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domenica 31 maggio 2009

Gravissima dimenticanza (ma succede tutti gli anni! Ma per fortuna ci sono dei soci bravi!)! Il 29 è stato il compleanno di Gilbert!!!

Ebbene sì, l'Uomo Vivo s'è scordato del compleanno di Gilbert!
Meno male che anche stavolta c'è stato qualcuno che se n'é ricordato!

L'Uomo Vivo è profondamente convinto che Gilbert si sia scordato per tutta la sua santa vita dei compleanni di mezzo mondo (e così cerca di giustificare le sue mancanze...), ma la gratitudine verso di lui -siccome è quotidiana, ampia, tracimante, colossale!- sopperisce a tutte le carenze!

Quale sconto della grave dimenticanza, l'Uomo Vivo oggi ripropone il famoso passo dell'Autobiografia in cui Gilbert parla di quando nacque. Grazie, Signore, per averci dato Gilbert!

"Piegandomi alla cieca credulità, come son solito fare, alla mera autorità e alla tradizione dei miei maggiori, ingoiando superstiziosamente una storia che non mi fu possibile controllare a suo tempo con l'esperienza personale, io sono d'opinione fermissima di essere nato il 29 maggio 1874 a Campden Hill , Kensington, e d'esser stato battezzato, secondo le formule della Chiesa d'Inghilterra, nella chiesetta di San Giorgio, situata di fronte alla grande torre serbatoio che domina quella posizione elevata. Non pretendo che vi sia alcun significato particolare, nella relazione in cui si trovano le due costruzioni e mi rifiuto sdegnosamente di credere che tale chiesa fu scelta perché ci voleva tutta la potenza idrica della parte occidentale di Londra per farvi diventar cristiano".

Omelia di Benedetto XVI per la Pentecoste 2009.

Cari fratelli e sorelle!

Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, viviamo nella fede il mistero che si compie sull’altare, partecipiamo cioè al supremo atto di amore che Cristo ha realizzato con la sua morte e risurrezione. L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, "forme" specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia. Tra tutte le solennità, la Pentecoste si distingue per importanza, perché in essa si attua quello che Gesù stesso aveva annunciato essere lo scopo di tutta la sua missione sulla terra. Mentre infatti saliva a Gerusalemme, aveva dichiarato ai discepoli: "Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!" (Lc 12,49). Queste parole trovano la loro più evidente realizzazione cinquanta giorni dopo la risurrezione, nella Pentecoste, antica festa ebraica che nella Chiesa è diventata la festa per eccellenza dello Spirito Santo: "Apparvero loro lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito Santo" (At 2,3-4). Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del "dono di Dio" ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce.

Dio vuole continuare a donare questo "fuoco" ad ogni generazione umana, e naturalmente è libero di farlo come e quando vuole. Egli è spirito, e lo spirito "soffia dove vuole" (cfr Gv 3,8). C’è però una "via normale" che Dio stesso ha scelto per "gettare il fuoco sulla terra": questa via è Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto. A sua volta, Gesù Cristo ha costituito la Chiesa quale suo Corpo mistico, perché ne prolunghi la missione nella storia. "Ricevete lo Spirito Santo" – disse il Signore agli Apostoli la sera della risurrezione, accompagnando quelle parole con un gesto espressivo: "soffiò" su di loro (cfr Gv 20,22). Manifestò così che trasmetteva ad essi il suo Spirito, lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, cari fratelli e sorelle, nell’odierna solennità la Scrittura ci dice ancora una volta come dev’essere la comunità, come dobbiamo essere noi per ricevere il dono dello Spirito Santo. Nel racconto, che descrive l’evento di Pentecoste, l’Autore sacro ricorda che i discepoli "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo". Questo "luogo" è il Cenacolo, la "stanza al piano superiore" dove Gesù aveva fatto con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto; quella stanza che era diventata per così dire la "sede" della Chiesa nascente (cfr At 1,13). Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: "Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera" (At 1,14). Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera.

Questo, cari fratelli e sorelle, vale anche per la Chiesa di oggi, vale per noi, che siamo qui riuniti. Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola. Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno "affannata" per le attività e più dedita alla preghiera. Ce lo insegna la Madre della Chiesa, Maria Santissima, Sposa dello Spirito Santo. Quest’anno la Pentecoste ricorre proprio nell’ultimo giorno di maggio, in cui si celebra solitamente la festa della Visitazione. Anche quella fu una sorta di piccola "pentecoste", che fece sgorgare la gioia e la lode dai cuori di Elisabetta e di Maria, una sterile e l’altra vergine, divenute entrambe madri per straordinario intervento divino (cfr Lc 1,41-45). La musica e il canto, che accompagnano questa nostra liturgia, ci aiutano anch’essi ad essere concordi nella preghiera, e per questo esprimo viva riconoscenza al Coro del Duomo e alla Kammerorchester di Colonia. Per questa liturgia, nel bicentenario della morte di Joseph Haydn, è stata infatti scelta molto opportunamente la sua Harmoniemesse, l’ultima delle "Messe" composte dal grande musicista, una sublime sinfonia per la gloria di Dio. A voi tutti convenuti per questa circostanza rivolgo il mio più cordiale saluto.

Per indicare lo Spirito Santo, nel racconto della Pentecoste gli Atti degli Apostoli utilizzano due grandi immagini: l’immagine della tempesta e quella del fuoco. Chiaramente san Luca ha in mente la teofania del Sinai, raccontata nei libri dell’Esodo (19,16-19) e del Deuteronomio (4,10-12.36). Nel mondo antico la tempesta era vista come segno della potenza divina, al cui cospetto l’uomo si sentiva soggiogato e atterrito. Ma vorrei sottolineare anche un altro aspetto: la tempesta è descritta come "vento impetuoso", e questo fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere su di esso. Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale. Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria – e per questo l’impegno ecologico rappresenta oggi una priorità –, altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo spirito. Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, l’aria salubre dello spirito che è l’amore!

L’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli è il fuoco. Accennavo all’inizio al confronto tra Gesù e la figura mitologica di Prometeo, che richiama un aspetto caratteristico dell’uomo moderno. Impossessatosi delle energie del cosmo – il "fuoco" – l’essere umano sembra oggi affermare se stesso come dio e voler trasformare il mondo escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo. L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre. Nelle mani di un uomo così, il "fuoco" e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia. A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite.

Si potrebbero in verità trovare molti esempi, meno gravi eppure altrettanto sintomatici, nella realtà di ogni giorno. La Sacra Scrittura ci rivela che l’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello "spirito di Dio che aleggiava sulle acque" (Gn 1,2) all’inizio della creazione. E Gesù Cristo ha "portato sulla terra" non la forza vitale, che già vi abitava, ma lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che "rinnova la faccia della terra" purificandola dal male e liberandola dal dominio della morte (cfr Sal 103/104,29-30). Questo "fuoco" puro, essenziale e personale, il fuoco dell’amore, è disceso sugli Apostoli, riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo, per fare della Chiesa il prolungamento dell’opera rinnovatrice di Cristo.

Infine, un ultimo pensiero si ricava ancora dal racconto degli Atti degli Apostoli: lo Spirito Santo vince la paura. Sappiamo come i discepoli si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte. Dopo la risurrezione di Gesù questa loro paura non scomparve all’improvviso. Ma ecco che a Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto. Non avevano alcun timore, perché si sentivano nelle mani del più forte. Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini. Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: "Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!".

venerdì 29 maggio 2009

Rassegna stampa - 29 Maggio 2009

29 Maggio 2009 - Avvenire
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: Un'alleanza educativa 253 KB

29 Maggio 2009 - Gazzettino
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: L'educazione è l'esempio 108 KB

31 Maggio 2009 - FamigliaCristiana
Bagnasco: lavoratori non zavorra 3.6 MB

29 Maggio 2009 - Sole24ore
I valori iniziano dall'identità 646 KB

29 Maggio 2009 - Libero
Fisichella: la questione morale non è gossip 73 KB

29 Maggio 2009 - CorrieredellaSera
Obama manda un teologo in Vaticano 107 KB

29 Maggio 2009 - Avvenire
Una nomina che funge da termometro 83 KB

Azzurro, l'ultima fatica dell'amico Fabio Canessa



Fabio Canessa, caro amico e coprotagonista del Chesterton Day 2008, na dato alle stampe quest'opera interessante, di cui parla un altro nostro amico, Andrea Monda, in questo articolo che segue. Bravo, Fabio, bella prova!

L'editrice Donzelli presenta un saggio di Fabio Canessa sulla canzone cantata da Celentano su melodia di Paolo Conte di Andrea Monda

Nel novembre 2007 un sondaggio ha stabilito che la canzone italiana più cantata all’estero è “Azzurro”, seguita da “Volare” e “’O sole mio”. Fa dunque bene Fabio Canessa a intitolare il primo capitolo del suo libro su “Azzurro”, “Un altro inno nazionale”, che si conclude con l’affermazione secondo cui la famosa canzone, cantata da Celentano sulla melodia di Paolo Conte e le parole di Vito Pallavicini, è la trasfigurazione artistica più compiuta di un «ossimoro fertilissimo» che riesce a realizzare «la giusta alchimia per far emergere l’identità più autentica degli italiani, sempre miracolosamente in bilico fra ortodossia e trasgressione […] fra attaccamento alle radici e attrazione per i modelli d’oltreoceano, fra religiosità e disincanto, fra malinconia e umorismo, fra reale e surreale».

Inserito nella collana “Canzoni”, che l’editore calabrese Donzelli ha avviato qualche anno fa, il saggio di Canessa non solo è uno dei testi più piacevoli e interessanti tra quelli usciti di recente in Italia, ma è anche una buona occasione per riflettere sull’identità italiana, sulla storia degli ultimi 40 anni (la canzone esce a metà del fatidico 1968), sulla magia della musica, sull’importanza delle cosiddette «canzonette» e altro ancora. Il fatto è che Canessa non ha solo una scrittura che quasi ipnotizza il lettore, ma anche un bagaglio culturale di tale ampiezza da condurlo verso luoghi insospettati e inesplorati, proprio come fa la stessa canzone oggetto della sua indagine.

In “Azzurro” c’è l’oratorio ma anche il baobab e il leone, la malinconia di un pomeriggio «arci-italiano» ma anche un vago esotismo, insomma di nuovo l’ossimoro fertilissimo («l’Africa in giardino»). La «spensierata malinconia» è la linfa di questa canzone che, come nota Maurizio Bianchini, «appartiene a quel genere di canzoni che sono scritte dal proprio tempo più che da un autore empirico. Un po’ come “La vie en rose”, “Lili Marlene” o “Blowin’ in the wind”. Più che pregevoli canzoni, o belle canzoni, sono canzoni in cui è racchiuso lo spirito del tempo».

Il saggio di Canessa è strutturato con logica euclidea: presentazione della canzone, racconto biografico e artistico dei tre autori (Celentano, Conte, Pallavicini), analisi puntale e appassionata della canzone. All’interno di questa rigida architettura, Canessa si muove con padronanza fino alla temerarietà, come quando intuisce in Celentano una natura di «epigone di Chesterton» per l’allegria con cui entrambi si sono divertiti a rompere tutti gli schemi e le convenzioni del tempo volendo ricordare agli uomini che «sono ancora vivi». In questo «clima» troviamo perfino una citazione di Benigni che paragona Celentano ad «una via di mezzo tra Papa Giovanni e Brigitte Bardot» e, parlando proprio di “Azzurro”, afferma che «la bellezza è la moneta di Dio, non bisogna accumularla, bisogna farla circolare». È quello che ha fatto anche Canessa con questo curioso saggio, divertito e divertente.

"Azzurro", F. Canessa, Donzelli, p.115, 16 euro

Un aforisma al giorno - 111

"L'abitudine moderna di dire: «Ogni uomo ha una filosofia diversa; questa è la mia filosofia e per me va bene», è semplice frutto di debolezza mentale. Una filosofia cosmica non si costruisce perchè vada bene a un uomo; una filosofia cosmica è costruita perchè vada bene per un cosmo. L'uomo non può possedere una religione tutta sua personale allo stesso modo che non può possedere un sole e una luna in privata proprietà".

Gilbert Keith Chesterton, Giobbe, 1929

Ecco il VII Chesterton Day! 28 Giugno 2009 ore 19.30 e seguenti!


Carissimi Amici Chestertoniani d'Italia, ecco LA notizia!

Il VII Chesterton Day si svolgerà a Grottammare (AP), Casa San Francesco, Contrada San Francesco, domenica 28 Giugno 2009 dalle ore 19.30 in poi!
Il tema di quest'anno sarà un'espressione di George Bernard Shaw:

"Chesterton: mentre lo guardiamo sembra allargarsi sotto i nostri occhi in tutte le direzioni..."

Parteciperanno:

Angelo Bottone, docente di filosofia al University College Dublin (Chesterton, la scienza e Stanley Jaki)
Fabio Trevisan, cofondatore dei Gruppi Chestertoniani Veronesi (Gilbert l'Antieugenetico)
Paolo Morganti, editore e traduttore di Chesterton (Gilbert l'Uomovivo)
Paolo Gulisano, scrittore e vicepresidente della Società Chestertoniana Italiana (Chesterton, Oscar Wilde e George McDonald)
Roberto Prisco, cofondatore dei Gruppi Chestertoniani Veronesi (Gilbert e le donne)
Alessandro Gnocchi, scrittore e giornalista (Paese delle Fate e Villaggio Globale - GKC, McLuhan e l'arte della comunicazione).

L'incontro partirà prima di cena, continuerà durante la gustosissima cena a prezzi modici che verrà servita nel grande prato di Casa San Francesco, luogo ameno e piacevole, e proseguirà dopo la cena.

Ci sarà un ampia scelta di libri di Chesterton in vendita, la possibilità di iscriversi alla SCI e di usufruire delle convenzioni, e tante altre cose belle e curiose, oltre che una fauna umana introvabile altrove!

Divertimento assicurato, piacere di stare insieme da buoni amici garantito.

Aspettiamo tutti, soci, amici e simpatizzanti, con mogli e mariti e anche figli (c'è anche chi li farà divertire!). E' una buona occasione per vedere come siamo fatti!!!

giovedì 28 maggio 2009

Chesterton in altre parole - 25

"È l’equilibrio che è eccitante, cioè Chesterton è nemico di ogni sorta di riposo. Chesterton non vuole rilassarsi, vuole continuamente essere eccitato e continuamente essere messo alla prova per qualche cosa. L’idea di essere fermo da qualche parte è non solo la china del peccato dal punto di vista cristiano, ma da un punto di vista vitale è l’inizio della fine".

Fabio Canessa, Chesterton Day 2008

Rassegna stampa - 28 Maggio 2009


28 Maggio 2009 - èVita
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: Il manifesto si fa in mille 141 KB

28 Maggio 2009 - MessaggeroVeneto
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: Gigli presenta il manifesto 50 KB

28 Maggio 2009 - CorrieredellaSera
Politica
SI PARLA DI NOI :: Il premier governi 119 KB

28 Maggio 2009 - Avvenire
Parità Scolastica
Diritto non privilegio 341 KB

28 Maggio 2009 - Sole24ore
Scuola
I vescovi: evitare i tagli 38 KB

28 Maggio 2009 - èVita
Fecondazione Artificiale
Due commissioni per vigilare sulla legge 40 137 KB

SPAGNA/ L'aborto come la chirurgia plastica, il nuovo slogan dello zapaterismo


L'intelligentissimo ministro della salute spagnolo, Bibiana Aìdo

SPAGNA/ L’aborto come la chirurgia plastica, il nuovo slogan dello zapaterismo

Fernando De Haro - da IlSussidiario.net

giovedì 28 maggio 2009

Una ministra del Governo spagnolo (Bibiana Aído), per giustificare il fatto che le ragazze di 16 anni possano abortire senza il consenso dei genitori, compara la morte del bambino che non nascerà con un’operazione di chirurgia estetica. Che abbia utilizzato l’espressione “rifarsi le tette” per chiarire a che tipo di operazione si riferiva è una stupidaggine. La cosa importante è la barbarie.

La ministra, giovane e senza esperienza politica, che è stata messa a capo di un ministero che non esisteva e che è stato creato per fare ideologia sull’uguglianza, sarà inquieta. Già la settimana scorsa aveva creato un problema al Governo dicendo che un feto non è un essere umano: proprio il tipo di discorso in cui l’esecutivo non voleva entrare.

Ora se ne andrà in giro chiedendosi se sia stata un’altra volta imprudente o se sia stata opportuna. Ma questa inquietudine si spazza via presto con menzogne, dando la colpa ad altro. É facile: «Può darsi che abbia esagerato, ma c’è di che provocare. Questo paese ha bisogno di sbarazzarsi dei vecchi pregiudizi della destra, della Chiesa. È necessario liberare le donne, le giovani, dalla schiavitù di una maternità non controllata».

Quel che la ministra non sa è che questo fastidio che ora sperimenta non significa nulla. Ciò che conta è la barbarie. L’importante è che forse un giorno, quando non avrà più un ministero e non sarà più ministra, quando sarà madre, o quando il sole tramonterà su alcune delle spiaggie della sua amata Cadice e la bellezza romperà la bolla dell’ideologia, allora capirà. Forse allora Bibiana capirà di essere stata complice di una inutile barbarie che si estende come un manto nero di iniquità in questo tempo oscuro.

Un tempo così oscuro come quello che descrive Cormac Mc Carthy ne La strada. Non c’è cannibalismo, né pioggia acida, né perenne cielo grigio, né tempeste di cenere come ne La strada. Ma è lo stesso, è peggiore, è la devastazione causata dal negare l’evidenza della vita senza furore, con parole semplici. La cosa più sacra viene disprezzata con parole blasfeme sul silicone.

Allora, in quel momento, Bibiana avrà bisogno, come il protagonista de La strada, di un padre per far fronte al male che non è rimasto fuori, ma che è entrato molto dentro. In realtà è ciò di cui abbiamo tutti bisogno per attraversare questa barbarie: un Padre che ci faccia padri. Non c’è altra risposta possibile.

Un estratto dalla lettera del Papa ai Vescovi Italiani di oggi 28 Maggio 2009 -

"Avete avuto modo, in questi giorni, di ascoltare, riflettere e discutere sulla necessità di porre mano ad una sorta di progetto educativo che nasca da una coerente e completa visione dell’uomo quale può scaturire unicamente dalla perfetta immagine e realizzazione che ne abbiamo in Cristo Gesù. È Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diverse modalità, è chiamato. In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In riferimento a questo fondato atto d’amore per l’uomo può sorgere una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale".

TV/ Troppa pubblicità: togliamo gli spot dai programmi per ragazzi

Da IlSussidiario.net

di Carlo Bellieni

mercoledì 27 maggio 2009

Uno studio sulle abitudine televisive dei ragazzi italiani (Maggio 2009) è in pubblicazione in questi giorni sulla rivista BioMed Central Public Health e propone dati allarmanti: Il 54.1% pranza e il 61% cena davanti alla tv, l’89.5% ha la tv in camera da letto e solo il 49% dei genitori controlla i contenuti di quello che guardano. Di media stanno alla tv 2.8 ore al giorno e il 74.9% la guarda almeno due ore al giorno. Sono dati che mostrano come la televisione sia pervasiva e potente nella vita dei ragazzi. Lo prova un altro studio questa volta inglese, pubblicato su Pediatrics (Maggio 2009) che mostra che guardare la televisione e fare poca attività fisica sono due abitudini interagiscono l’una con l’altra per determinare stress psicologico nei ragazzi.

D’altronde, un altro studio (Aprile 2009) pubblicato sull’European Journal of Public Health mostra che togliere dalla tv la pubblicità per il cibo farebbe ridurre l’obesità in America in proporzione pari a 1/3 a 1/7 del totale. Già, la pubblicità: nel corso dei programmi per bambini è altissima e quasi tutta dedicata a loro, come se avessero realmente bisogno di suggerimenti sui giocattoli e soprattutto come se sapessero davvero difendersene. Chi conosce i bambini sanno che spesso sono più attratti dallo spot pubblicitario che dal programma che stanno vedendo. E uno studio australiano mostra che i bambini sono esposti a livelli altissimi di pubblicità per alcolici.

Siamo allora qui ad esigere una reale moderazione della pubblicità in tv: non basta dire “guardatela meno”, perché la tv è ipnotica, e si arriva a vere crisi da astinenza, quando viene bruscamente sospesa. Piuttosto, deve diventare una tv di qualità e il primo passo sarebbe togliere la pubblicità di ogni tipo dai programmi per ragazzi.

Evidentemente questo consiglio non piace, dato che invece la pubblicità ai bambini prolifera. Ma quanto costa trasformarli in giovani consumatori? Quanto costa farli diventare dei giovani ricattatori dei genitori facendo arrivare la richiesta ai grandi attraverso le lacrime dei piccoli? La Federal Trade Commission mostrò che è ingannevole e sleale esporre i bambini sotto i 6 anni alla pubblicità. I bambini non sanno rendersi conto dell’intento reale della pubblicità e discriminarlo dal resto del programma: non basta scrivere in piccolo “questa è pubblicità” in un lato dello schermo, soprattutto se gli utenti… non sanno leggere. Non si può allora bandire la pubblicità per bambini? In USA non ce l’hanno fatta: i bambini USA sono sottoposti a più di 40.000 spot pubblicitari all’anno e l’Associazione pediatrica Americana chiede severe restrizioni.; ma in Svezia e Norvegia la pubblicità diretta ai bambini sotto i 12 anni è proibita, in Grecia non si possono pubblicizzare i giocattoli prima delle 10 di sera e in Danimarca e Belgio ci sono severe restrizioni: sono esempi da seguire. I bambini non sanno difendersi, non sanno interpretare, assorbono, e soprattutto assorbono il modello consumistico senza possibilità di fuga. Chi li tutela?

Benedetto XVI ai vescovi italiani: crisi, solidarietà, fede, ragione, vita, emergenza educativa. Meno male che c'è il Papa.


Ricevendo i vescovi italiani, Benedetto XVI sottolinea il tema della “emergenza educativa”. In un tempo segnato da relativismo e nichilismo è necessario che gli educatori sappiano prima di tutto “testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare”.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Gli effetti della crisi finanziaria che ha colpito il mondo intero colpiscono in modo particolare le fasce più deboli della popolazione: è verso di loro che deve muoversi in modo particolare la solidarietà dei cattolici. E’ la raccomandazione che Benedetto XVI ha rivolto oggi, in occasione dell’incontro con i vescovi italiani, che stanno tenendo in Vaticano la loro assemblea generale. Esprimendo apprezzamento per una iniziativa dei vescovi italiani detta “Prestito della speranza”, il Papa ha sottolineato come la “rinnovata richiesta di generosità”, “evocando il gesto della colletta promossa dall’apostolo Paolo a favore della Chiesa di Gerusalemme, è una eloquente testimonianza della condivisione dei pesi gli uni degli altri. In un momento di difficoltà, che colpisce in modo particolare quanti hanno perduto il lavoro, ciò diventa un vero atto di culto che nasce dalla carità suscitata dallo Spirito del Risorto nel cuore dei credenti. È un annuncio eloquente della conversione interiore generata dal Vangelo e una manifestazione toccante della comunione ecclesiale”.

La necessità della formazione cristiana e dell’educazione in generale è stata poi sottolineata in modo particolare dal Papa, che ha parlato di “una esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa, che oggi tende ad assumere i tratti dell’urgenza e, perfino, dell’emergenza”. “In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In riferimento a questo fondato atto d’amore per l’uomo può sorgere una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”.

“La difficoltà di formare autentici cristiani si intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi, in cui coscienza della verità e del bene e libera adesione ad essi siano al centro del progetto educativo, capace di dare forma ad un percorso di crescita globale debitamente predisposto e accompagnato. Per questo, insieme ad un adeguato progetto che indichi il fine dell’educazione alla luce del modello compiuto da perseguire, c’è bisogno di educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia”. In questo Anno paolino, “risuona con singolare efficacia il suo invito: «Fatevi miei imitatori» (1Cor 11,1). Un vero educatore mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l’apostolo Pietro rivolge, a sua volta, l’invito a pascere il gregge di Dio facendoci 'modelli del gregge' (1Pt 5,3)”.

“Risulta pertanto singolarmente felice la circostanza che ci vede pronti a celebrare, dopo l’anno dedicato all’Apostolo delle genti, un Anno sacerdotale. Siamo chiamati, insieme ai nostri sacerdoti, a riscoprire la grazia e il compito del ministero presbiterale. Esso è un servizio alla Chiesa e al popolo cristiano che esige una profonda spiritualità. In risposta alla vocazione divina, tale spiritualità deve si nutrirsi della preghiera e di una intensa unione personale con il Signore per poterlo servire nei fratelli attraverso la predicazione, i sacramenti, una ordinata vita di comunità e l’aiuto ai poveri. In tutto il ministero sacerdotale risalta, in tal modo, l’importanza dell’impegno educativo, perché crescano persone libere e responsabili, cristiani maturi e consapevoli”.

mercoledì 27 maggio 2009

USA/ Attacco alla famiglia tradizionale

Da IlSussidiario.net

di mons. Lorenzo Albacete

mercoledì 27 maggio 2009

La settimana scorsa è sembrato che il matrimonio omosessuale fosse ormai riconosciuto da tutti gli stati del New England, dato che anche il parlamento del New Hampshire aveva approvato una legge in proposito, che doveva solo essere firmata dal governatore per entrare in vigore.

Tuttavia, il governatore John Lynch, un Democratico, ha dichiarato che avrebbe firmato solo nel caso che la legge avesse incluso delle clausole a protezione di Chiese e istituzioni contrarie al matrimonio omosessuale per motivi religiosi. La Camera dei Deputati statale ha però rifiutato, e così il New Hampshire non si è unito agli altri stati del New England, almeno per il momento.

Recentemente il New York Times, in un interessante articolo di Peter Steinfels, il redattore per la religione, ha illustrato come il tema della protezione dei diritti religiosi stia diventando una componente decisiva del dibattito sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

L’opposizione a questo riconoscimento si sta sempre più indebolendo nel paese e molte istituzioni religiose si stanno concentrando più sull’aspetto della protezione, piuttosto che sulla resistenza a ciò che appare sempre più inevitabile. In realtà, il problema della protezione va oltre le istituzioni strettamente religiose. Diversi giuristi sostengono che la protezione dall’essere perseguiti dovrebbe essere estesa anche ai singoli (per esempio, i fotografi) e alle piccole imprese che forniscono servizi per i matrimoni e che rifiutassero di prendere parte a matrimoni omosessuali.

Questo della protezione legale è un punto importante anche nell’attesa approvazione di leggi simili nello stato di New York, nel Distretto di Columbia, Rhode Island e, infine, anche in California. Il Connecticut e il Vermont hanno già approvato leggi che includono la protezione della “libertà di coscienza” di chi si oppone per motivi religiosi. Tra gli studiosi che sostengono la necessità di esplicite clausole protettive vi sono gli oppositori del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anche alcuni che lo approvano. Tuttavia, altri studiosi escludono queste preoccupazioni e la maggioranza degli esperti in questioni giuridiche sostiene che la protezione a questi diritti è già assicurata dal Primo Emendamento alla Costituzione.

Molti degli stati che hanno leggi contro discriminazioni in base all’orientamento sessuale prevedono clausole protettive nel caso dei matrimoni omosessuali, mentre altri non le contemplano. Alcuni esperti mettono in guardia questi stati per il possibile estendersi di ricorsi legali, difficili e costosi, mentre altri obiettano che non vi sono ragioni per aspettarsi vaste battaglie legali tra obiettori di coscienza e coppie omosessuali.

Qualche leader dei movimenti omosessuali sta decidendo di abbandonare la strada del riconoscimento dei matrimoni omosessuali stato per stato per cercare di ottenere una decisione sull’argomento a livello federale. L’attuale controllo dei Democratici sul Congresso e i cambiamenti che si attendono tra i membri della Corte Suprema offrono, a loro parere, una opportunità da non perdere. Il presidente Obama ha dichiarato di essere personalmente contrario ai matrimoni omosex, ma di essere determinato a promuovere “uguali diritti” per tutti i cittadini americani.

La Chiesa cattolica segue la discussione con molta attenzione. Qualche conflitto preoccupante si è già verificato, come la decisione delle organizzazioni cattoliche nella Arcidiocesi di Boston di sospendere i servizi relativi alle adozioni di fronte all’ordine dello stato di dare bambini in adozione a coppie omosessuali. Sarà significativo vedere cosa succederà nello stato di New York, un’altra zona nella quale l’influenza della Chiesa cattolica è stata, almeno finora, forte.

Rassegna stampa del 27 Maggio 2009

27 Maggio 2009 - Avvenire
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: Contrastare il diritto a morire 67 KB

27 Maggio 2009 - Avvenire
SI PARLA DI NOI :: Raccogliamo l'allarme 57 KB

27 Maggio 2009 - SecoloXIX
SI PARLA DI NOI :: La Chiesa vede la crisi 63 KB

27 Maggio 2009 - Avvenire
Crociata: siamo pastori non soggetto politico 131 KB

27 Maggio 2009 - Stampa
ISTAT. In difficoltà una famiglia su cinque 142 KB

27 Maggio 2009 - Libero
ISTAT. I senza lavoro, di mezza età e paasri di famiglia 208 KB

27 Maggio 2009 - CorrieredellaSera
Fecondazione Artificiale
I centri senza regole 388 KB

27 Maggio 2009 - CorrieredellaSera
Omosessuali
California. Ancora no alle nozze gay 140 KB

27 Maggio 2009 - ItaliaOggi
Celli presidente del Ctv 59 KB

Billy il Fuggitivo, novello Flambeau


Da La Repubblica.

Scusate, fosse per caso Flambeau, in uno dei suoi fantastici travestimenti? Simpatico!

Nuova Zelanda: è stato catturato dopo una caccia all'uomo durata 105 giorni il ladro gentiluomo autore di numerosi furti con scasso diventato popolarissimo su Facebook e altri social network. William Stewart, noto come "Billy il fuggitivo", è stato arrestato nella campagne della regione di Canterbury, nel sud dell'isola, mentre cercava di rubare l'auto di un agricoltore. La sua lunga fuga aveva scatenato la fantasia di numerosi fan su Facebook, spingendo i più accaniti sostenitori a dedicargli una canzone e una gamma di T-shirts con la scritta "Dov'è Billy?". Stewart, 47 anni, aveva raggiunto la massima notorietà dopo aver rubato una cena da una cucina di campagna mentre scappava dalla polizia, incidendo con un coltello sul tavolo le parole "Grazie da Billy, il fuggitivo". Da quel momento era sfuggito alla cattura per un soffio almeno in sette occasioni, riuscendo ad eludere i posti di blocco e a nascondersi agli elicotteri della polizia, rubando nei negozi per mangiare e per soddisfare la sua dipendenza dalle metanfetamine. Il sito di Facebook a lui dedicato conta centinaia di sostenitori registrati che per hanno cercato di seguirne la lunga ed appassionante fuga, aggiornando i lettori su dove si trovasse, tra messaggi di solidarietà e di incoraggiamento. L'idea della magliette, in vendita sul web, è stata di un imprenditore locale, mentre la canzone "Billy il fuggitivo" è stata composta per lui dal cantante Robbie Robertson. "E' stato difficile prendermi", ha ricordato agli agenti che lo hanno ammanettato.

Egitto, cristiani e New York Times


In questo articolo, apparso sul New York Times on line qualche giorno fa e segnalatoci da Alessandro Canelli che ringraziamo, si parla di persecuzione dei cristiani egiziani mascherata da operazione igienico sanitaria.

martedì 26 maggio 2009

Un aforisma al giorno - 110

"Quando si deve trattare con un arrogante sostenitore del dubbio, dirgli di smettere di dubitare non è un buon metodo. Metodo migliore è dirgli di seguitare a dubitare, di dubitare ancora un pò di più, di formulare ogni giorno sempre nuovi e più fantastici dubbi sull'universo fino a che, infine, con singolare illuminazione, egli potrà forse incominciare a dubitare di se stesso".

Gilbert Keith Chesterton, 1929, Il libro di Giobbe

Katyn, un film da non perdere - Proiezione a Ravenna

Il Centro culturale Pier Giorgio Frassati di Ravenna invita a partecipare alla proiezione del film:

KATYN

di Andrzej Wajda

Giovedì 28 maggio 2009 - ore 21.00
Cinemacity - Ravenna - Ingresso € 4,50

lunedì 25 maggio 2009

Sotto controllo la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. La Lettera del papa è oscurata


A causa di freni e divieti, le diocesi non hanno organizzato pellegrinaggi al santuario di Sheshan. Poca pubblicità anche nella diocesi di Shanghai. Nell’Hebei i cattolici senza messa perché i sacerdoti sono agli arresti. Sul sito vaticano, la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (in cinese) è ancora oscurata.


Roma (AsiaNews) – La Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina si è svolta in tono molto basso in molte diocesi della Cina Popolare. Nell’Hebei, a causa dello stretto controllo, i fedeli delle comunità sotterranee non hanno potuto nemmeno partecipare alla messa per la mancanza di sacerdoti.

Con la Lettera ai cattolici cinesi del giugno 2007, Benedetto XVI aveva lanciato l’idea di una Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, da tenersi il 24 maggio, festa di Maria Aiuto dei cristiani, che si venera nel santuario mariano di Sheshan, a poche decine di chilometri da Shanghai. L’intenzione del papa è che attraverso la preghiera cresca l’unità della Chiesa in Cina e il legame con il successore di Pietro. Il santuario di Sheshan, meta di pellegrinaggio da oltre un secolo, è un luogo adatto, perché ad esso vanno sia cattolici ufficiali che sotterranei. Ma da quando il pontefice ha istituito la Giornata di preghiera, per i cattolici andare a Sheshan è divenuto difficile. Quest’anno, come l’anno scorso, la polizia ha messo strette regole per il traffico per tutto il mese di maggio e le diocesi sono state sconsigliate di intraprendere pellegrinaggi a Sheshan. Quest’anno perfino la diocesi di Shanghai – l’unica a cui è permesso senza problemi - ha promosso il pellegrinaggio il 23 maggio, ma in tono molto minore, senza pubblicizzarlo. Negli anni precedenti, nel mese di maggio arrivavano fino a 20 mila pellegrini. A tutt’oggi ne sono arrivati solo poche migliaia.

Altre diocesi hanno preferito organizzare pellegrinaggi ai santuari mariani vicini. Fonti di AsiaNews riferiscono che nell’Hebei, la regione a più alta densità di cattolici, le comunità sotterranee non hanno potuto nemmeno celebrare la messa per la mancanza di sacerdoti. Ciò è dovuto a un controllo serrato in atto nella regione, che inibisce ogni raduno, e al fatto che almeno 10 sacerdoti sotterranei sono già in prigione per aver celebrato messe fuori dei luoghi registrati presso l’Ufficio affari religiosi.

Ieri il sito della Santa Sede ha varato il Compendio della Lettera del papa ai cattolici cinesi, che riprende i temi della Lettera in forma di domande e risposte, aiutandone la comprensione (cfr http://www.vatican.va/chinese/pdf/1Compendium_zh-s_en.pdf ) . Le pagine del Compendio sono pubblicate in inglese e in cinese, semplificato e tradizionale. Intanto però, ancora oggi il sito in cinese del Vaticano subisce oscuramenti e rimane impossibile leggere e scaricare nei computer la Lettera del papa in lingua cinese.

Un aforisma al giorno - 109

"Prendiamo il caso del coraggio. Niente ha mai scombussolato tanto i cervelli e ingarbugliato le definizioni quanto la saggezza puramente razionale. Il coraggio è quasi una contraddizione in termini: significa un forte desiderio di vivere che prende l’aspetto di una corsa alla morte. “Colui che getterà la sua vita, quegli si salverà”, non è una formula di misticismo per i santi e per gli eroi: è un consiglio di quotidiana utilità per i marinai e per gli alpinisti: potrebbe essere stampato in una guida alpina o in un manuale di manovra. In questo paradosso è tutto il principio del coraggio; anche del coraggio più terrestre e brutale. Un uomo tagliato fuori dal mare può salvarsi se rischia la vita sul precipizio; può sfuggire alla morte rasentandola di momento in momento. Un soldato circondato dai nemici, se vuole aprirsi il varco, deve unire un forte desiderio della vita ad una strana negligenza della morte; non deve soltanto aggrapparsi alla vita, poiché allora sarebbe un codardo e non avrebbe scampo; non deve soltanto attendere la morte, perché allora sarebbe un suicida e non avrebbe scampo: deve cercare la vita in uno spirito di furiosa indifferenza per essa; deve desiderare la vita come l’acqua e bere la morte come il vino".

Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia

Cottolengo - Altro che 'mostri deformi' tenuti in vita ad oltranza




Da Avvenire di ieri domenica 24 Maggio 2009.

Ci teniamo che questo articolo venga letto, perché racconta bene cos'è questo allegrissimo miracolo chiamato Cottolengo dal suo geniale, arguto, simpaticissimo fondatore, San Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Un bel posto. Proprio un bel posto, altro che slogan vuoti e tristi, leggende metropolitane e altre sciapate del genere.

Complimenti a Marina Corradi.

DAL NOSTRO INVIATO A TORINO
MARINA CORRADI
Porta Palazzo, Torino sembra una casba, un mercato mediorienta le ondeggiante di chador, vociante di richiami maghrebini. Poi giri a destra, e ti si para davanti il Cottolengo con le sue imponenti interminabili facciate. La strada si fa silenzio sa.
Caritas Christi urget nos, è scolpito sull’ingresso, la carità di Cristo ci sprona. Entri. Sotto ai tigli secolari ti sembra d’essere in una città diversa. 112 mila metri quadri di padiglioni, 3000 pasti al giorno, una mensa per i poveri, una scuola per infermieri, un monastero di clausura, il seminario, l’ospedale, e poi le case per disabili e anziani, in tutto oltre seicento letti. Una città, davvero. Ti inoltri per i viali in un viavai di suore in veste bianca – ce ne sono oltre seicento qui – e di ospiti che camminano adagio, claudicanti, o in carrozzella. La reazione istintiva del visitatore è di inquietudine – quella che provi quando immagini di dover vedere da vicino il dolore. Del resto, un’aura di mistero gravava un tempo su questa Piccola casa della Provvidenza. «Laggiù stanno i mostri», si diceva a Torino. Lo dice ancora del resto, sull’E­spresso, Giorgio Bocca, che ha scritto di «un culto della vita ad ogni costo che lascia perplessi i visitatori della pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi». E dunque chi entra immagina una immersione nel dolore. Belli i viali alberati, ma, dietro quelle finestre? Don Carmine Arice, responsabile della Pastorale della Casa, è un pugliese arrivato qui da oltre vent’anni. Ci porterà per i reparti, in un labirinto infinito di corridoi e stanze e sotterranei dove, ti fa notare, un uomo in carrozzella può andare ovunque senza incontrare un gradino: e sì che l’anno di fondazione della casa precede di 150 anni le leggi sulle 'barriere architettoniche'. Quel prete, san Giuseppe Cottolengo, ci aveva già pensato.
Passi per l’ospedale con gli ambulatori affollati , riesci di nuovo, verso la chiesa. Qui il via vai delle suore si fa più intenso. Allo scadere dell’ora vanno e vengono le sorelle che si alternano per tutto il giorno nella laus perennis. C’è sempre qualcuno, in questa chiesa, che prega. Sentinelle, che s’alternano alla guardia. Perché pregare, diceva il fondatore, è 'il primo lavoro'. Quando aveva bisogno di nuove strutture, fondava un nuovo monastero di clausura. Quasi che vera­mente fondante fosse il pregare. Singolare logica, pensa fra sé il visitatore del 2009, a tutt’altro sguardo abituato; ma si direbbe, a giudicare dall’allargarsi prodigioso di questa casa dal 1832, che funziona. E siamo arrivati ai Santi Innocenti, il reparto dei 'mostri' nella leggenda popolare. 122 ricoverati, quasi tutti disabili gravi. Morti ormai i macrocefali dalla testa enorme, gli ospiti qui sono quasi tutti handicappati anziani, età media 65 anni (da quando esistono le ecografie, certi figli raramente vengono al mondo. Li individuano, e vengono eliminati).
Ai Santi innocenti i ricoverati sono divisi in dieci 'famiglie', ciascuna con una propria casa. Grandi stanze lumi nose, odore di pulito. Qualche ospite passeggia e risponde al saluto degli infermieri con un gesto di familiare consuetudine. Una, ancora giovane, esile, un moncone al posto di una mano, all’abbraccio di una suora risponde prima con uno scuotersi spastico del busto; poi le si calma fra le braccia. Le ricoverate qui, anche le più vistosamente colpite da una disabilità che ne annebbia lo sguardo o rende incerto il movimento delle mani, lavorano. Il lavorare con un senso, e uno scopo, al Cottolengo è considerato essenziale per l’uomo. Allora al pomeriggio trovi le donne ai tavoli dei laboratori, intente ad assemblare lentamente pezzi di giocattoli. O, le più abili, a lavorare all’uncinetto, le mani che con lucida precisione tramano pizzi elaborati. Una legge da un quaderno spalancato: 'VII93XC2P', e tutta la pagina è un susseguirsi di formule astruse, scritte a mano. È l’ordine dei punti del merletto, spiega la suora; e rimani attonita a contemplare il lavorio di quelle mani. Splendidi, degni di un altare, i pezzi finiti.
Le donne riconoscono don Carmine, gli sorridono. Pare un convivio di vecchie di paese intente ad antichi femminei mestieri. Dov’è, ti domandi, il dolore cocente che paventavi en­trando in queste stanze? Le donne sembrano serene nel loro lavorare, in una dimestichezza affettuosa con le assistenti. Forse che il problema di queste persone, ti domandi, stia più negli occhi di chi li guarda che in loro? Perché noi dobbiamo essere efficienti, autonomi, capaci; e allora ci sembra un povero niente, quel faticoso lavorio di dita per assemblare una scatola di matite. Ma loro, le donne dei Santi Innocenti, ti dicono: «L’ho fatto io», e ne sono contente. Ci han messo un’ora, a ordinare quei pastelli. Ma qui, dice don Carmine, «il tempo è al servizio degli uomini, e non gli uomini al servizio del tempo».
Armadi colmi di giochi ad incastro per bambini. Banchi incrostati di anni di pitture. I quadri dei disabili sembrano opere di impressionisti, sgargianti, tracimanti di colore. Un grande foglio appeso al muro è tutto nero: le ospiti lo hanno dipinto così. per raccontare la morte. Un altro è un’esplosione di luce: quello, spiega la suora, è, secondo loro, il Paradiso.
Vai avanti e parli meno, e resti assorta a guardare. Certo, nelle mani tremanti, negli sguardi persi riconosci come un piegarsi della vita sotto al giogo di un antica condanna. Una ferita oscura, originaria, in queste donne è evidente. «Dove la ferita è più grande, la domanda è più grande. Queste persone sono come un grido, una più forte domanda di Cristo», dice don Carmine, intuendo ciò che ti stai chiedendo. (Forse per questo, per questa domanda evidente portata dalla sofferenza, oggi i figli malformati si sopprimono?) No, non ci sono creature 'metà cavallo e metà uomo' qui al Cottolengo, come fantasticavano una volta nei paesi del Torinese. Ma solo uomini con un 'di meno', che agli occhi dei sani è insopportabile. (E accadeva che li lasciassero qui con l’inganno. Li portavano per una visita e li abbandonavano, perché quella diversità era onta fra i sani).
Eppure Angela, sorda, muta e cieca, si alza di scatto nell’avvertire la voce amica del prete, gli afferra le mani, inizia un intenso discorso di gesti che la suora che le è accanto – grossa, benigna, materna – capisce. Le risponde. Ridono fra di loro. Oltre la maschera che, fuori, noi sani portiamo, qui dentro intravvedi cos’è davvero un uomo. Oltre a ogni apparenza. «Vede – dice don Arice – questo giardino, come è perfettamente curato. Le finestre di fronte sono quelle dei malati di Alzheimer. Ecco, questo giardino lo curiamo così perché ognuno dei malati che lo guarda ha per noi un valore infinito».
È una concezione dell’uomo molto grande, quella che regge questo allargarsi di case e stanze da 170 anni nel cuore di Torino. Quando un canonico quarantenne si trovò di fronte allo scandalo della ingiustizia e del dolore: una donna incinta e malata respinta da due ospedali e lasciata morire in una stalla. Don Giuseppe Cottolengo cambiò vita. Le sue case nacquero una dopo l’altra, senza un progetto, rispondendo al quotidiano bisogno. I soldi, all’occorrenza, arrivavano. Si mostrava evidente, quasi in un’eco di ciò che il Manzoni proprio in quegli anni scriveva, che «la c’è, la Provvidenza». Malati segregati, poveri 'mostri' da imboccare e amare, confluirono nella Casa. Oggi nuovi poveri premono alle porte della cittadella dietro a Porta Palazzo. Vecchi dementi, lasciati soli in case vuote: la nuova emergenza, sono i vecchi. La Piccola Casa resta nel cuore della Torino del Duemila, crocevia di mille etnie, come un segno. Giovanni Paolo II qui disse: «Se non si comincia da questa accettazione dell’altro, comunque egli si presenti, in lui riconoscendo un’immagine vera anche e offuscata di Cristo, non si può dire di amare veramente». Tutto un altro amore. Tutta un’altra logica, da quella di cui scrivono i giornali.

Uomini e tristezza - 8 - Perché il signor Gianfranco Fini non pensi che ciò che dice abbia un fondamento

LAICITA’/ Caro Fini, un parlamento fa le leggi che vuole. Firmato, Palmiro Togliatti

di Vincenzo Tondi della Mura

Da IlSussidiario.net

La dichiarazione del presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini, secondo cui «il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso», sorprende e sconcerta per più motivi.
Anzitutto, si tratta di una dichiarazione che tende a delimitare l’autonomia decisionale del Parlamento, ponendo un inedito limite alla relativa attività, e pregiudica e discrimina i diritti dei singoli parlamentari. Questi, a differenza dei giudici, non sono nominati per concorso, né sono vincolati all’imparzialità, o – peggio ancora – alla neutralità culturale. Al contrario, esprimono inviolabili e insopprimibili afferenze ideologiche, politiche, etiche ed eventualmente religiose, che rappresentano i pari orientamenti del corpo elettorale. Del resto, è compito della rappresentanza politica assicurare una dignità parlamentare a dette afferenze, che possono caratterizzare il rapporto fra rappresentati e rappresentanti anche in via esclusiva (si pensi, nei sistemi proporzionali, ai partiti dalla forte impronta ideologica). Ed anzi, proprio tale collegamento garantisce il pluralismo degli interessi sociali e la legittimazione democratica del sistema. Con la conseguenza che alla coniugazione fra gli interessi particolari variamente rappresentati e l’interesse generale del Paese, provvedono i meccanismi di rappresentanza parlamentare di ogni singolo sistema politico-costituzionale.
Di cosa è fatta, dunque, una legge e quali sono i suoi limiti di “orientamento”? Alla domanda potrebbe rispondersi: di un giudizio politico sulla realtà, vincolato alla totalità degli elementi costituenti la realtà medesima; motivo per cui una legge è sempre perfettibile ed è oggetto di periodiche revisioni parziali o totali.
Per un verso, ogni regola è espressione di una valutazione politica del legislatore sulla rilevanza da attribuire a certi interessi anziché ad altri; tale valutazione, di conseguenza, non si può determinare astrattamente ed in vitro, ma solo in relazione a situazioni storiche diverse secondo i tempi ed i luoghi. Per altro verso, detta valutazione non può essere indiscriminata e libera da riferimenti vincolanti. Al contrario, essa è soggetta a stringenti limiti, che non sono solo quelli derivanti dalla Carta costituzionale, giacché anche questa, a sua volta, è vincolata in egual modo a quel complesso organico di principi fondamentali desumibili dai valori portanti di un popolo, di cui costituisce la traduzione giuridica. Nemmeno il potere di originare una Costituzione (cosiddetto potere costituente), dunque, può creare le norme dal nulla e rimanere libero da riferimenti alla realtà. Per convincersene, basterebbe interrogarsi su quali sarebbero state le conseguenze in Italia, ove, per assurdo, il Costituente del ’48 (espressione democratica dei partiti del Cln e della resistenza al regime fascista) avesse riproposto un impianto costituzionale di tipo nuovamente hegeliano e statalista.
In una diversa prospettiva, una volta estraniata la regola dai riferimenti culturali, etici e religiosi del sistema ambientale e del popolo d’appartenenza, essa sarebbe priva di un’adeguata giustificazione; con la conseguenza che, essendo incapace di trovare un riscontro sociale senza l’ausilio coattivo della forza pubblica, si dimostrerebbe tendenzialmente dispotica. Non per nulla le costruzioni teoriche della cosiddetta “ingegneria istituzionale”, reputando la regola alla stregua di qualsiasi meccanismo “esportabile” e “trapiantabile” anche in sistemi diversi da quello d’afferenza, nelle loro implicazioni non possono non rinnegare parte della realtà, anche se a rischio di eventuali discriminazioni e soppressioni. E così Giovanni Sartori può ben sostenere «l’esportabilità della democrazia costituzionale al di fuori del contesto della cultura occidentale», a condizione che la stessa sia liberata dall’«ostacolo delle religioni monoteistiche»; quasi che le specificità (anche religiose) dei singoli popoli rappresentino non già la radice delle relative civiltà, bensì l’impedimento una più generale pacificazione sociale.
Non è così che è nata la nostra democrazia costituzionale. In uno dei più intensi dibattiti in Assemblea costituente (quello, per intenderci, dove Benedetto Croce intonò “le parole dell’inno sublime” del Veni creator Spiritus), al termine del ricchissimo intervento di Giorgio La Pira a sostegno della tutela dei diritti fondamentali, prese la parola Palmiro Togliatti. Questi non contestò il «valore trascendente ed interiore della persona umana», che il costituente cattolico aveva posto a «fondamento dei diritti dell’uomo e del cittadino». Al contrario, sostenne che tale prospettiva non avrebbe potuto fare da «ostacolo» [testuale] alla ricerca «di quella unità che è necessaria per poter fare la Costituzione»; ciò in quanto una pari confluenza verso una «piena valutazione della persona umana» era rinvenibile pure nella propria corrente socialista e comunista. Il «compromesso costituzionale» così realizzato, insomma, fu l’esito della confluenza di diversi umanesimi, non già il frutto della neutralizzazione delle relative specificità.
A rileggere quelle pagine non può non risultare ancor più stridente lo strano destino cui vanno incontro oggi gli “ingegneri” delle istituzioni. Nel tentativo di affrancare le regole sociali dalle evidenze della realtà e dai legami ai valori ed agli ideali portanti d’ogni convivenza umana, essi finiscono per censurare le ragioni della politica e dei luoghi istituzionali a questa deputati. Così facendo, tuttavia, privano quelle regole del proprio naturale (e spesse volte addirittura implicito) fondamento, aprendo la ricerca a nuove ragioni fondative, questa volta ad opera di organi neutrali, fuori dal circuito democratico e secondo metodologie prive di controllo. Per tale via, una volta depurato il Parlamento dal ruolo di favorire una necessaria integrazione fra le diverse opzioni culturali, etiche ed anche religiose presenti nel Paese, sono gli organi giurisdizionali a provvedere al tutto. Accade così che questi ultimi, intendendo decontestualizzare e neutralizzare il fondamento dei nuovi diritti invocati, si rivolgano a soluzioni interpretative ed a parametri internazionali generici, privi di un proprio specifico contenuto e suscettibili di opposte applicazioni a seconda degli interessi coinvolti.
Un po’ come nel caso della nota sentenza della Cassazione sulla vicenda Englaro. In tale pronuncia tanto la tutela della vita del relativo titolare, quanto l’autorizzazione all’interruzione dei trattamenti nutritivi necessari a consentirne la prosecuzione hanno trovato un pari fondamento nel principio della “dignità umana”; un principio, tuttavia, ormai scarnificato, privo di una propria configurazione autonoma, oggettiva ed unitaria, il cui significato è stato rintracciato in interpretazioni lontane anche geograficamente: la Corte Suprema del New Jersey, quella degli Stati Uniti, il Bundesgerichtshof tedesco e l’House of Lords britannico.

Verrebbe da ricordare la lezione di Étienne Gilson: “Fondare i valori: ecco l’assillo dell’idealista; per il realista, una passione inutile”.

INDIA - Il discorso di padre Thomas Chellan, vittima dei pogrom in Orissa, al ricevimento del premio "Defensor Fidei"


Qui sopra: forse la foto più nota, purtroppo, di padre Thomas Chellan
Quanto costa a questa gente essere cristiani? Quanto poco costa a noi e quanto meno ci è chiesto e quanto ancor meno rischiamo di dare?


Una bella e grande testimonianza, per la quale ringraziamo specialmente AsiaNews e Padre Bernardo Cervellera, che viene nominato alla fine del discorso con Giampaolo Barra de Il Timone e con Riccardo Cascioli, citati tutti come amici e sostegno.

di Thomas Chellan

Il discorso di p. Thomas Chellan al ricevimento del premio“Defensor Fidei”. Il sacerdote indiano è fra le prime vittime del pogrom scatenato dai fondamentalisti indù in Orissa. Dedicato ai cristiani del distretto di Kandhamal, uccisi a causa della fede “risoluta” in Cristo.


Oreno (AsiaNews) – P. Thomas Chellan ha ricevuto il 23 Maggio 2009 a Oreno di Vimercate, in provincia di Monza, il premio “Defensor Fidei” 2009. Istituito dalla Fondazione “Fides et Ratio” e dal mensile cattolico “Il Timone”, il premio è stato assegnato al sacerdote indiano per la testimonianza di fede. Il 25 agosto 2008, all’inizio del pogrom anticristiano, un gruppo di circa 50 estremisti indù lo hanno picchiato, malmenato, ferito, denudato, usando bastoni, piedi di porco, asce, lance. Con lui, una suora ha subito le stesse violenze. Nel discorso il sacerdote ringrazia per la solidarietà con i perseguitati dell’Orissa e riafferma che la fede cristiana è la strada attraverso cui l’India e i Dalit possono svilupparsi. Egli ricorda con gratitudine anche il lavoro dei missionari che lo hanno preceduto, spargendo “il seme della Chiesa universale” e chiede di non guardare ai fedeli di Kandhamal solo con “pietà”, ma di “imitarli nella loro fede”. Ecco, di seguito, il discorso integrale di p. Thomas.



Dedico questo premio a tutti i cristiani perseguitati di Kandhamal, specie a quelli che hanno perso la loro vita e hanno mantenuto salda la loro fede. Quando ho ricevuto la notizia di questo premio, sono stato sopraffatto per la solidarietà della fede; la nostra fede fa di noi un’unica famiglia, unisce e lega i cristiani oltre i confini geografici, le barriere etniche, di nazionalità o lingua: non vi sono limiti di confini territoriali. La fede ci rende un’unica famiglia. Sono grato per essere qui con tutti voi. Vi sono stati momenti di crisi, mi sono sentito rifiutato dal luogo, dalla gente che conoscevo. Quando mi è stata data la notizia del premio, da qualcuno che io non avevo mai visto né sentito prima mi sono giunte testimonianze di solidarietà da qualcuno che non avevo mai visto, né sentito prima… Essi mi hanno chiamato e mi hanno offerto la loro solidarietà, ho sentito un forte senso di solidarietà e di conforto. Ho capito che non ero lasciato solo nella mia sofferenza, ero consolato, non ero abbandonato, ed ero stupito che tutto questo era a causa della mia fede. Ho sofferto la persecuzione, ma ora, grazie alla mia fede, venivo abbracciato dalla solidarietà universale. La fede unisce, la fede crea legami, la fede guarisce le ferite, la fede perdona… tutto questo è fonte di enorme gioia. La storia della Chiesa [è il luogo dove ho potuto capire che] noi sperimentiamo la gioia attraverso le sofferenze, una fede che è messa alla prova nel suo cammino, e questa è la storia della Chiesa universale, non solo dell’Orissa; se ripercorriamo la storia dei cristiani, vediamo come essi siano passati attraverso lotte e persecuzioni. Credo fermamente che dalle sofferenze di Kandhamal, fiorirà la nuova vita del Cristo risorto. Negli ultimi 20 anni, la popolazione Dalit di Kandhamal ha compiuto enormi passi in avanti nel settore dell’educazione, nella crescita economica e nello sviluppo. Persone ostracizzate, sono cambiate passando da uno “schema di dipendenza a uno schema di autosufficienza”; persone considerate intoccabili, ora rivendicano il loro giusto posto all’interno della società. E la Chiesa ha giocato un ruolo nella trasformazione di queste persone. Quanti si sono opposti a questo sviluppo della comunità Dalit, hanno reagito in nome della religione. Madre Teresa e Santa Alfonsa, onorate dalla Chiesa universale, non hanno lottato contro qualche struttura ingiusta, ma piuttosto, con il loro Amore, Servizio, Semplicità hanno lavorato per alleviare le sofferenze dei più poveri fra i poveri… e oggi noi le onoriamo. Questa è l’atteggiamento della Chiesa in India: noi continuiamo a servire gli oppressi, gli emarginati, quanti sono rifiutati dalla società, senza distinzioni di casta o di credo religioso; noi non siamo degli agitati; noi vogliamo perdonare e continuare a servire anche quanti ci hanno procurato ferite indicibili. Anche io non vedo l’ora di continuare la mia missione a Kandhamal, vivere nei villaggi e servire la gente. La Chiesa in India, e in special modo in Orissa, è un frutto dei missionari cristiani, giunti in mezzo a tante difficoltà. Oggi noi godiamo delle comodità della corrente elettrica, dei trasporti, delle telecomunicazioni… Quando i primi missionari sono arrivati in Orissa, circa 100 anni fa, essi sono passati attraverso molte asprezze e difficoltà, seminando i semi per la Chiesa. Qualunque cosa sia vi sia della Chiesa in Orissa (o, perlomeno di ciò che resta della Chiesa a Kandhamal), qualsiasi cosa costruita, è solo il frutto del lavoro silenzioso dei missionari cristiani del passato. Oggi, grazie ai media, le notizie e l’informazione si diffonde in tempo reale. I missionari cristiani – molti dei quali provengono da terre straniere – hanno lavorato in maniera altruista e instancabile in Orissa per più di 100 anni, senza alcuno dei moderni comfort. Questi missionari hanno patito gravi sofferenze per costruire e dare dignità alle persone, e oggi noi godiamo dei frutti del loro travaglio pieno di amore. Per questo, come dice la Bibbia – “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” – anche nei giorni a venire continueremo la nostra missione nel solco tracciato dai nostri maestri: “Se vuoi essere mio discepolo, prendi la tua croce e seguimi”. In India, la Chiesa è stata al servizio di tutte le persone, nel campo dell’educazione, della sanità, nei servizi sociali, nel miglioramento della vita della gente attraverso la nostra missione e il nostro servizio. La Chiesa cattolica vanta più di 20mila istituzioni educative, 15mila scuole, 300 università, 115 scuole per infermiere, 5mila fra ospedali e dispensari, 2mila centri riabilitativi, 1500 istituti tecnici, 6 università di medicina, il 22% dei servizi di assistenza sanitaria sono guidati da istituzioni cattoliche. La Conferenza episcopale indiana è la quarta al mondo per grandezza ed è formata da 180 vescovi, 100mila suore, 25mila sacerdoti. La Chiesa universale deve guardare a Kandhamal con ammirazione, con stupore per la fede delle persone; come Cristo anch’essi sono stati tentati – [di] convertirsi all’induismo – ma hanno resistito; fortificati nella fede sono passati attraverso le persecuzioni, ma hanno scelto il cristianesimo, hanno professato la loro fede in Cristo e molti sono stati uccisi a causa della loro fede risoluta in Gesù Cristo Nostro Signore. Il mondo non dovrebbe provare pietà per i cristiani che hanno subito difficoltà e persecuzioni: essi devono essere tenuti in grande considerazione e imitati per la loro fede. Il mio stesso Calvario è nulla se paragonato alle sofferenze dei cristiani di Kandhamal. Infine, desidero esprimere la mia più sincera gratitudine a Gianpaolo Barra, direttore de “Il Timone” e presidente della Fondazione “Fides et Ratio”; a p. Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, che ha raccontato le persecuzioni dell’Orissa al mondo e continua a promuovere i diritti umani e la libertà religiosa per i nostri cristiani di Kandhamal; a p. Theodore Mascarenhas, responsabile per l’Asia del Pontificio consiglio per la cultura, che si è rivelato un solerte collaboratore, preparando tutti i documenti necessari per il mio viaggio in Italia a ricevere questo premio. Un grazie particolare va infine a Riccardo [Cascioli], che è stato il mio aiuto più prezioso.

Cina - Il papa approva un Compendio della sua Lettera ai cattolici della Cina


Qui sopra: Papa Benedetto XVI abbraccia il card. Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong

di Bernardo Cervellera

La pubblicazione a due anni dalla Lettera e nel giorno della Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. La Lettera sta favorendo l’unità fra Chiesa ufficiale e sotterranea, ma l’Associazione patriottica vigila sulla loro divisione con controlli e arresti.

Città del Vaticano (AsiaNews) – A due anni dalla pubblicazione della sua Lettera ai cattolici cinesi, Benedetto XVI ha approvato un”Compendio” del documento che da domani sarà disponibile sul sito vaticano in cinese e in inglese. Domani è anche la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, lanciata da pontefice proprio a conclusione della Lettera. Secondo la dichiarazione della Sala stampa della Santa Sede, il Compendio riprende “gli elementi fondamentali” del documento, ma “secondo il genere letterario catechistico di domande e risposte”. Il Compendio era stato voluto con forza dal card. Joseph Zen, già vescovo di Hong Kong, grande paladino della libertà religiosa in Cina. Esso “ripropone fedelmente, nella struttura e nel linguaggio, i contenuti della suddetta Lettera, riportando ampi estratti del suo testo. Esso, con l’aggiunta di alcune note a piè di pagina e di due brevi Appendici, si presenta come un autorevole strumento che può favorire una conoscenza più approfondita del pensiero di Sua Santità su alcuni punti particolarmente delicati”. Alcuni fra i punti “delicati” riguardano il modo con cui trattare l’Associazione patriottica – l’organismo che controlla la Chiesa ufficiale, e che vuole edificare una chiesa indipendente dalla Santa Sede - la cui finalità viene dichiarata dal papa “inconciliabile con la dottrina cattolica”. Diversi cattolici in Cina e all’estero pensano che dopo la Lettera, rimane necessario rapportarsi con l’Ap, come un “male minore” e dichiarano esaurito il periodo della Chiesa sotterranea, che rifiuta ogni collaborazione con l’Ap. Dopo la pubblicazione della Lettera alcuni vescovi sotterranei hanno cercato di farsi riconoscere dal governo, rifiutandosi di iscriversi all’Ap. Ma il governo non ha accettato ed essi rimangono ancora dei vescovi illegali e passibili di prigione. La Lettera del papa non ha potuto essere distribuita con facilità in Cina: l’Ap ne ha proibito la diffusione e i siti web che la riportavano hanno dovuto cancellarla. Alcuni sacerdoti che l’avevano distribuita sono stati arrestati. La Lettera in versione integrale, riportata sul nuovo sito web cinese della Santa Sede, è inaccessibile in Cina. Il comunicato di oggi conferma comunque che il documento di Benedetto XVI ha avuto “grande e favorevole accoglienza” fra i cattolici cinesi che hanno potuto conoscerla”. Uno dei frutti di tale Lettera è una maggiore unità e collaborazione fra cattolici ufficiali e non ufficiali. Diversi vescovi sotterranei hanno cominciato a collaborare per una pastorale comune con i vescovi ufficiali, ma a causa di questo sono incorsi nella persecuzione. In questi mesi i vescovi riconosciuti dal governo sono stati chiamati molte volte a subire per settimane e perfino per mesi sessioni politiche sul valore della politica religiosa del Partito comunista cinese. I vescovi sotterranei rimangono per la maggior parte agli arresti domiciliari. Tre vescovi sotterranei sono invece scomparsi nelle mani della polizia. Essi sono: mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 75 anni, arrestato e scomparso dal 1996; mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 86 anni, arrestato e scomparso il 13 aprile 2001; mons. Giulio Jia Zhiguo, scomparso per l’ennesima volta il 30 marzo scorso, proprio mentre si apprestava a lavorare insieme al vescovo ufficiale di Shijiazhuang, mons. Jang Taoran. Per i contenuti della Lettera del papa, cfr il dossier di AsiaNews: Lettera del Papa alla Chiesa in Cina Sulla situazione attuale della Chiesa, v. In Cina è persecuzione. Incontro in Vaticano .

domenica 24 maggio 2009

Visita di Papa Benedetto a Cassino e Montecassino

Cliccando il nostro titolo verrete riportati alla pagina del sito del Vaticano con i collegamenti alle varie allocuzioni di Papa Benedetto in occasione della sua visita a Cassino e Montecassino.

Tutti saprete che papa Benedetto prende il suo nome proprio da quel Benedetto di cui parla il grande card. John Henry Newman in questo signficativo e prezioso passo:

“[San Benedetto] trovò il mondo sociale e materiale in rovina, e la sua missione fu di rimetterlo in sesto, non con metodi scientifici, ma con mezzi naturali, non accanendovisi con la pretesa di farlo entro un tempo determinato o facendo uso di un rimedio straordinario o per mezzo di grandi gesta: ma in modo così calmo, paziente, graduale che ben sovente si ignorò questo lavoro fino al momento in cui lo si trovò finito.
Si trattò di un restauro piuttosto che di un’operazione caritatevole, di una correzione o di una conversione.
Il nuovo edificio, ch’esso aiutò a far nascere, fu più una crescita che una costruzione. Uomini silenziosi si vedevano nella campagna o si scorgevano nella foresta, scavando, sterrando, e costruendo, e altri uomini silenziosi, che non si vedevano, stavano seduti nel freddo del chiostro, affaticando i loro occhi e concentrando la loro mente per copiare e ricopiare penosamente i manoscritti ch’essi avevano salvato.
Nessuno di loro protestava su ciò che faceva; ma poco per volta i boschi paludosi divenivano eremitaggio, casa religiosa, masseria, abbazia, villaggio, seminario, scuola e infine città”.

(John Henry Newman, Historical Studies, II)

venerdì 22 maggio 2009

Iraq - Kirkuk: liberato il giovane insegnante cristiano, con l’aiuto dei musulmani


Iraq, una delle chiese cattoliche di Kirkuk

L’intervento congiunto di esercito e tribali ha portato al rilascio di Namir Nadhim Gourguis, rapito il 14 maggio scorso. Non è stato versato alcun riscatto. Decisiva la mediazione di imam e capi tribù. Mons. Sako: “la gioia regna sulla comunità cristiana di Kirkuk”.


Kirkuk (AsiaNews) – Namir Nadhim Gourguis, insegnante cristiano di 32 anni, è stato liberato. Ieri a Kirkuk, una operazione congiunta dell’esercito e delle forze arabe del risveglio ha portato alla liberazione del giovane, rapito il 14 maggio scorso da un gruppo armato.

Fonti di AsiaNews in Iraq spiegano che “la mediazione con i capi tribù” e “la collaborazione fornita dagli imam locali” si è dimostrata decisiva per ottenere il rilascio. Ai rapitori “non è stato versato alcun riscatto”.

Il rapimento è avvenuto la mattina del 14 maggio: un gruppo armato di quattro persone, ha fatto irruzione nella scuola elementare del villaggio di Ruwaidha – nel sottodistretto di Al Rashad, a circa 30 km da Kirkuk – sequestrando il giovane insegnante. Fonti locali avevano spiegato che egli “appartiene a una famiglia semplice e povera”, che la cifra richiesta dai rapitori era “molto elevata” e i parenti “non erano in grado di pagarla”.

La collaborazione fra la comunità cristiana, il mondo arabo e i capi tribù è stata fondamentale per ottenere la liberazione di Namir, per il cui rilascio si era subito impegnato anche mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk. “Oggi è un giorno di festa per la comunità cristiana – racconta mons. Sako ad AsiaNews – Dopo 8 giorni Namir è libero. Ringraziamo Dio: oggi la gioia regna sulla comunità cristiana di Kirkuk”.

giovedì 21 maggio 2009

Uomini e tristezza - 7 - Per ribattere alle tristezze di Gianfranco Fini

LAICITA’/ La legge “vuota” del presidente Fini, ovvero il fascino del niente

Costantino Esposito - da Il Sussidiario

giovedì 21 maggio 2009

L’ideale di una legge che non sia orientata o ispirata da niente è sempre stato il grande sogno del pensiero moderno. Un’universalità puramente formale senza dipendenza da alcun contenuto o da alcuna esperienza di identità storica, culturale o religiosa.
Secondo questa utopia è la legge a fondare la libertà, è il diritto a creare la persona e non viceversa. Una sorta di potere, quello della legge, che non esprime né dà più voce all’esperienza umana, alle identità, al senso comune, ma ha la pretesa di forgiare l’umanità e di costruirla essa stessa.
Storicamente l’ispirazione religiosa e teologica è stata la componente essenziale per la nascita del cosiddetto diritto naturale, ma questo diritto è poi arrivato a mettere tra parentesi se non addirittura a rinnegare la sua ispirazione ribaltando il rapporto tra l’immagine dell’uomo, posta come base di partenza ed ereditata dall’esperienza cristiana, e la norma chiamata a tutelarla e a promuoverla. In altri termini: per il diritto naturale non c’è più un’esperienza concreta dell’umano da cui partire, ma solo un’immagine generale, da costruire appunto attraverso la legge.
Il punto problematico allora non è se la religione possa o non possa interferire con la legislazione o se il legislatore debba o non debba pronunciarsi sulle “cose di religione”; la vera questione è piuttosto quale sia la ratio della legge, cioè, ad un tempo, il suo orientamento, il suo fondamento e la sua misura.
Quella che sembra imporsi sempre più nell’attuale dibattito è una sorta di “ragione grigia”, come una matrice neutra di tutti i diritti il cui unico criterio è la separazione da ogni appartenenza.
Oggi abbiamo innanzi a noi due alternative estreme rispetto al problema: o la legge, e più in generale la norma giuridica, è intesa come la via per realizzare la fede religiosa, ed è il caso del fondamentalismo, oppure ci si trova di fronte alla pretesa di una totale “privatizzazione” in senso giuridico dell’esperienza religiosa stessa, la sua esclusione dagli orientamenti della giurisprudenza.
Ma in entrambi i casi la legge viene caricata di un potere che non è suo proprio, quello cioè di creare l’identità o il diritto che essa regolamenta e tutela, e di sancire l’esclusione di ciò che non è normato.
Tuttavia, come ha scritto ultimamente Jürgen Habermas a proposito della società “post-secolare” (cfr. Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006), il grande progetto illuminista per cui il potere universale della ragione avrebbe semplicemente reso superflue le tradizioni religiose, relegandole ad un residuo sub-culturale del passato, ha trovato più di una smentita, e non solo o non tanto per il persistere di residui fondamentalisti, ma, molto di più, per la presenza creativa di cittadini religiosi che possono contribuire come una risorsa di senso alla vita sociale e pubblica.
Il che non è né un uso politico della religione né un uso religioso della politica, ma, come la chiama sempre Habermas, una sfida “cognitiva”, un’auto-comprensione chiesta ai “cittadini laici” perché pongano nuovamente il problema di ciò che legittima la loro pretesa di universalità; ma anche una sfida rivolta ai “cittadini religiosi” perché comprendano la rilevanza pubblica (e io aggiungerei: pienamente “laica”) delle loro ragioni nate dalla fede.
Infatti il grande problema di fondo resta sempre quello: può la generalità o l’universalità della legge essere pagata al prezzo di neutralizzare le esperienze storiche particolari; e soprattutto, all’inverso, può un’esperienza storica portare con sé un valore universale?
Solo emergendo nella concretezza di tradizioni e identità storiche l’universale ha dato effettivamente prova di sé, mentre staccato da esse si è ridotto ad essere una generalità astratta. Questa è la sfida che va accettata e anzi riaperta ancora oggi: che l’universale possa essere riscoperto in tutta la sua concretezza, qualcosa che è di tutti non perché non è di nessuno, ma proprio perché è di qualcuno. A patto, s’intende, che questo “qualcuno” riesca a mostrare che si tratta di un’esperienza per tutti, cioè effettivamente secondo ragione.


Il ritratto di Oscar Wilde - L'ultima fatica di Paolo Gulisano


Dalla brillante penna del nostro vicepresidente Paolo Gulisano un nuovo, intrigante e inedito ritratto di Oscar Wilde.
Battezzato in segreto, apologeta di Pio IX, gran lettore di Dante e sant’Agostino, filantropo, pellegrino, amico dei gesuiti: tutto questo era Wilde. Chi l’avrebbe mai detto? Anche il dandy per antonomasia ha insospettabilmente subìto il fascino della religione cristiana (ed è stato recentemente riabilitato dalla Santa Sede).
Tantissimi i retroscena e le curiosità che l’autore ha scovato, rendendo ogni pagina avvincente come la trama di un romanzo e regalando chicche umane e letterarie non indifferenti: il legame con Bram Stoker, l’autore di Dracula; l’amicizia con Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes; l’amore per le fiabe e molto altro ancora.
Paolo Gulisano propone la vita di Oscar Wilde intrecciata alla sua Opera: ne deriva un’esauriente biografia e un valido aiuto alla comprensione della sua Arte.

Un estratto dal libro

“Oscar Wilde fu provocatorio ed eccentrico nelle sue pose, umorista pungente e amabile conversatore, ma anche uomo eccezionalmente buono e caritatevole. Quando vedeva dei mendicanti – e nella Londra vittoriana ce n’erano in numero altissimo – non mancava di dar loro l’elemosina; la sua attenzione al prossimo si manifestò anche in occasione di un’inondazione che aveva colpito particolarmente il borgo londinese di Lambeth: insieme a un amico, Rennell Rodd, si recò sul posto per cercare di aiutare le persone in difficoltà, riuscendo anche a far divertire tantissimo col suo buonumore una vecchia signora costretta a letto.

Il Wilde sfrontato e beffardo era un uomo dalla grande sensibilità verso il dolore, verso chi era sofferente, finché lui stesso non piombò negli abissi cupi del dolore, dell’umiliazione, dell’abbandono. Un abisso dove ritrovò definitivamente Dio”.

“La Chiesa Cattolica è soltanto per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana”.