film della Pixar si registra un'evoluzione della parola padre, dalla scoperta della bellezza di essere padre di Sully, il mostro burbero che si ritrova tra i piedi una bambina umana, alla tenacia di Marlin, il pesce pagliaccio che di fronte all'immensità dell'Oceano, non perde la certezza di ritrovare il figlioletto Nemo sano e salvo. Per finire con la forza di una famiglia (Gli incredibili) che riesce a far fronte al male solo grazie all'unità, allo stare insieme. Il bello di questi film è che con una semplicità propria solo dei più alti capolavori riescono a dire verità comprovate dall'esperienza. Che "la famiglia è la più grande delle avventure" (parola di Mr Incredible) o che le prove difficili che si possono ritrovare lungo il percorso sono più leggere grazie a una compagnia di amici con cui affrontarle. Per questi film vale il celebre motto di G. K. Chesterton secondo cui un amico ti accetta così come sei, mentre una moglie lotta, combatte, strilla tenace perché tu possa cambiare. E' proprio vero, riguardando un film come Gli incredibili, in cui la mamma si chiama Elastigirl, la donna elastica il cui abbraccio non conosce limiti, e che tiene unita una famiglia anche nei momenti di prova più dura. Ed è vero, tra le altre cose, anche per Cars, l'ultimo film targato Pixar.
Anche in Cars si ritrova una compagnia di amici, una donna, o meglio una Porsche che ama gratuitamente il protagonista e si fa in quattro perché possa cambiare. Anche in Cars si ritrova una figura adulta e saggia (il dottor Hudson), un padre che indica la strada e giudica della tua vita. Anche in Cars, quindi, vale il metodo del seguire, e non potrebbe essere altrimenti in un film interamente popolato da macchinine. Saetta McQueen, il protagonista, è una giovane, fiammante macchina da corsa. Ha successo, può diventare il numero 1 vincendo, di lì a pochi giorni, la gara decisiva per la Piston Cup, la coppa del mondo per le macchine. Ma nel segreto della propria camera (o meglio camion) da letto qualcosa non va. Tra bielle, pistoni, bulloni, cinghie e centraline qualcosa arrovella il nostro eroe e non lo rende felice. È inquieto Saetta: sa di avere tutto e niente al tempo stesso. Sa di essere solo, di non avere alcun amico che gratuitamente lo accompagni e con cui condividere la vita.
È una domanda di significato, e il cuore del film, questa, anche se il nostro metallico amico non lo sa. Ma la realtà sì, e interviene provvidenzialmente con un incidente che catapulterà Saetta McQueen, nella piccola e sconosciuta Radiator Springs, cittadina western poco lontano dalla mitica Route 66, popolata da macchine arrugginite, trattori mugghianti e maggiolini volanti. E in un mondo che non conosce, non privo di pericoli e di fatiche, Saetta sarà costretto per la prima volta a fidarsi, a seguire qualcuno. Sarà costretto a essere responsabile. Per la prima volta nella sua vita sarà costretto a rendere conto a qualcuno, a mantenere una promessa, invece di scappare dalla realtà a velocità folle. Rischierà di perdere tutto: i soldi, la fama, il successo e il lavoro per un altro che lo chiama. Perderà tutto ma troverà se stesso. E una compagnia che non finisce.

Simone Fortunato

Un evento che ha a che fare con il distributismo, la "Settimana Paraguayana" in Vaticano - da Vaticaninsider

Per la cronaca, il tema dell'incontro (Il Paradiso in Paraguay), riguardante le Reducciones dei Gesuiti, prende le mosse indovinate da che cosa?

Da un'espressione di Gilbert Keith Chesterton, che apostrofò le reducciones (cercate nel blog dell'Uomovivo e troverete...) "Il Paradiso in Paraguay"...

Qui sotto il collegamento all'articolo e l'articolo stesso, nel blog dell'Uomovivo inserendo nel motore di ricerca interno la parola "reducciones" troverete altri post molto interessanti sull'argomento. Se qualcuno si chiede che cosa sia il distributismo, possiamo dire che le reducciones gesuitiche ne sono un ottimo e calzante esempio.

http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/paraguay-paraguay-paraguay-25172/

Comincia oggi la «Settimana paraguayana» organizzata dall'ambasciata del paese sudamericano presso la Santa Sede

Comincia oggi la «Settimana paraguayana» organizzata dall' ambasciata in Paraguay presso la Santa Sede sul tema «Il Paradiso in Paraguay: le Missioni Gesuite del Paraguay. La Città di Dio nella Città terrena. La terra senza il male».

 

L'iniziativa, ospitata presso la Reale Accademia di Spagna, è stata promossa in collaborazione con la Pontificia Commissione per l'America Latina, del Meeting di Rimini e la Reale Accademia di Spagna in occasione dell'Anno della Fede, del Bicentenario della Proclamazione della Repubblica del Paraguay e del 25ø anniversario della Canonizzazione di  San Roque Gozalez de Santa Cruz SJ e della visita del Beato Papa Giovanni Paolo II in Paraguay.

 

Tra le attività in programma: una conferenza sulle Missioni Gesuite in Paraguay di padre Aldo Trento, sacerdote della Fraternità di San Carlo Borromeo, esperto di missioni in Paraguay e fondatore della Fondazione San Rafael di Asunción e una conferenza di padre Fidel Gonzales, professore di Storia della Chiesa presso la Gregoriana a e l'Urbaniana di Roma, che illustrerà la figura di San Roque Gozalez de Santa Cruz, il grande missionario gesuita presso gli indios Guaraní, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1988.

Sabina Nicolini su L'età vittoriana nella letteratura intervistata per Rai Letteratura

Come sapete, la Nipote del Drago (nome di battaglia di Sabina Nicolini) ha curato l'edizione de L'età vittoriana nella letteratura uscita per i tipi di Fuorilinea.
Ecco un'intervista video sull'argomento.

http://www.letteratura.rai.it/articoli/chesterton-e-la-potenza-della-letteratura/21111/default.aspx

Rimini, Roma, Grottammare, Chesterton ovunque

Ricordo a tutti che ci sono ben due incontri su GKC, uno il 30 maggio a Rimini e l'altro il 1 Giugno a Roma presso La Civiltà Cattolica.

Ci sarà padre Boyd, poi naturalmente i programmi differiscono.

Possiamo vederci da qualche parte, no? I northerns a Rimini, i southerns a Roma potrebbe essere un criterio semplice.

Poi il 30 Giugno 2013 ci sarà l'XI Chesteron Day a Grottammare, organizzato proprio da noi, e lì a casa mia aspetto proprio tutti: avremo ospiti anche dall'estero...!

A Rimini il 30 Maggio presenteremo anche la mostra su GKC e lo spettacolo sull'Uomovivo del Meeting per l'amicizia tra i popoli.

A Roma il 1 Giugno ci saranno relazioni e testimonianze, avremo anche il prof. Masolino D'Amico, nipote di Emilio Cecchi, primo traduttore ed amico italico di Chesterton.


Il programma dell'incontro a Roma di sabato 1 Giugno 2013 presso La Civiltà Cattolica

La Civiltà Cattolica - The Chesterton Institute - Associazione BombaCarta

sono lieti di invitarvi a

UN'AVVENTURA CHIAMATA "FAMIGLIA"
Terzo incontro internazionale su Gilbert K. Chesterton

RELAZIONI

«Family: the Only Possible House of Life»
by Fr. Ian Boyd, C.S.B. (G. K. Chesterton Institute for Faith & Culture - Seton Hall University, New Jersey)

«Due è duemila volte uno»
di Annalisa Teggi (traduttrice)

«Chesterton and Family Life»
by Dermot Quinn (G. K. Chesterton Institute for Faith & Culture - Seton Hall University, New Jersey)

- Fabio Canessa

Testimonianze di Masolino D'Amico,
Spencer Howe, Sabina Nicolini

Intermezzi con letture, videodocumenti, dibattiti

Troppo massicci!

Ecco i nostri eroi della classe III Media della nostra bella Scuola G. K. Chesterton vincitori del Premio Fabbricando ad Udine!

giovedì 23 maggio 2013

Un aforisma al giorno

"Se desideriamo salvare la famiglia, dobbiamo rivoluzionare la nazione".


Gilbert Keith Chesterton, What's wrong with the world 

mercoledì 22 maggio 2013

Un aforisma al giorno

«In nome di Dio e della Democrazia e della nonna del Drago - in nome cioè di tutte le cose buone - ti ordino di andartene e di non infestare più questa casa».

Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del Drago e altre serissime storie (in vendita da noi).

martedì 21 maggio 2013

Tremende Bazzecole - Corre nudo per le vie di Pechino con una croce sulle spalle. Martire? No, artista annoiato Leggi di Più: Artista cinese corre nudo in strada con croce | Annalisa Teggi su Tempi.it


Non voglio appartenere a una religione in cui mi è permesso avere un crocifisso.
Voglio che mi sia permesso esserne entusiasta.
G.K. Chesterton

L’arte si sa è un mestiere sui generis. Mentre noi arriviamo col fiatone a fine giornata, stressati, stanchi e con la lista delle cose da fare che si allunga a dismisura, per certi artisti la noia è compagna assidua di ogni giornata. Ma questa condizione tremenda e insopportabile è poi capace di generare quell’estro creativo per cui – noi stressati restiamo dei comuni mortali – e, invece, l’artista annoiato diventa un genio.
CroceNudoNon sono sicura che l’epiteto di genio possa applicarsi al signor Li Binyuan, ma di certo lui stesso si è dichiarato molto annoiato. Inoltre la laurea conseguita presso la China Central Academy of Fine Arts lo qualifica come artista. Qualche sera fa si è messo a correre nudo per le vie di Pechino portando con sé una gigantesca croce; ad aprile aveva già fatto il medesimo tipo di sortita, con una bambola gonfiabile. Non è dato sapere quale guizzo creativo abbia fatto sgorgare dall’animo del signor Li questa esplosione artistica, ma è dato sapere che ha gradito molto vedere il suo gesto dilagare con grande successo sui social networks. Pare che questo abbia anche lenito il fastidio della noia che lo attanagliava.
Ma ora, il signor Li è un po’ nei guai perché al governo di Pechino la sua «performance artistica» non è affatto piaciuta. Eh sì, andarsene a spasso con una croce così grande da quelle parti è scandaloso – verrebbe da pensare. E invece no, il problema è un altro: in Cina la nudità in pubblico è reato. Ed è stato nel leggere questo che i miei pensieri hanno cominciato a uscire dal seminato, cioè a perdersi in strane fantasie.
Un primo pensiero mi ha portato a riflettere sul concetto di «performance artistica»: la nudità associata alla croce è senza dubbio un gesto di tendenza. Ce lo insegnano quelle altre artiste della femminilità del movimento Femen, che hanno avuto l’intuizione geniale di spogliarsi e di mettere in croce pure la Barbie. La noia di un artista cinese vs la rivoluzione delle femministe dell’Est: ai posteri l’ardua sentenza su chi meriti il premio per la migliore messa in scena.
Un altro pensiero mi ha fatto venire in mente un video musicale: quello in cui una giovane ragazza se ne andava a spasso per le vie di New York con un cuore gigantesco, venendo snobbata se non emarginata da tutti. Solo quando il cuore in questione si rimpiccioliva a dimensioni modeste, un ragazzo la degnava di attenzione; e poi il medesimo giovanotto se la dava a gambe quando il cuore ricominciava a diventare smisuratamente grande. Paradossale: cosa ci può essere di pericoloso o fastidioso in un cuore gigante? Ma, di fatto, tutto ciò che è fuori scala – anche nel bene – suscita in noi diffidenza e anche preoccupazione.
Mi è, poi, venuto da pensare che la croce non è un cuore. E, infatti, nel caso della croce non bastano neppure le dimensioni modeste: che siano piccole o grandi, le croci che i cristiani portano addosso oggi sembrano in ogni caso un simbolo troppo sfacciato. Le togliamo dalle scuole, le togliamo persino dalle montagne e a qualcuno vengono pure fatte togliere di dosso. E mi viene da pensare che molti di coloro che pensano che sia oltraggioso, o comunque non rispettoso delle diversità culturali, esibire un crocifisso sarebbero decisamente più propensi a «perdonarci» l’ostentazione di questo simbolo se ci giustificassimo dicendo che si tratta di una «performance artistica». L’estro artistico – si sa – è un lasciapassare più potente del senso comune, della ragionevolezza e della memoria storica.
Ma questo malanimo nei confronti della croce è cosa non nuova, infatti lo stesso signor Chesterton racconta un episodio che lo vide coinvolto personalmente nel Primo Dopoguerra: nella sua città si era pensato di erigere un monumento ai caduti di guerra e alcuni avevano avanzato la proposta indecente che questo monumento fosse una croce. Neanche a dirlo, cominciarono a sollevarsi non proprio delle aperte proteste … ma … diciamo così … furono avanzate delle ragionevoli alternative.
«La prima cosa che è interessante notare, tipica dello spirito della modernità, è un atteggiamento tollerante, che, alla fin fine, è frutto di timidezza. Si potrebbe pensare che la libertà religiosa significhi la possibilità che ognuno possa discutere di religione a suo piacimento. In realtà, nessuno ha il diritto di parlarne» (da Autobiografia). I timidi di cui parla Chesterton non appartenevano certo alla classe popolare, perché – a onor del vero – la gente comune avrebbe avuto l’onestà intellettuale di dichiarare apertamente che la croce non gli stava bene. Erano i benpensanti e i capi di partito a suggerire l’ipotesi che un club per i reduci di guerra, o una fontana pubblica o – addirittura – una pompa di benzina fossero alternative più fruttuose di una nuda croce:
«Quelli che abitavano nelle casupole della Città Vecchia amavano la croce perché era cristiana oppure la odiavano perché era papista, e lo dicevano sempre. Ma i capi del partito anitipapista si vergognavano di parlare di antipapismo e non esprimevano con chiarezza il loro pensiero sulla malvagità del crocifisso, dilungandosi invece sull’utilità del distributore di benzina e della fontana pubblica». Il dibattito andò avanti e non poteva che essere così, spiega il signor Chesterton: «A ogni modo, la croce rappresentò il punto cruciale: sembra un gioco di parole, ma è la pura verità. È ben strano che pochi tra coloro che pensavano che la croce fosse il punto cruciale ammettessero che era cruciale proprio perché si trattava di una croce».
È ben strano, infatti. Ed è anche tipico della noia e della pigrizia che pervade tutti noi – non solo il signor Binyuan – dimenticarci di come parliamo e del perché parliamo in un certo modo. Noi diciamo «cruciale», e non lo facciamo perché siamo ferventi religiosi. Lo facciamo perché riconosciamo – con una lapalissiana evidenza consapevole – il senso della croce come simbolo. Ed è da lì che occorre partire, ancor prima di mettersi a ragionare su chi in croce ci è morto. La croce è innanzitutto un conflitto, che il signor Chesterton sintetizza così: «La croce è una figura ad angoli retti coraggiosamente volti in opposte direzioni. […]. La croce riassume l’idea di un conflitto che si estende nell’eternità. In altre parole, la croce, come fatto e come simbolo, esprime la necessità di uscire dal cerchio che è tutto e niente» (da L’uomo eterno).
Sì, perché l’unica alternativa geometrica alla croce è il cerchio e il cerchio è un girotondo che torna su se stesso. E, dunque, qual è la nostra visione del mondo? Come vogliamo trattare le cose che ci riguardano? Vogliamo girarci intorno o incrociarle? Il conflitto o la peripezia, alla fine è questo il punto. La croce, sostanzialmente, ci parla di qualcosa che viene al «dunque» e perciò edifica e procede. È il cardo e decumano, la base dell’urbanistica. Sono i quattro punti cardinali del marinaio e gli assi cartesiani del matematico. Che la croce sia una questione cruciale ci è sotto gli occhi costantemente: quando nostro figlio usa la riga e la squadra per fare i compiti di geometria, quando guardiamo le mappe sul navigatore e persino quando giochiamo a battaglia navale. È a partire da questo dato concreto, tangibile ed edificante (nel vero senso del termine) che dovrebbe – in un secondo momento – suscitare in noi degli interrogativi, delle domande (forse della meraviglia) il fatto che il Dio fatto Uomo ce lo abbia consegnato come simbolo del suo essere venuto al dunque delle cose, per noi.
Cosa accadrebbe se in una città fatta solo di cerchi concentrici, all’improvviso comparisse un incrocio?  Il signor Li Binyuan, che appartiene alla cultura per eccellenza devota al cerchio, quella orientale, ha per un attimo dato questa impressione simbolica: ha mostrato il conflitto di una croce a chi ha una visione del mondo legata a una perenne e immutabile ciclicità. Non era nelle sue intenzioni, ma il suo gesto strampalato ed esibizionistico aveva – ironicamente – proprio un senso:
«II buddismo è centripeto; il cristianesimo è centrifugo: prorompe. Il circolo è, per sua natura, infinito e perfetto, ma resta fissato nelle sue dimensioni; non può essere né più grande né più piccolo. La croce, che ha nel suo cuore una collisione e una contraddizione, può stendere le sue quattro braccia all’infinito senza alterare la sua forma. Per il paradosso centrale che essa contiene può crescere senza cambiare. Il cerchio torna su se stesso ed è bloccato. La croce spalanca le sue braccia ai quattro venti: è un segnale-guida per liberi viaggiatori» (da Ortodossia).
Che ci fa un uomo nudo con una croce sulle spalle? Per un attimo, a Pechino qualcuno, colto di sorpresa da un’inaspettata comparsa, si è posto  questa domanda con un guizzo di autenticità più sincera di quanta ne mostriamo noi in Occidente quando  ci mettiamo a discutere (sempre girandoci intorno) di un evento che ha segnato la nostra Storia.

PS: se a qualcuno è rimasta la curiosità di sapere come andò a finire la vicenda sul monumento ai caduti che vide coinvolto il signor Chesterton, mi affretto a svelare il tutto: «Vi fu una sorta di plebiscito sui giornali in cui era quasi impossibile sapere cosa votare, ma che si concluse con un’esigua maggioranza a favore della costruzione di un club per i reduci. Il club, per cui aveva votato la maggioranza, non venne mai costruito. La croce, per cui la minoranza aveva dimenticato di votare, invece fu costruita. Quando cessò il clamore dei giornali e ognuno andò per i fatti suoi, un prete raccolse i fondi, da solo e senza chiasso, ottenne denaro sufficiente per innalzare la croce e la fece costruire» (da Autobiografia).