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lunedì 25 maggio 2009

INDIA - Il discorso di padre Thomas Chellan, vittima dei pogrom in Orissa, al ricevimento del premio "Defensor Fidei"


Qui sopra: forse la foto più nota, purtroppo, di padre Thomas Chellan
Quanto costa a questa gente essere cristiani? Quanto poco costa a noi e quanto meno ci è chiesto e quanto ancor meno rischiamo di dare?


Una bella e grande testimonianza, per la quale ringraziamo specialmente AsiaNews e Padre Bernardo Cervellera, che viene nominato alla fine del discorso con Giampaolo Barra de Il Timone e con Riccardo Cascioli, citati tutti come amici e sostegno.

di Thomas Chellan

Il discorso di p. Thomas Chellan al ricevimento del premio“Defensor Fidei”. Il sacerdote indiano è fra le prime vittime del pogrom scatenato dai fondamentalisti indù in Orissa. Dedicato ai cristiani del distretto di Kandhamal, uccisi a causa della fede “risoluta” in Cristo.


Oreno (AsiaNews) – P. Thomas Chellan ha ricevuto il 23 Maggio 2009 a Oreno di Vimercate, in provincia di Monza, il premio “Defensor Fidei” 2009. Istituito dalla Fondazione “Fides et Ratio” e dal mensile cattolico “Il Timone”, il premio è stato assegnato al sacerdote indiano per la testimonianza di fede. Il 25 agosto 2008, all’inizio del pogrom anticristiano, un gruppo di circa 50 estremisti indù lo hanno picchiato, malmenato, ferito, denudato, usando bastoni, piedi di porco, asce, lance. Con lui, una suora ha subito le stesse violenze. Nel discorso il sacerdote ringrazia per la solidarietà con i perseguitati dell’Orissa e riafferma che la fede cristiana è la strada attraverso cui l’India e i Dalit possono svilupparsi. Egli ricorda con gratitudine anche il lavoro dei missionari che lo hanno preceduto, spargendo “il seme della Chiesa universale” e chiede di non guardare ai fedeli di Kandhamal solo con “pietà”, ma di “imitarli nella loro fede”. Ecco, di seguito, il discorso integrale di p. Thomas.



Dedico questo premio a tutti i cristiani perseguitati di Kandhamal, specie a quelli che hanno perso la loro vita e hanno mantenuto salda la loro fede. Quando ho ricevuto la notizia di questo premio, sono stato sopraffatto per la solidarietà della fede; la nostra fede fa di noi un’unica famiglia, unisce e lega i cristiani oltre i confini geografici, le barriere etniche, di nazionalità o lingua: non vi sono limiti di confini territoriali. La fede ci rende un’unica famiglia. Sono grato per essere qui con tutti voi. Vi sono stati momenti di crisi, mi sono sentito rifiutato dal luogo, dalla gente che conoscevo. Quando mi è stata data la notizia del premio, da qualcuno che io non avevo mai visto né sentito prima mi sono giunte testimonianze di solidarietà da qualcuno che non avevo mai visto, né sentito prima… Essi mi hanno chiamato e mi hanno offerto la loro solidarietà, ho sentito un forte senso di solidarietà e di conforto. Ho capito che non ero lasciato solo nella mia sofferenza, ero consolato, non ero abbandonato, ed ero stupito che tutto questo era a causa della mia fede. Ho sofferto la persecuzione, ma ora, grazie alla mia fede, venivo abbracciato dalla solidarietà universale. La fede unisce, la fede crea legami, la fede guarisce le ferite, la fede perdona… tutto questo è fonte di enorme gioia. La storia della Chiesa [è il luogo dove ho potuto capire che] noi sperimentiamo la gioia attraverso le sofferenze, una fede che è messa alla prova nel suo cammino, e questa è la storia della Chiesa universale, non solo dell’Orissa; se ripercorriamo la storia dei cristiani, vediamo come essi siano passati attraverso lotte e persecuzioni. Credo fermamente che dalle sofferenze di Kandhamal, fiorirà la nuova vita del Cristo risorto. Negli ultimi 20 anni, la popolazione Dalit di Kandhamal ha compiuto enormi passi in avanti nel settore dell’educazione, nella crescita economica e nello sviluppo. Persone ostracizzate, sono cambiate passando da uno “schema di dipendenza a uno schema di autosufficienza”; persone considerate intoccabili, ora rivendicano il loro giusto posto all’interno della società. E la Chiesa ha giocato un ruolo nella trasformazione di queste persone. Quanti si sono opposti a questo sviluppo della comunità Dalit, hanno reagito in nome della religione. Madre Teresa e Santa Alfonsa, onorate dalla Chiesa universale, non hanno lottato contro qualche struttura ingiusta, ma piuttosto, con il loro Amore, Servizio, Semplicità hanno lavorato per alleviare le sofferenze dei più poveri fra i poveri… e oggi noi le onoriamo. Questa è l’atteggiamento della Chiesa in India: noi continuiamo a servire gli oppressi, gli emarginati, quanti sono rifiutati dalla società, senza distinzioni di casta o di credo religioso; noi non siamo degli agitati; noi vogliamo perdonare e continuare a servire anche quanti ci hanno procurato ferite indicibili. Anche io non vedo l’ora di continuare la mia missione a Kandhamal, vivere nei villaggi e servire la gente. La Chiesa in India, e in special modo in Orissa, è un frutto dei missionari cristiani, giunti in mezzo a tante difficoltà. Oggi noi godiamo delle comodità della corrente elettrica, dei trasporti, delle telecomunicazioni… Quando i primi missionari sono arrivati in Orissa, circa 100 anni fa, essi sono passati attraverso molte asprezze e difficoltà, seminando i semi per la Chiesa. Qualunque cosa sia vi sia della Chiesa in Orissa (o, perlomeno di ciò che resta della Chiesa a Kandhamal), qualsiasi cosa costruita, è solo il frutto del lavoro silenzioso dei missionari cristiani del passato. Oggi, grazie ai media, le notizie e l’informazione si diffonde in tempo reale. I missionari cristiani – molti dei quali provengono da terre straniere – hanno lavorato in maniera altruista e instancabile in Orissa per più di 100 anni, senza alcuno dei moderni comfort. Questi missionari hanno patito gravi sofferenze per costruire e dare dignità alle persone, e oggi noi godiamo dei frutti del loro travaglio pieno di amore. Per questo, come dice la Bibbia – “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” – anche nei giorni a venire continueremo la nostra missione nel solco tracciato dai nostri maestri: “Se vuoi essere mio discepolo, prendi la tua croce e seguimi”. In India, la Chiesa è stata al servizio di tutte le persone, nel campo dell’educazione, della sanità, nei servizi sociali, nel miglioramento della vita della gente attraverso la nostra missione e il nostro servizio. La Chiesa cattolica vanta più di 20mila istituzioni educative, 15mila scuole, 300 università, 115 scuole per infermiere, 5mila fra ospedali e dispensari, 2mila centri riabilitativi, 1500 istituti tecnici, 6 università di medicina, il 22% dei servizi di assistenza sanitaria sono guidati da istituzioni cattoliche. La Conferenza episcopale indiana è la quarta al mondo per grandezza ed è formata da 180 vescovi, 100mila suore, 25mila sacerdoti. La Chiesa universale deve guardare a Kandhamal con ammirazione, con stupore per la fede delle persone; come Cristo anch’essi sono stati tentati – [di] convertirsi all’induismo – ma hanno resistito; fortificati nella fede sono passati attraverso le persecuzioni, ma hanno scelto il cristianesimo, hanno professato la loro fede in Cristo e molti sono stati uccisi a causa della loro fede risoluta in Gesù Cristo Nostro Signore. Il mondo non dovrebbe provare pietà per i cristiani che hanno subito difficoltà e persecuzioni: essi devono essere tenuti in grande considerazione e imitati per la loro fede. Il mio stesso Calvario è nulla se paragonato alle sofferenze dei cristiani di Kandhamal. Infine, desidero esprimere la mia più sincera gratitudine a Gianpaolo Barra, direttore de “Il Timone” e presidente della Fondazione “Fides et Ratio”; a p. Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, che ha raccontato le persecuzioni dell’Orissa al mondo e continua a promuovere i diritti umani e la libertà religiosa per i nostri cristiani di Kandhamal; a p. Theodore Mascarenhas, responsabile per l’Asia del Pontificio consiglio per la cultura, che si è rivelato un solerte collaboratore, preparando tutti i documenti necessari per il mio viaggio in Italia a ricevere questo premio. Un grazie particolare va infine a Riccardo [Cascioli], che è stato il mio aiuto più prezioso.

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