La repressione degli uiguri non è un caso isolato. Protestanti in carcere e vescovi scomparsi. L'oppressione ai diritti umani in Cina è endemica e ha creato le basi per rivolte e scontri che possono provocare inquietudini e guerre ovunque. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II: I diritti umani sono la base della pace.
Roma (AsiaNews) - Nell’incontrare oggi il suo omologo cinese Hu Jintao, il presidente italiano Giorgio Napolitano ha accennato alla questione dei diritti umani. Entrambi i due capi di Stato hanno concordato che “lo stesso sviluppo economico in Cina apre nuove prospettive e pone nuove esigenze nel campo dei diritti dell'uomo”.
Quanto detto da Napolitano si trova tale e quale in Carta 08, un documento stilato e sottoscritto da intellettuali, accademici, attivisti e membri del Partito comunista cinese che chiedono – in modo non violento - riforme democratiche nel Paese per fermare violenze e ingiustizie provocate dai successi dello sviluppo economico cinese senza alcun rispetto per la dignità dell’uomo.
“I folli risultati – si legge in Carta 08 - sono una endemica corruzione dei quadri, un minare lo Stato di diritto, mancanza di tutela dei diritti della popolazione, perdita di etica, capitalismo grossolano, polarizzazione della società fra ricchi e poveri, sfruttamento e abuso dell’ambiente naturale, dell’ambiente umano e storico, un acutizzarsi di una lunga lista di conflitti sociali, in particolare un indurimento dell’animosità fra rappresentanti ufficiali e gente ordinaria”.
Carta 08 dice anche che “conflitti e crisi crescono di intensità” giorno per giorno. Quasi a conferma di ciò, ieri sera a Urumqi sono avvenuti sanguinosi scontri fra la popolazione locale e la polizia. Sebbene la Cina continui ad accusare gruppi di uiguri all’estero, tutti sanno che il problema è interno e dura da decenni.
Con la scusa di “combattere il terrorismo islamico” Pechino sta colonizzando la regione e opprime con leggi d’emergenza la popolazione e la sua religiosità. Gli imam uiguri devono presentare al governo ogni venerdì il testo dei loro sermoni; è proibita l’educazione religiosa dei giovani fino ai 18 anni; scuole islamiche e moschee sono distrutte (a favore dello “sviluppo economico”; ragazzi nelle scuole sono obbligati dagli insegnanti a mangiare durante il Ramadan.
L’emarginazione sociale e politica a cui sono sottomessi gli uiguri nella loro terra è pari solo alla stessa emarginazione e accuse subite dai tibetani nel Qinghai o nella regione “autonoma” del Tibet.
Anzi, si può dire che lo schema di questi giorni ricalca da vicino i fatti e le teorie sulla rivolta tibetana prima delle Olimpiadi. Anche nel marzo 2008 una manifestazione pacifica si è trasformata in uno scontro violento con l’esercito che ha fatto decine di morti, a cui sono seguiti migliaia di arresti e legge marziale.
La violenza verso minoranze uiguri e tibetane non è diversa da quella subita da altri gruppi. Attivisti per i diritti umani; avvocati che difendono i poveri contro le ruberie dei membri del Partito; contadini che dimostrano per l’esproprio di terre o case trovano la stessa risposta del governo: il soffocamento e la repressione.
Anche comunità religiose che non hanno – come gli uiguri e i tibetani – delle rivendicazioni territoriali subiscono le stesse violenze alla loro dignità e libertà. Da almeno 2 anni è in atto una campagna per eliminare tutte le comunità protestanti sotterranee e le cosiddette chiese domestiche, distruggendo chiese, arrestando i pastori, bastonando i fedeli, proibendo la diffusione di bibbie.
La comunità cattolica non sta meglio. I vescovi ufficiali – circa 70, riconosciuti da Pechino – sono ormai sotto un controllo ferreo perché segretamente riconciliati col papa. I vescovi sotterranei – non riconosciuti – sono tutti (circa 40) agli arresti domiciliari. Vale la pena ricordare che alcuni di loro sono scomparsi da tempo: mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 75 anni, arrestato e scomparso dal 1996; mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 86 anni, arrestato e scomparso il 13 aprile 2001; mons. Giulio Jia Zhiguo, scomparso per l’ennesima volta il 30 marzo scorso.
Se a uiguri, tibetani, attivisti democratici, protestanti, cattolici, aggiungiamo gli scontenti della crisi economica, i disoccupati e i migranti, è evidente che la Cina è seduta su una polveriera che può scoppiare da un momento all’altro e anzi sta provocando continue rivolte e scontri con esercito e polizia.
Un’implosione della Cina porterebbe sconquassi e problemi in tutto il mondo. Mai è stato più evidente il nesso fra diritti umani e la pace affermato da Benedetto XVI ( Messaggio all’Unesco 2005) e da Giovanni Paolo II (v. Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 1999)
Non rispettando i diritti umani, la Cina rende il mondo più vicino alla guerra.
Il comunicato del Quirinale si è affrettato a dire che ogni azione dell’Italia verso Pechino sui diritti umani avverrà comunque "nel massimo rispetto delle ragioni cinesi e dell'autonomia delle istituzioni” del Paese asiatico. Forse è un po’ troppo poco.
Roma (AsiaNews) - Nell’incontrare oggi il suo omologo cinese Hu Jintao, il presidente italiano Giorgio Napolitano ha accennato alla questione dei diritti umani. Entrambi i due capi di Stato hanno concordato che “lo stesso sviluppo economico in Cina apre nuove prospettive e pone nuove esigenze nel campo dei diritti dell'uomo”.
Quanto detto da Napolitano si trova tale e quale in Carta 08, un documento stilato e sottoscritto da intellettuali, accademici, attivisti e membri del Partito comunista cinese che chiedono – in modo non violento - riforme democratiche nel Paese per fermare violenze e ingiustizie provocate dai successi dello sviluppo economico cinese senza alcun rispetto per la dignità dell’uomo.
“I folli risultati – si legge in Carta 08 - sono una endemica corruzione dei quadri, un minare lo Stato di diritto, mancanza di tutela dei diritti della popolazione, perdita di etica, capitalismo grossolano, polarizzazione della società fra ricchi e poveri, sfruttamento e abuso dell’ambiente naturale, dell’ambiente umano e storico, un acutizzarsi di una lunga lista di conflitti sociali, in particolare un indurimento dell’animosità fra rappresentanti ufficiali e gente ordinaria”.
Carta 08 dice anche che “conflitti e crisi crescono di intensità” giorno per giorno. Quasi a conferma di ciò, ieri sera a Urumqi sono avvenuti sanguinosi scontri fra la popolazione locale e la polizia. Sebbene la Cina continui ad accusare gruppi di uiguri all’estero, tutti sanno che il problema è interno e dura da decenni.
Con la scusa di “combattere il terrorismo islamico” Pechino sta colonizzando la regione e opprime con leggi d’emergenza la popolazione e la sua religiosità. Gli imam uiguri devono presentare al governo ogni venerdì il testo dei loro sermoni; è proibita l’educazione religiosa dei giovani fino ai 18 anni; scuole islamiche e moschee sono distrutte (a favore dello “sviluppo economico”; ragazzi nelle scuole sono obbligati dagli insegnanti a mangiare durante il Ramadan.
L’emarginazione sociale e politica a cui sono sottomessi gli uiguri nella loro terra è pari solo alla stessa emarginazione e accuse subite dai tibetani nel Qinghai o nella regione “autonoma” del Tibet.
Anzi, si può dire che lo schema di questi giorni ricalca da vicino i fatti e le teorie sulla rivolta tibetana prima delle Olimpiadi. Anche nel marzo 2008 una manifestazione pacifica si è trasformata in uno scontro violento con l’esercito che ha fatto decine di morti, a cui sono seguiti migliaia di arresti e legge marziale.
La violenza verso minoranze uiguri e tibetane non è diversa da quella subita da altri gruppi. Attivisti per i diritti umani; avvocati che difendono i poveri contro le ruberie dei membri del Partito; contadini che dimostrano per l’esproprio di terre o case trovano la stessa risposta del governo: il soffocamento e la repressione.
Anche comunità religiose che non hanno – come gli uiguri e i tibetani – delle rivendicazioni territoriali subiscono le stesse violenze alla loro dignità e libertà. Da almeno 2 anni è in atto una campagna per eliminare tutte le comunità protestanti sotterranee e le cosiddette chiese domestiche, distruggendo chiese, arrestando i pastori, bastonando i fedeli, proibendo la diffusione di bibbie.
La comunità cattolica non sta meglio. I vescovi ufficiali – circa 70, riconosciuti da Pechino – sono ormai sotto un controllo ferreo perché segretamente riconciliati col papa. I vescovi sotterranei – non riconosciuti – sono tutti (circa 40) agli arresti domiciliari. Vale la pena ricordare che alcuni di loro sono scomparsi da tempo: mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 75 anni, arrestato e scomparso dal 1996; mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 86 anni, arrestato e scomparso il 13 aprile 2001; mons. Giulio Jia Zhiguo, scomparso per l’ennesima volta il 30 marzo scorso.
Se a uiguri, tibetani, attivisti democratici, protestanti, cattolici, aggiungiamo gli scontenti della crisi economica, i disoccupati e i migranti, è evidente che la Cina è seduta su una polveriera che può scoppiare da un momento all’altro e anzi sta provocando continue rivolte e scontri con esercito e polizia.
Un’implosione della Cina porterebbe sconquassi e problemi in tutto il mondo. Mai è stato più evidente il nesso fra diritti umani e la pace affermato da Benedetto XVI ( Messaggio all’Unesco 2005) e da Giovanni Paolo II (v. Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 1999)
Non rispettando i diritti umani, la Cina rende il mondo più vicino alla guerra.
Il comunicato del Quirinale si è affrettato a dire che ogni azione dell’Italia verso Pechino sui diritti umani avverrà comunque "nel massimo rispetto delle ragioni cinesi e dell'autonomia delle istituzioni” del Paese asiatico. Forse è un po’ troppo poco.
Nessun commento:
Posta un commento