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sabato 28 febbraio 2009

Chesterton è attuale - 33 - Da Il Giornale del 3 febbraio 2009

  • "L' osteria volante", quando il potere è una farsa

    Di Gilbert K. Chesterton sentii parlare per la prima volta da Guido Clericetti, un sottile umorista (era il vignettista che disegnava gli omini con gli occhi a «X») che è stato anche autore radiofonico e televisivo. Per un periodo condusse un programma del mattino sul secondo canale di Radio Rai, e lo ascoltavo mentre facevo colazione; stavo finendo il liceo. Clericetti citava spesso questo scrittore inglese, un grande convertito con il gusto del paradosso, dalle osservazioni taglienti e sconcertanti. Sotto casa mia una libreria svendeva tutto e comprai una copia dell’«Osteria volante» in una edizione della vecchia Bur, evanescente copertina di cartoncino grigio e caratteri Bodoni, «volume triplo». Primo di una lunga serie. Leggere Chesterton è come salire su un tappeto volante, decolli e non sai dove e come atterri, devi accettare di lasciarti trasportare dall’estro, un colpo d’ala ti fa sobbalzare, il brio ti fa ridere, la trovata esuberante ti lascia senza fiato come in un vuoto d’aria. «L’osteria volante» è una farsa bruciante contro il potere costituito, racconta la storia di un bevitore inglese strozzato dal proibizionismo che lancia la crociata per riaprire le bettolacce e le fa apparire misteriosamente qua e là. La fantasia corre a briglia sciolta nel descrivere personaggi come il protagonista Patrick Dalroy, un rodomonte irlandese, o caricature come il suo rivale Lord Ivywood, il ministro incarnazione del legalitarismo: «Poteva esprimere qualsiasi cosa avesse da dire con linguaggio fiorito, ma il suo viso rimaneva spento». Una ventata di libertà in un mondo di regole soffocanti, un pugno di eccentriche macchiette (la «società delle anime semplici») che scompagina l’ordine costituito. Avercene.

    Gilbert K. Chesterton
    L’osteria volante Bur Rizzoli
    , 1962
    (stefano.filippi@ilgiornale.it)

venerdì 27 febbraio 2009

Allora, laicisti, massoni e anticlericali, c'è o non c'è l'emergenza educativa?

Lo deve riconoscere anche Repubblica...

Crocifisso in fiamme, sedie rotte
gli studenti-vandali su YouTube
Minuti di ordinaria follia, aspettando l’arrivo dell’insegnante, ripresi con i telefonini e comparsi in Internet su YouTube. Questa volta è successo a Rho, nel Milanese, in una classe dell’istituto tecnico Cannizzaro: tutti i ragazzi sono stati sospesi
di Franco Vanni

Il crocifisso appeso al muro non vuole prendere fuoco. I compagni incitano il ragazzo con l’accendino in mano: «Brucia la croce, brucia la croce!». Studenti minorenni esaltati da un cambio dell’o ra passato a buttare bottiglie dalla finestra e sfasciare sedie in terra. Minuti di ordinaria follia, aspettando l’arrivo dell’i nsegnante, ripresi con i telefonini e comparsi in Internet su YouTube. Questa volta è successo in una classe dell’istituto tecnico Cannizzaro, a Rho (Milano), ma è solo l’ultimo di una serie di atti vandalici che ogni anno costano alla Provincia, e quindi al contribuente, 200mila euro.

La violenza degli studenti ha un prezzo e il conto lo paga la collettività: porte sfondate a cui rifare gli infissi, vetri e lavagne rotti, muri rovinati da vernice spray. In teoria dovrebbero essere i genitori dei vandali a farsi carico dei danni, come scritto nel contratto di responsabilità che firmano al momento dell’ iscrizione dei figli. Ma nella prassi a pagare sono le scuole o, se la cifra è imponente, direttamente la Provincia, responsabile dell’e dilizia delle scuole superiori. Nei filmati girati al Cannizzaro si vedono i ragazzini che si accaniscono su tutto quello che capita a tiro: sedie distrutte, bottiglie buttate dalla finestra, pietre focaie degli accendini arroventate e fatte esplodere contro le pareti. Ma soprattutto il tentativo di dare fuoco alla croce, un gesto che nell’esaltazione del momento deve essere parso agli studenti l’effetto speciale di una trovata divertente.

(...)

Sergio Breda, preside del Cannizzaro, visionando i filmati ha individuato i responsabili di quei minuti di furia. «Il fatto è successo prima di Natale — dice — tutti i ragazzi sono già stati sospesi e sembra incredibile che ora abbiano deciso di caricare i video in Internet». L’istituto, un complesso con 800 studenti e la fama di essere scuola modello, ha deciso di reagire. In un consiglio di classe straordinario si deciderà quali risposte dare: fra le ipotesi c’è l’obbligo per gli studenti di aiutare i bidelli a pulire la scuola. O di lavorare in biblioteca per catalogare i libri.

Una cosa è sicura: a pagare i danni saranno le famiglie. Il conto pagato in questi anni dalla Provincia per la maleducazione di adolescenti fuori controllo è salato: dal 2004 a oggi la direzione Edilizia scolastica ha speso 800mila euro per riparare quanto rotto dai ragazzi nelle scuole superiori di città e hinterland. Altri 600mila sono andati per installare impianti antiintrusione in 114 scuole: telecamere, grate alle finestre, cancelli elettrici e sistemi di allarme. Alla cifra (1.4 milioni) vanno aggiunti gli stipendi ai guardiani notturni, 62 fra Milano e Comuni della cintura.

(26 febbraio 2009)

Eluana Englaro - Denunciati il padre Beppino e altri per omicidio volontario. Giusto.

Da Il Giornale

Udine - Il caso Eluana Englaro non conosce battute d’arresto. Da un articolo pubblicato oggi da "Il Messaggero Veneto", quotidiano udinese, si apprende che la Procura di Udine ha aperto un fascicolo ipotizzando l’accusa di omicidio volontario aggravato per 14 persone che sono state tutte iscritte nel registro degli indagati. Si tratta di Beppino Englaro, padre di Eluana il primario anestesista Amato De Monte e tutti gli infermieri che hanno seguito Eluana durante il suo ricovero alla casa di riposo La Quiete di Udine.

Anche l'anestesista Il fascicolo nato come atti non costituenti notizia di reato, perciò senza indagati, è stato iscritto con l’ipotesi dell’omicidio volontario aggravato e la rosa degli indagati è individuata nelle persone che hanno voluto, disposto e messo in pratica il protocollo per ’accompagnarè Eluana Englaro verso la morte. Così, oltre a Beppino Englaro e al primario anestesista Amato De Monte, sono stati iscritti nel registro degli indagati gli altri componenti l’équipe. Nessuno di questi - si legge ancora nell’articolo - è stato finora raggiunto da informazioni di garanzia perché al momento per l’inchiesta non si sono resi necessari atti ’esternì che comportassero le garanzie difensive.

La Scuola "G. K. Chesterton" è ora su Facebook



Come molti sapranno, a San Benedetto del Tronto alcuni amici hanno fondato una scuola media libera intitolata proprio a Chesterton, le cui vicende possono essere seguite sul blog dell'ente gestore della scuola, la Capitani Coraggiosi società cooperativa sociale (cioè qui).

Ora abbiamo fatto anche un gruppo su Facebook che si chiama «Amici della Scuola Media Libera “Gilbert Keith Chesterton”».

Chi vuole ed è iscritto a Facebook può aiutarci a farla conoscere, a far sapere che ci si può iscrivere per l'anno scolastico 2009-2010, che la scuola può essere sostenuta anche economicamente.

Per quest'ultimo scopo vi ricordiamo che si possono fare delle donazioni deducibili ai sensi della normativa sulle donazioni alle onlus al

ccp 39793690

o al seguente IBAN:

IT37L0760113500000039793690.

Grazie e soprattutto fate conoscere la scuola, invitate quante più persone possibile ad iscrivere i propri figli! Così lavoriamo per risolvere l'emergenza educativa di cui parla il nostro Papa.

Il Sussidiario sul Cardinale John Henry Newman



http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=13146

Nell'articolo de IlSussidiario.net (qui sopra il collegamento) trovate notizie sul Cardinale John Henry Newman, da pastore anglicano a cardinale di Santa Romana Chiesa, primo di una lunga e autorevole serie di inglesi convertiti al cattolicesimo.

Il Papa - la crisi economica è causata dall'avarizia e dall'emergenza educativa

Durante l'incontro del Papa con i parroci e i sacerdoti di Roma
Una denuncia ragionevole e ragionata delle cause della crisi economica


È dovere della Chiesa la denuncia ragionevole e ragionata degli errori che hanno provocato l'attuale crisi economica. Lo ha affermato Benedetto XVI durante il tradizionale incontro di inizio Quaresima con i parroci e i sacerdoti della diocesi di Roma, svoltosi giovedì mattina 26 febbraio, nell'Aula della Benedizione. Questo dovere - ha sottolineato il Papa - fa parte da sempre della missione della Chiesa. E va esercitato con coraggio e concretezza, senza ricorrere a moralismi ma motivandolo con ragioni concrete e comprensibili a tutti.
Il tema della crisi globale che investe oggi l'economia e la finanza è stato al centro di una delle otto domande rivolte al Pontefice dai preti romani durante l'incontro. Domande che hanno toccato altrettante questioni di attualità pastorale: dalla formazione dei presbiteri all'evangelizzazione dei lontani, dall'emergenza educativa all'azione caritativa, dal valore della liturgia al significato del ministero del vescovo di Roma, dalla Parola di Dio al concilio Vaticano ii.
Sollecitato dal parroco di una comunità della periferia romana, Benedetto XVI ha accennato alla sua prossima enciclica sociale, proponendo una lettura sintetica della crisi fondata su due livelli di analisi. Il primo, quello macroeconomico, mette in luce i guasti di un sistema basato sull'idolatria del denaro e sull'egoismo, che oscurano nell'uomo ragione e volontà conducendolo su strade sbagliate. È qui che la voce della Chiesa è chiamata a farsi sentire - a livello nazionale e internazionale - per contribuire a correggere la direzione. E mostrare così la via della retta ragione illuminata dalla fede: in definitiva, la via della rinuncia a se stessi e dell'attenzione ai bisogni degli altri.
Quanto al secondo livello, quello microeconomico, il Pontefice ha ricordato che i grandi progetti di riforma non possono realizzarsi compiutamente senza un cambiamento di rotta individuale. Se non ci sono i giusti - ha ammonito - non ci può essere neanche la giustizia. Da qui l'invito a intensificare il lavoro umile e quotidiano della conversione dei cuori: un lavoro - ha evidenziato il Papa - che coinvolge soprattutto le parrocchie. La cui attività, alla fine, non è limitata solo alla comunità locale ma si apre all'intera umanità.
Tema, questo, ripreso anche nella risposta ad una domanda dedicata all'evangelizzazione di coloro che sono lontani dalla fede. I cristiani - ha raccomandato Benedetto XVI - devono essere oggi fermento di giustizia, di integrità morale, di carità, perché la società ha bisogno di persone che vivano non per se stesse ma per gli altri. Questo aspetto della testimonianza - ha aggiunto - va unito a quello della parola: è la prima, infatti, che dà credibilità alla seconda, rivelando che la fede non è una filosofia o un'utopia ma una realtà che fa vivere. A questa opera di evangelizzazione sono necessari perciò preti e catechisti formati culturalmente, ma soprattutto capaci di parlare all'uomo di oggi con la semplicità della verità. Per mostrargli che Dio, in realtà, non è un essere lontano ma una persona che parla e che agisce nella vita di ciascuno. Anche qui risulta prezioso il ruolo del parroco, il quale nel suo lavoro pastorale incontra gli uomini senza maschera, nelle situazioni di gioia e di sofferenza che appartengono alla vita quotidiana.
Luogo privilegiato per fare esperienza della vicinanza di Dio è la liturgia. Il Papa l'ha presentata essenzialmente come una scuola per imparare l'arte di essere uomo e per sperimentare la familiarità di Cristo. In questo senso, la catechesi sacramentale è anche una catechesi esistenziale, perché mostra che la liturgia non è una realtà misteriosa e distante, ma è il cuore dell'essere cristiani e, allo stesso tempo, genera nel credente l'apertura all'altro e al mondo.
L'Eucaristia, in particolare, va vissuta come segno e seme di carità. Il Pontefice lo ha ricordato spiegando il significato della missione del vescovo di Roma che è garanzia dell'universalità della Chiesa. Questa infatti - ha puntualizzato Benedetto XVI - non si identifica con nessuna cultura, perché trascende nazionalismi e frontiere per accogliere tutti i popoli nel rispetto delle ricchezze e delle peculiarità.
La cultura è stata al centro anche della risposta del Papa a una domanda sull'emergenza educativa. Oggi - ha denunciato Benedetto XVI - si sanno tante cose, ma manca il cuore. Manca una visione comune del mondo, manca un orientamento etico che consenta all'uomo di non essere preda dell'arbitrio. Così, mentre la fede resta aperta a tutte le culture, ne costituisce anche il criterio di discernimento e il punto di orientamento.
Il Pontefice ha infine riproposto il tema dell'annuncio della Parola di Dio - oggetto della recente assemblea generale del Sinodo dei Vescovi - indicando nell'atteggiamento di ascolto di Maria il modello per ogni credente.

(©L'Osservatore Romano - 27 febbraio 2009)

CL: sul “fine vita” siamo col cardinale Bagnasco

In relazione al dibattito intorno a una legge sul fine vita, Comunione e Liberazione condivide le ragioni più volte espresse dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e rese ancora più attuali dopo la morte di Eluana Englaro: «Il vero diritto di ogni persona umana, che è necessario riaffermare e garantire, è il diritto alla vita che infatti è indisponibile. Quando la Chiesa segnala che ogni essere umano ha un valore in se stesso, anche se appare fragile agli occhi dell’altro, o che sono sempre sbagliate le decisioni contro la vita, comunque questa si presenti, vengono in realtà enunciati principi che sono di massima garanzia per qualunque individuo» (Prolusione al Consiglio permanente della Cei, 26 gennaio 2009).

Lo stesso Benedetto XVI, nell’Angelus del 1° febbraio 2009, ha ricordato che «la vera risposta non può essere dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano».

Per questo, di fronte alle polemiche suscitate da ambienti laici e anche da cattolici, restano per noi valide le preoccupazioni del cardinale Bagnasco e della Cei sulla necessità di «una legge sul fine vita, resasi necessaria a seguito di alcune decisioni della giurisprudenza. Con questa tecnica si sta cercando di far passare nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, il diritto di morire, e si vorrebbe dare ad esso addirittura la copertura dell’art. 32 della Costituzione».

Chi si impegna in politica secondo ragione può trarre da queste preoccupazioni della Chiesa uno sguardo più vero alla vita degli uomini, nel difficile compito di servire il bene comune.

l’ufficio stampa di CL
Milano, 26 febbraio 2009.

giovedì 26 febbraio 2009

Rassegna stampa di oggi 26 Febbraio 2009

26 Febbraio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Anche il Pdl si divide. Veronesi boccia il Pd 120 KB

26 Febbraio 2009 - Avvenire
Fine Vita
Sedute continue 207 KB

26 Febbraio 2009 - OsservatoreRomano
Fine Vita
Far dormire non è far morire 162 KB

26 Febbraio 2009 - Avvenire
Fine Vita
L'analogia impossibile 195 KB

26 Febbraio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Marino: perché una legge è necessaria 112 KB

Polemiche quaresimali

Lo squallore di idee in Italia ha raggiunto vertici mai visti sinora.

Adesso i laicisti se la prendono con l'assessore romano che ha fatto togliere la carne dalle mense scolastiche durante i venerdì di Quaresima.

Su Libero di oggi Antonio Socci dà qualche colpo di stecca sulla testa di costoro che oramai non sanno più cosa dire. L'articolo è citato solo parzialmente (il resto lo trova sul sito di Libero chi è abbonato):

In Italia circa l’80-90 per cento della popolazione si definisce cattolica, mentre il 5 per cento circa si dichiara atea. I giornali però ragionano e informano come se la proporzione fosse esattamente inversa. Ignorano così anche la tendenza rilevata dalle indagini sociologiche, pure fra i più giovani: per esempio i “non credenti” (...) (...) fra i 18 e i 30 anni sono passati dal 17,2 per cento del 1981, al 5,8 per cento del 2000. E la fiducia nella Chiesa da parte degli italiani è cresciuta dal 57 per cento del 1981 al 67 per cento di questi anni. Ma i giornali sembrano rappresentare più il mondo delle redazioni che quello reale, il quale infatti poi si schiera agli antipodi dei media: vedi il referendum sulla legge 40 e le elezioni. I giornali sono totalmente disinteressati al cattolicesimo. Anzi, sono vistosamente ostili. I “cattolici” a cui danno voce sono solo quelli che picchiano sulla Chiesa e sul Papa: ieri, fra gli altri, c’era sulla Stampa Hans Küng, che se n’è uscito con l’evocazione del «Concilio di Nizza del 325». Temo si sia confuso con il famoso Concilio di Nicea del 325, ma nei giornali non se ne accorge nessuno. Il Papa ignorato Nessuna parola si è letta ieri sul fatto che era il mercoledì della ceneri e l’inizio della Quaresima, per la quale il Papa ha scritto un “Messaggio” stupendo. Capita di essere informati dai giornali dell’inizio del Ramadan (il periodo di digiuno islamico), ma non dell’inizio della Quaresima. L’unico articolo che ne parlava è uscito su Repubblica e mi pare un esempio di faziosità ideologica. Dunque, è accaduto che per le mense scolastiche del Comune di Roma, nel periodo di Quaresima, ovvero per sei venerdì, siano stati scambiati i menù fra il giovedì e il venerdì, cosicché il filetto di manzo va al giovedì e il pesce alla mugnaia va al venerdì. Spalancati cielo. Repubblica è insorta con un’intera pagina: “Scuole, è quaresima anche nel piatto, fino a Pasqua in mensa niente carne”. Già questo titolo è sbagliato e fuorviante, perché la carne è sostituita dal pesce solo al venerdì. Ma oltretutto è davvero pretestuoso perché l’alimentazione dei bambini non cambia: fra le pietanze stabilite dai dietologi c’è sia la carne che il pesce. Collocare il pesce al venerdì anziché al giovedì in questo periodo è, oltreché una nostra antica tradizione (perfino molto salutare), un semplice accorgimento pratico per evitare che tante famiglie cattoliche debbano fare la domanda di variazione nei diversi municipi. Non toglie niente a nessuno. Ma contro questa scelta di buon senso si è scatenata la solita “guerra di irreligione” del giornale di Ezio Mauro. Con il contorno di politici, come Paolo Masini del Pd, che si lancia all’att (continua)...

Eluana Englaro - Da sinistra un invito: "Beppino, si fermi".

Ritanna Armeni sul "Riformista" non condivide

la scelta politico-ideologica di Englaro

DA SINISTRA UN INVITO
``BEPPINO, SI FERMI``

Un amico saggio e sincero ci aveva suggerito di lasciar perdere Beppino Englaro e le sue giravolte. Dobbiamo dire che aveva ragione, perciò non diciamo quello che pensiamo di lui che è diventato la Madonna pellegrina dei radicali e della variegata compagnia di giro che si affanna nel partito del “diritto di morire”. Però almeno ci sia consentito di fare nostre le parole che Ritanna Armeni, notista della sinistra extraparlamentare, gli ha dedicato sul “Riformista”.

Scrive l’editorialista: “… ci parla della sua ammirazione per Loris Fortuna e per il Psi di Bettino Craxi. Della sua nostalgia per le grandi battaglie laiche. Interviene con la sua voce nella piazza… in cui si cerca di organizzare una battaglia contro la terribile legge sul testamento biologico e dice di non essere contrario a un eventuale referendum che punti alla sua abrogazione. Va in una seguitissima trasmissione televisiva e afferma che contro quelle norme occorre scendere in piazza. Tutto legittimo, per carità. Ma a mio parere inopportuno e sbagliato”. E infine: “…credo che lei debba sottrarsi a una foto di gruppo. In quella foto, per fortuna, possono essere ritratti in molti. In molti intendono proseguire una battaglia iniziata. Ma lei, se posso darle un consiglio, la eviti”.

Che dire? Se pure da sinistra, e quale sinistra, gli si chiede di fare un passo indietro, vorrà dire che qualcosa di stonato ci sarà nell’eccesso di protagonismo politico-ideologico di Beppino Englaro. Riuscirà finalmente a consegnarsi ad un saggio, ponderato, umano silenzio? Staremo, pazientemente, a vedere.

mercoledì 25 febbraio 2009

Un aforisma al giorno - 94

"Benché possa suonare strano, questo è il metodo inglese per mantenere il terrore. I latini, quando lo mantengono, lo fanno con l'inflessibilità, noi lo facciamo con la rilassatezza. In parole semplici, noi aumentiamo il terrore della legge coll'aggiungervi tutti i terrori dell'arbitrio".

G. K. Chesterton, Autobiografia

L'avevamo detto, gli inglesi sono proprio a cottura...

Non pensavamo che l'astrazione, il politicamente corretto, il vivi e lascia vivere intossicassero così tanto la mente degli inglesi.

Dopo il post di ieri, uno dei nostri lettori ci segnala, dal blog del dott. Carlo Bellieni, questa notizia:

The IndependentThe five-year-old's guide to drinking safelyA worrying increase in the amount of 'binge drinking' among young children has led to the Government's change of heart.

Il governo inglese vara delle linee-guida per i genitori su quanti alcolici possono bere i bambini dai 5 anni in su. Sì, avete letto bene: perché sotto i 5 anni è illlegale, ma dai 5 anni in poi il governo spiega quantità e qualità. E' il solito fenomeno della liberalizzazione quando un fenomeno si fa preoccupante: invece di bloccare gli eccessi col cervello e il cuore, si dà via libera: "basta che non disturbino" e "non si facciano male". Le associazioni dei genitori sono inferocite.

Ma c'è un altro pensiero: se sotto i 5 anni è vietato perché, almeno per i piccolissimi, ancora ci si rende conto che l'alcol fa male, perché nulla si dice per spiegare alle mamme in attesa che bere alcol (e passarlo attraversando la placenta al feto, lo può danneggiare in modo disastroso? Già, perché? Ai piccoli è permesso, ai piccolissimi è vietato, ma a chi è ancora più piccolissimo (il feto) può arrivare senza problemi.

Qui sotto il collegamento:

http://carlobellieni.splinder.com/post/19450336/E+la+birra+disse%3A+lasciate+che

Salute.

martedì 24 febbraio 2009

Segnalazione tolkieniana da Lindau

E' USCITO IN QUESTI GIORNI

STRATFORD CALDECOTT

IL FUOCO SEGRETO
La ricerca spirituale di J.R.R. Tolkien


Edizioni Lindau
«I Pellicani»
pag. 200
euro 19
ISBN 9788871807850

IN LIBRERIA

Lindau ha dato alle stampe, e con un certo successo, due capisaldi dell'Opera chestertoniana, il San Francesco d'Assisi e il San Yommaso d'Aquino. Ora pubblica questo volume dell'inglese Caldecott (che tra l'altro è anche un esperto di Chesterton) sul grande Tolkien.

Tutto interessantissimo.

Mercoledì delle Ceneri, inizia la Quaresima con digiuno ed astinenza.

Cari Amici e simpatizzanti,

Mercoledì 25 Febbraio 2009 inizia la Quaresima con l'imposizione delle Sacre Ceneri.

Il gesto dell'imposizione delle Sacre Ceneri ci ricorda l'inizio della Quaresima, l'atteggiamento da tenere in questo lasso di tempo che ci prepara alla Sacro Triduo ed alla Pasqua. Umiltà, raccoglimento, attenzione al Necessario, cioè Gesù Cristo presente nella nostra vita.

La Chiesa Cattolica in questo giorno di Mercoledì delle Ceneri (come pure nel Venerdì Santo) ci chiede il digiuno e l'astinenza, e per tutti i venerdì di Quaresima l'astinenza.

Siccome in molti ci chiedono l'esatto contenuto delle norme sul digiuno e l'astinenza, riportiamo ciò che dice la Conferenza Episcopale Italiana in materia:

Dalle disposizioni normative (n. 13)
1) la Legge del digiuno “obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate”.
2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, a un prudente giudizio, sono dea considrarsi come particolarmente ricercati e costosi.
3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle ceneri (o il primo Venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo fino alla Veglia Pasquale.
4) L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo). In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.
6) Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, “il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (...) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, relativamente ai membri e agli altri che vivono nella loro casa” (dal n. 13).

L’educazione sessuale inglese non prevede consigli - Il ministro dell’Infanzia ordina ai genitori di informare senza giudicare

Oramai sono arrivati a cottura...
Da Il Foglio di oggi 24 Febbraio 2009

I genitori inglesi devono spiegare ai propri figli adolescenti che i bambini non nascono sotto i cavoli, devono illustrare, nel dettaglio, in che cosa consistono certe attività comunemente definite sessuali, ma non possono assolutamente dire, in quanto genitori, cosa è giusto e cosa è sbagliato. Cioè: “Se effettui un nemmeno troppo prolungato movimento penetrativo con la tua compagna di classe di dodici anni, e se non usi uno di quei cappuccetti di gomma, c’è la concreta possibilità che lei resti incinta”. Fino a qui tutto bene. Ma è vietato aggiungere: “Non farlo, sei troppo piccolo, se ti becco ti tolgo la playstation per quattro sabati di fila, sei ancora un bambino, andiamo al McDonald’s piuttosto, per le ragazze hai tutta la vita davanti”. Non si può perché dare giudizi è controproducente, sostiene il ministro per l’Infanzia Beverly Hughes, che ha preparato un opuscolo intitolato: “Parlare al tuo teenager di sesso e relazioni”.

Sarà distribuito nelle farmacie dal mese prossimo, e prevede lezioni di sesso con informazioni tecniche sulle diverse forme di contraccezione, dai preservativi alla pillola alla spirale, ma con un approccio del tutto “value-free”, privo di giudizio morale (o di semplice buon senso), perché sennò i ragazzini potrebbero sentirsi oppressi, chiudersi in loro stessi e fare le cosacce di nascosto (come succede da sempre). Invece, se si mantiene un tono assolutamente monocorde mentre si spiega ai propri bambini cosa sono le malattie veneree, è più probabile che una domenica pomeriggio loro ci dicano: “Sai daddy, avevo pensato di mettere incinta per sbaglio Sally, ma poi abbiamo capito da soli che potrebbe essere una cazzata e siamo andati al cinema”. A questo punto il genitore inglese, moderno e soprattutto ligio alle direttive del governo risponde, senza smettere di fare giardinaggio: “Ragazzi, l’importante è che abbiate tutte le informazioni necessarie sulla pillola del giorno dopo” e si toglie la brochure dalla tasca.

Anzi, il ministro spiega anche che, per un risultato ottimale, bisogna spiegare ai piccoli, il prima possibile, il ciclo ovulativo e il percorso degli spermatozoi mentre si lava la macchina, si fa la doccia, si guarda la tivù, per creare un’atmosfera informale. “Ricordandosi che provare a convincerli di che cosa è giusto e che cosa è sbagliato potrebbe scoraggiarli dall’essere aperti e sinceri”. Lo scopo del governo inglese è insomma quello di creare intere generazioni di tredicenni superinformati sull’utilizzo dei profilattici e con la responsabilità di decidere da soli se usarli o meno e se cominciare subito a nascondersi nei bagni con le amichette. Senza nemmeno i divieti dei genitori (fatti per essere disubbiditi, certo, ma almeno un piccolo ostacolo alle idiozie), senza alcun giudizio. “Il governo non deve educare i bambini ma deve giocare un ruolo nel sostenere i genitori e nel dare loro accesso alle informazioni”.

E’ la politica inglese, da sempre: educazione sessuale a raffica, praticamente dalla scuola materna, preservativi dappertutto, opuscoli, pillola del giorno dopo ovunque, cliniche sessuali per offrire contraccezione a bambini di dodici anni, nessuna intenzione di preservare l’innocenza, ma la convinzione che bisogna sapere tutto, subito, freddamente, per prevenire. Il risultato però è strano: un numero molto alto di aborti, duecentomila l’anno come in Francia, un numero spropositato di gravidanze tra gli adolescenti: ultima, la vicenda da rotocalco del padre tredicenne la cui paternità è contestata da altri due adolescenti che giurano di avere messo incinta, nove mesi fa, la quindicenne fotografata con il neonato in braccio.

L’ultima spiaggia, dopo tutta la prevenzione del mondo, è allora l’eliminazione di qualunque tipo di moralità nell’educazione dei figli. Se un genitore evita di dire al proprio ragazzo o ragazza che fare l’amore a tredici anni non è una buona idea perché a tredici anni è più divertente giocare a pallone (come succede, di nuovo, verso i quarant’anni) o appiccicare gli adesivi sul diario, andare al mare, fare gare di nuoto, giocare a pallavolo, vedere qualche film, se evita di influenzarlo ma lo lascia solo a decidere, allora c’è da sperare che il figlio/a si crei da sé, con l’opuscoletto in mano, un proprio giudizio autonomo, eviti di andare a scuola in perizoma e di fare il gioco della bottiglia con penitenze a luci rosse. I genitori non sono più genitori, sono conviventi informatori, sono dei consultori a domicilio, e nel malaugurato caso in cui abbiano un’opinione devono, in nome della libertà e dell’autonomia, tenerla segreta.

Annalena Benini

lunedì 23 febbraio 2009

Papa: aiutatemi a compiere il ministero di Pietro


La festa della Cattedra di san Pietro, occasione per sottolineare l’autorità del vescovo di Roma, garanzia dell’unità e delle “varietà legittime” nella Chiesa, testimoniata fin dal II secolo. Gesù è capace di salvare anche dalla “paralisi dello spirito”. Preghiera a Maria per “entrare” nella Quaresima, che inizia mercoledì 25 febbraio.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Nel giorno in cui la Chiesa festeggia la Cattedra di san Pietro (22 febbraio), Benedetto XVI si è rivolto ai pellegrini radunati in piazza san Pietro per l’Angelus, chiedendo loro di “accompagnarmi con le vostre preghiere, perché possa compiere fedelmente l’alto compito che la Provvidenza divina mi ha affidato quale Successore dell’apostolo Pietro”.

“La Cattedra di Pietro – ha spiegato il pontefice - simboleggia l’autorità del Vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Subito dopo il martirio dei santi Pietro e Paolo, alla Chiesa di Roma venne infatti riconosciuto il ruolo primaziale in tutta la comunità cattolica, ruolo attestato già nel II secolo da sant’Ignazio di Antiochia (Ai Romani, Pref.: Funk, I, 252) e da sant’Ireneo di Lione (Contro le eresie III, 3, 2-3). Questo singolare e specifico ministero del Vescovo di Roma è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. "Nella comunione ecclesiastica, - leggiamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa - vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità (cfr S. Ign. Ant., Ad Rom., Pref.), tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva" (Lumen gentium, 13).

In precedenza il papa, parlando alle decine di migliaia di presenti, ha commentato brevemente il Vangelo della domenica, che riferisce l’episodio del paralitico perdonato e guarito da Gesù (Mc 2,1-12). “Mentre Gesù stava predicando, tra i tanti malati che gli venivano portati, ecco un paralitico su una barella. Al vederlo il Signore disse: ‘Figlio, ti sono perdonati i peccati’ (Mc 2,5). E poiché alcuni dei presenti, all’udire queste parole, erano restati scandalizzati, aggiunse: ‘Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua’ (Mc 2,10-11). E il paralitico se ne andò guarito. Questo racconto evangelico mostra che Gesù ha il potere non solo di risanare il corpo malato, ma anche di rimettere i peccati; ed anzi, la guarigione fisica è segno del risanamento spirituale che produce il suo perdono. In effetti, il peccato è una sorta di paralisi dello spirito da cui soltanto la potenza dell’amore misericordioso di Dio può liberarci, permettendoci di rialzarci e di riprendere il cammino sulla via del bene”.

Prima della preghiera mariana e dei saluti nelle diverse lingue, Benedetto XVI ha rivolto una preghiera alla Madonna perché ci aiuti “ad entrare con le dovute disposizioni d’animo nel tempo della Quaresima, che inizierà mercoledì prossimo con il suggestivo rito delle Ceneri”. Il papa riceverà le Ceneri durante la cerimonia pomeridiana nella basilica in Santa Sabina.

domenica 22 febbraio 2009

Chesterton è attuale - 32 - Volontè: difendiamo i deboli dai rischi dell'eugenetica

da www.libero-news.it

Eugenetica è una bella parola, è la combinazione di due parole greche: "buona" e "nascita". Sir.Francis Galton è il fondatore della teoria, debitrice del darwinismo, "per il miglioramento del genere umano". L'attuale definizione è piuttosto orribile: controllare l'allevamento selettivo della razza umana. Galton basa le sue idee sulle teorie di suo cugino: Charles Darwin. Ma la selezione eugenetica o eutanasia non è forse il peggiore razzismo, un omicidio raffinato e nascosto nei laboratori come nelle corsie d’ospedale? Non vogliono forse rendere così bella la razza umana da eliminare ogni imperfezione, genetica o senile? Non importa a taluni che questi difetti siano persone in carne ed ossa, embrioni e bambini o anziani e ammalati. Dobbiamo opporci e bene ha fatto il Papa ad alzare la sua voce.
''Ogni discriminazione'' sulla base di differenze ''riconducibili a reali o presunti fattori genetici è un attentato contro l'intera umanità ''. Lo ha affermato Benedetto XVI ieri. Il Papa ha indicato il pericolo che la pratica eugenetica, responsabile in passato di inaudite violenze, si stia ripresentando anche oggi ''discriminando chi è disabile'' o peggio ''giungendo alla selezione e al rifiuto della vita… Lo sviluppo biologico, psichico, culturale o lo stato di salute non possono mai diventare un elemento discriminante''. ''Certo ha osservato - non vengono riproposte ideologie eugenetiche e razziali che in passato hanno umiliato l'uomo e provocato sofferenze immani, ma si insinua una nuova mentalità che tende a giustificare una diversa considerazione della vita e della dignità personale fondata sul proprio desiderio e sul diritto individuale'', così si indebolisce il rispetto verso tutti gli esseri umani e si discriminano i più deboli e indifesi.
Ma è proprio vero che l’ideologia eugenetica di oggi sia meno pericolosa di quella di ieri? Penso che sia bene ravvisare nella battaglia solitaria di Chesterton 100 anni fa, proprio contro i primissimi ideologi e fondatori della dottrina eugenetica, le inquietanti simili con la nostra situazione attuale. Nessuno dei ‘geniali’ scopritori della dottrina degli ‘adatti’, dell’evoluzione scientifica della ‘specie umana’ si proponeva allora di imporre le proprie idee, né di scatenare guerre con ecatombe di ebrei, cattolici, omosessuali ed etero, contadini o professionisti solo perché considerati ‘inferiori’ o inadatti alla purezza della razza.
Era il 1922 quando in Europa e negli Stati Uniti si diffuse l'entusiasmo per una nuova teoria, "l'eugenetica", che diceva di basarsi su solide basi scientifiche. Ispirata al darwinismo sociale, con l'obiettivo di migliorare la specie umana attraverso la soppressione dei deboli, dei malati, dei disabili e dei meno adatti, l'eugenetica fu sostenuta e diffusa nei gruppi dirigenti della politica e dell'impresa, nella comunità scientifica, nelle università e nei mezzi di comunicazione di massa. Oggi c’è lo stesso pericolo, anzi il pericolo è molto cresciuto al pari dell’uso discorsivo dei mezzi di comunicazione di massa e il lavaggio del cervello…

di Luca Volontè (Presidente Udc alla Camera)


sabato 21 febbraio 2009

La grande Radio Maria e la rassegna stampa di Padre Livio Fanzaga


Radio Maria è un'emittente cattolica altamente meritoria: fa pregare e pensare milioni e milioni di persone in Italia e in tutto il mondo, ospita voci cattoliche che ci aiutano ad orientarci in questo mondo pazzo.

Il frutto più interessante, comunque, è la rassegna stampa che ogni mattina fa il deus ex machina della radio, Padre Livio Fanzaga. Ascoltarlo, nervoso e guizzante come un Uomo Vivo, è un vero piacere. Quando l'Uomo Vivo non ci riesce, è sempre un po' meno vivo...

Diciamo che Radio Maria ha molto di chestertoniano.

Allora, per darvi un saggio, cliccando il nostro titolo verrete portati alla pagina del sito internet italiano di Radio Maria che contiene gli articoli più interessanti letti da padre Livio ogni mattina.

Per IBS chi legge Chesterton legge anche...

Benson Robert H., Cammilleri Rino, Corti Eugenio, De Wohl Louis, Dobraczynski Jan, Gnocchi Alessandro, Gulisano Paolo, Marshall Bruce, O'Brien Michael D., Solov'ëv Vladimir, Agnoli Francesco, Biffi Giacomo, Daniélou Jean, Del Noce Augusto, Lewis Clive S., Negri Luigi, Palmaro Mario, Sciacca Michele F..

Molto interessante, no?

Ancora una volta il Times on line nomina Chesterton

Il quotidiano inglese torna a citare Chesterton (le altre due volte le trovate negli scorsi post) nel giro di poco più di venti giorni.

Questa volta l'occasione è data dalla recensione del libro "Why go to Church? The Drama of Eucharist" di Thimoty Radcliffe, già Maestro Generale dell'Ordine Domenicano.

Il libro ha la prefazione di Rowan Williams (l'arcivescovo anglicano di Canterbury).

Dice padre Radcliffe: “I believe in the adventure of orthodoxy,”, cioè - citando esplicitamente Chesterton - "Credo nell'avventura dell'ortodossia".

E più avanti cita il Cardinale Henry Newman, che parla del "silenzioso lavoro di Dio".

Radcliffe è figlio di una antica famiglia di recusants, cioè di una di quelle famiglie cattoliche che si rifiutarono di passare comodamente armi e bagagli tra le file anglicane. Peraltro in questo articolo viene anche descritto come progressista... L'articolo inoltre presenta più di qualche spunto polemico verso la Chiesa Cattolica (non poteva mancare, no?).

Cliccando il nostro titolo verrete portati all'articolo in questione sul sito del Times on line.

venerdì 20 febbraio 2009

Rassegna stampa di oggi 20 Febbraio 2009

20 Febbraio 2009 - Sole24ore
Fine Vita
Pronto il testo 86 KB

20 Febbraio 2009 - Messaggero
Fine Vita
Calabrò: l'alimentazione non si tocca 74 KB

20 Febbraio 2009 - Avvenire
Fine Vita
Roccella: ci vogliono paletti di garanzia 110 KB

20 Febbraio 2009 - FamigliaCristiana
Fine Vita
Vogliamo scrivere anche noi la legge 212 KB

22 Febbraio 2009 - FamigliaCristiana
Eutanasia
ELUANA. Sacconi: è stata eutanasia 252 KB

20 Febbraio 2009 - Stampa
Eutanasia
ELUANA. Una scelta politica 91 KB

20 Febbraio 2009 - Foglio
Eutanasia
ELUANA. Ma i massoni hanno perso 334 KB

20 Febbraio 2009 - Repubblica
Accertamento Della Morte
Morte cerebrale e vita in vaticano 104 KB

giovedì 19 febbraio 2009

Evoluzionismo - Quante sorprese nell'anno di Darwin: in alcuni casi sopravvive il più debole.

Da IlSussidiario.net

Ci interessiamo ai "prodigi" del darwinismo proprio perché Chesterton ne fu uno dei più seri e preparati critici...


Per mettere alla prova alcuni assunti delle teorie evolutive darwiniane potete consultare qualche fisico o matematico, esperto in teorie dei giochi e provvisto di potenti computer, e chiedergli di simulare l’interazione fra tre specie viventi in competizione assortite in modo che, a turno, una sia sempre superiore ad un’altra. È un po’, per rendere l’idea, quello che succede in un noto gioco da ragazzi, dove si scommette mettendo sul banco a due a due un sasso, un foglio di carta e un paio di forbici: le semplici regole sono che la carta avvolge il sasso, il quale rompe le forbici e queste tagliano la carta.
Il risultato della simulazione sarà molto probabilmente lo stesso che hanno ottenuto i fisici del Center for NanoScience (CeNS) dell’università LMU di Monaco di Baviera guidati da Erwin Frey, che sono giunti a questo sorprendente responso: la specie più debole ha un’alta probabilità di sopravvivere, a scapito delle più forti. Un risultato inatteso, che sembra portare alla ribalta una sorta di “legge del più debole” in alternativa al più malthusiano criterio della sopravvivenza del più forte.
In realtà c’erano già stati, qualche anno fa, esperimenti su colonie di batteri che, essendo in competizione in modo ciclico, cioè scontrandosi a rotazione a coppie fino all’estinzione, nello stesso contesto ambientale, avevano dimostrato la sopravvivenza del più debole. In realtà i fattori in gioco in simili situazioni sono molteplici e le interazioni tra le popolazioni sono governate da leggi non ancora del tutto conosciute, dove il ruolo di coincidenze, concomitanze e aleatorietà innesca dinamiche non lineari e porta il sistema ad evolvere secondo modalità inattese.
Più in generale, lo sviluppo di un ecosistema è frutto dell’interazione di un’enorme quantità di specie differenti in competizione tra loro per accaparrarsi le risorse necessarie e spesso scarse; è un processo di tipo probabilistico le cui fluttuazioni determinano le sorti di intere popolazioni che possono arrivare ai clamorosi fenomeni di estinzione. Si stima che ogni giorno sulla Terra si estinguano una cinquantina di specie viventi. Sono eventi probabilmente inevitabili e ancora non ben compresi che stanno impegnando gli studiosi di ecologia teorica e di biofisica nell’intento di individuare le condizioni e i meccanismi che regolano la biodiversità sul Pianeta.
Il meccanismo della dominanza ciclica, oggetto della simulazione di Frey e descritto in un recente articolo su Physical Review Letters (“Zero-one xxxx behavior of cyclically competing species”), è uno dei più interessanti e si verifica in numerosi ecosistemi, quando delle sotto-popolazioni si trovano a prevalere una sull’altra a rotazione: è il caso, citato da Frey, degli invertebrati della barriera corallina o delle lucertole di molte zone della costa interna della California.
I risultati di questi studi basati sulle simulazioni computerizzate gettano quindi una nuova luce per la comprensione dello sviluppo degli ecosistemi naturali, contribuendo a vivacizzare il panorama culturale dell’anno darwiniano appena iniziato; ma potranno anche fornire utili indicazioni per elaborare nuove metodologie di gestione ambientale e nuove strategie di protezione e conservazione e delle specie.

mercoledì 18 febbraio 2009

Un altro articolo su Chesterton sul Times on line


Il supplemento letterario del Times on line ci presenta nuovamente, a distanza di pochi giorni, un nuovo articolo su Chesterton.

La rubrica è Then and now e il titolo dell'articolo suona così: "Ora che un nuovo libro può dirci cosa c'è che non andava in G. K. Chesterton, Then and Now rivela cosa Chesterton pensava che non andasse nel mondo nel 1908".

Il nuovo libro è in riferimento alla pubblicazione di cui abbiamo dato atto recentemente, e cioè il volume di William Oddie CHESTERTON AND THE ROMANCE OF ORTHODOXY - The making of GKC 1874–1908, uscito recentemente per i tipi di Oxford University Press (vedi il nostro post del 2 Febbraio 2009).

L'articolo che segnaliamo è la recensione del volume di Chesterton What's wrong with the world da parte di George Calderon, pubblicata nel Times Literary Supplement del 30 Giugno 1908.

Singolare ed eloquente che il giornale a distanza di più di cento anni continui ad interessarsi al Nostro.

La pubblicazione del vecchio articolo (che per la cronaca era di critica verso Chesterton e la sua opera) testimonia il rifiorito interesse verso Chesterton e la sua attualità anche nel mondo anglosassone.

Cliccando il nostro titolo verrete portati alla pagina del giornale inglese.

martedì 17 febbraio 2009

Un'interessante pagina su Chesterton.

A questo indirizzo:

http://www.online-literature.com/chesterton/

trovate una pagina interessante ed utile con tanti collegamenti ai testi delle opere di Chesterton.

Il testo è in inglese, ma è comunque utile per comprendere la vastità e la tentacolarità del Nostro, ed anche per avere un saggio delle opere in originale, che è comunque importante poter leggere (Chesterton è un autore che non finiremo mai di scoprire nella sua vastità).

Segnaliamo inoltre l'esistenza di numerose pagine in tante altre lingue dedicate a Chesterton: anni fa ne illustrammo alcune ai soci.

Non appena ne avremo la possibiltà ve ne forniremo i collegamenti su questo blog. Tra le tante, una delle più interessanti ed originali è quella russa:

http://www.chesterton.ru

È in cirillico, ma l'abbiamo sottoposta ad una persona di madre lingua e ci ha mostrato la presenza di saggi molto interessanti redatti da autori russi.

Ricordiamo che la Russia è la patria di una delle più grandi e appassionate studiose al mondo di Chesterton, Natalia Trauberg, di cui parlammo tempo fa sul blog (potete cercare il post sul nostro motore di ricerca interno).

Vi illustreremo altre belle cose.



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lunedì 16 febbraio 2009

Rassegna stampa di oggi 16 Febbraio 2009

14 Febbraio 2009 - Avvenire
Consultori Familiari
SI PARLA DI NOI :: Giovanardi: coinvolgere i Cav 44 KB

16 Febbraio 2009 - Gazzettino
Fine Vita
SI PARLA DI NOI :: Convegno sul testamento biologico 47 KB

14 Febbraio 2009 - MessaggeroVeneto
Eutanasia
SI PARLA DI NOI :: ELUANA.- Dibattito Gigli e Tirelli 50 KB

15 Febbraio 2009 - Libero
Eutanasia
SI PARLA DI NOI :: ELUANA. Roccella: non ho mai pensato di staccare la spina a mia mamma 324 KB

15 Febbraio 2009 - Repubblica
Fine Vita
SI PARLA DI NOI :: Marino Infiamma i laici: referendum se passa il testo Pdl 109 KB

15 Febbraio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Marino: Referendum sulla nuova legge 195 KB

14 Febbraio 2009 - Repubbica
Fine Vita
Bianchi: io cattolica lavoro per una legge laica 95 KB

14 Febbraio 2009 - Stampa
Fine Vita
Morta Eluana, la legge può attendere 131 KB

14 Febbraio 2009 - Repubblica
Fine Vita
Sofri: la libertà di mangiare e bere 296 KB

16 Febbraio 2009 - Unita
Fine Vita
Quella minoranza cattolica 48 KB

15 Febbraio 2009 - Repubblica
Fine Vita
Rodotà: la nuova legge truffa 182 KB

16 Febbraio 2009 - Sole4re
Politiche Familiari
BONUS FAMIGLIE. A 500mila immigrati 291 KB

14 Febbraio 2009 - Libero
Francia: diritti anche al terzo genitore 101 KB

CINEMA/ Un’intera nazione, un unico lutto: “Katyn” di Andrzej Wajda

Da IlSussidiario.net

lunedì 16 febbraio 2009

Una pellicola datata 2007, gratificata in patria da oltre tre milioni di spettatori e candidata come miglior film in lingua straniera nella scorsa edizione degli Academy Awards, che esce ora nelle sale italiane in 60 copie.
Andrzej Wajda, classe 1926 (è nato il 6 marzo a Suwalki: tra poco meno di tre settimane compirà quindi 83 anni), prolifico sceneggiatore e regista polacco, un’autentica leggenda in patria, non sta certo pensando alla pensione. Nemmeno qualche giorno fa ha presentato in concorso all’edizione 2009 della Berlinale il film Tatarak (2009) – tratto dall’omonimo romanzo del connazionale Jaroslaw Iwaszkiewicz, è la storia della moglie di un vecchio medico che deve fare i conti con un inaspettato amore – e sempre in questa circostanza ha annunciato quella che sarà la sua prossima fatica: un’opera – a partire da uno script di Agnieszka Holland, la regista che già aveva curato per lui la sceneggiatura di Danton (1983) e di Dottor Korczak (1990) – nientemeno che su Lech Walesa, lo storico leader del Solidarnosc («Mi fa male vedere quello che il mio Paese sta facendo a un eroe nazionale come Lech Walesa. Persone che vengono dal nulla e che non sono nulla si permettono di gettare fango sulla figura di Walesa»).
Proprio Berlino, lo scorso anno, aveva ospitato fuori concorso Katyn, un drammatico racconto – passato fuori concorso anche all’ultimo Torino Film Festival, targato Moretti, e uscito venerdì scorso nelle sale italiane in 60 copie – su quello che in Polonia è ancora considerato il più tragico lutto nazionale, simbolico punto di “raccolta” di ogni rigurgito nazionalista antisovietico. È la storia del massacro, avvenuto nel marzo 1940, di oltre 22.000 ufficiali, riservisti, medici, avvocati, professori e guardie di confine polacchi – tra i quali anche Jakub Wajda, il padre di Andrzej – fatti prigionieri dall’Armata Rossa con l’invasione russa della Polonia, scattata sedici giorni dopo quella della Wehrmacht, come previsto dal famoso patto Ribbentrop-Molotov, stipulato nemmeno un mese prima, che riconosceva segretamente la spartizione della Polonia oltre alle aspirazioni territoriali sovietiche sugli Stati baltici e sulla Romania. Il tentativo di cancellare l’intellighenzia di un intero Paese: 22.000 persone eliminate con un colpo alla nuca per mano degli uomini della NKVD, la polizia politica di Stalin guidata da Lavrentij Berija, e sepolti in fosse comuni nelle foreste di Katyn (una collina coperta di abeti che domina il fiume Dnepr, nei pressi di Smolensk), Tver, Char’kov e Bykownia. Proprio una frase dello stesso Berija è all’origine delle prime congetture sulla sconvolgente verità: una volta scoppiata la guerra con la Germania nazista, richiesto di un parere da parte di un ufficiale polacco filosovietico sull’eventuale opportunità di organizzare reparti formati da prigionieri polacchi, si lascia sfuggire un ambiguo «No, quelli no. Abbiamo commesso un grave errore con loro».
Solo nell’aprile 1943, quando le sorti dell’operazione “Barbarossa” e dell’intero fronte orientale sono ormai segnate, i soldati tedeschi trovano i cadaveri delle migliaia di ufficiali polacchi ammassati nelle fosse comuni, portando a Katyn, perché testimonino con i propri occhi la loro scoperta, parecchi prigionieri alleati e la Croce Rossa polacca. Quest’ultima non rilascia alcuna dichiarazione ufficiale per non essere accusata di sostenere la propaganda antisovietica della Germania ma riesce ad inviare al governo polacco di Londra, tramite il movimento clandestino, un rapporto completo su quanto è venuto alla luce: tra le prove che vi trovano spazio, oltre tremila lettere e cartoline postali, un discreto numero di diari e centinaia di giornali e ritagli trovati addosso ai cadaveri, tutti datati tra il marzo e la prima settimana di maggio del 1940 (l’ultima annotazione di uno dei diari descrive addirittura il viaggio fino alla foresta sotto la scorta della NKVD).
I sovietici, che nel giro dei seguenti due anni entrano vittoriosi a Berlino, hanno invece buon gioco nell’addossare la colpa dell’eccidio all’esercito nazista, datandolo nel pieno dell’avanzata della Wehrmacht verso Mosca (agosto 1941) e sostenendo che i documenti posteriori alla primavera del 1940 sono stati asportati dai tedeschi. Una versione che anche le potenze occidentali avallano, nel clima di distensione con l’alleato russo che caratterizza l’immediato dopoguerra. Ma come scriverà Joseph Mackiewicz, ex giornalista e membro del movimento clandestino polacco, recatosi a Katyn al seguito della Croce Rossa, «dato che ogni cosa era imbevuta e incollata con un liquido cadaverico ributtante e appiccicoso, era impossibile sbottonare tasche o togliere stivali ai morti. Fu necessario tagliarli con il coltello per poter trovare i documenti personali… Nessuna tecnica avrebbe permesso di frugare in quelle tasche, di estrarne degli oggetti, di ricollocarvene degli altri, e poi di riabbottonare le uniformi e riammucchiare i cadaveri, uno strato sull’altro… ». Per i polacchi, invece, l’ordine di tacere e di dimenticare, almeno per i successivi 45 anni: si tratta infatti di una strage pianificata di cui tutti sanno ma sulla quale, sotto il tallone del regime comunista, è fatto divieto parlare, col rischio del carcere. Dunque un dramma nel dramma per i parenti delle vittime così come per un intero popolo – il (muto) dolore per il lutto misto all’amarezza della (incontrastabile) menzogna – fino alle ammissioni di Mikhail Gorbaciov prima e di Boris Eltsin poi (ma qui siamo già, ormai, negli anni Novanta).
Basati sul romanzo Post mortem di Andrzej Mularczyk, i 118 minuti di Katyn – per realizzare i quali Wajda ha attinto principalmente da diari, lettere e confessioni, analizzando anche i documenti ufficiali conservati negli archivi polacchi, statunitensi e inglesi – rappresentano due ore scarse di cinema trattenuto, rigoroso, potente, “magistrale”, chiuso dall’Agnus Dei del grande Krzysztof Penderecki (su un minuto di schermo nero), che vede impegnati giovani attori emergenti del cinema polacco mentre nel cast tecnico spicca il nome di Pawel Edelman, già direttore della fotografia de Il Pianista (Le Pianiste, 2002, Roman Polanski), altra recente, superba pagina di grande cinema che si muove nelle pieghe storiche del lento martirio di un’intera città, la Varsavia occupata dai nazisti, sullo sfondo del genocidio degli ebrei polacchi.
In chiusura vorremmo riferire due significativi episodi legati alla distribuzione di Katyn, che in patria ha fatto registrare oltre tre milioni di spettatori. Alla prima del film a Varsavia, il 17 settembre 2007, il giorno dell’anniversario dell’invasione sovietica della Polonia, alla proiezione è seguito l’assoluto silenzio della sala, interrotto solo dalle preghiere di chi ha iniziato a pregare per i morti di Katyn, una scena che si è quasi ripetuta anche a Mosca, dove uno dei presenti ha invece invitato il pubblico ad alzarsi in piedi per rendere loro onore.
Per una curiosa coincidenza, quest’area dell’Est Europa è ancora oggetto di un’opera tutt’ora presente nelle sale italiane, Defiance – I giorni del coraggio (Defiance, 2008, Edward Zwick), che narra le vicende pressoché contemporanee (siamo nel 1941) della resistenza armata alla persecuzione nazista da parte di centinaia di uomini e donne bielorussi raccolti intorno a Tuvia, Zus e Asael Bielski, tre fratelli ebrei interpretati rispettivamente da Daniel Craig, Liev Schreiber e Jamie Bell. Dunque un 2009 che segna un buon inizio per la Storia sul grande schermo, almeno per quella rimasta (o messa forzatamente) “fuori campo” per decenni.

(Leonardo Locatelli)

La fotocronaca dell'incontro dell'11 Febbraio 2009 a Roma





Nelle immagini forniteci gentilmente da uno dei partecipanti all'incontro (il buon Paolo Pegoraro) vedete l'incontro tenutosi l'11 Febbraio 2009 a Roma.

Ci sono diverse facce amiche, oltre al ben noto Giuliano Ferrara. Bell'incontro, dunque, e complimenti ad Andrea Monda che l'ha messo su con la solita passione!

INDIA - Orissa, i figli dei cristiani non possono andare a scuola.

da AsiaNews.it

di Nirmala Carvalho

I ragazzi, costretti lontano da casa, hanno ormai perso l’anno scolastico che sta per finire. Il governo dell’Orissa trasferisce i profughi in campi di accoglienza temporanei vicino ai villaggi d’origine. Di tornare a casa non se ne parla. Continuano le discriminazioni e gli atti intimidatori. Con l’avvicinarsi delle elezioni di aprile la tensione sale.


Bhubaneshwar (AsiaNews) - I bambini cristiani del Kandhamal stanno perdendo l’anno scolastico. È una delle conseguenze dei pogrom di agosto. Sajan K George, presidente nazionale del Global Council of Indian Christians (Gcic), afferma che sono centinaia i bambini in queste condizioni. Fuggiti di casa con le loro famiglie e costretti a rimanere nei campi profughi, i giovani delle comunità cristiane dell’Orissa non possono frequentare le lezioni e l’anno scolastico sta ormai per finire.

L’educazione è una priorità della Chiesa nell’Orissa perché è un fattore di sviluppo e di emancipazione della popolazione. “Molte persone vittime delle violenze - spiega George - raccontano che i loro certificati e diplomi sono stati uno degli obiettivi precisi durante gli attacchi. Li prendevano, li facevano a pezzetti e li bruciavano. L’opera di educazione compiuta dai missionari con i dalit è stata una delle più grandi cause dell’insofferenza e della gelosia dei fondamentalisti che ora cercano di soffocare lo sviluppo dell’educazione dei nostri ragazzi del Kandhamal”.

Nel Kandhamal inoltre continua ad essere alta la tensione e il rischio di attacchi rimane costante . “Con le elezioni dietro l’angolo - afferma George ad AsiaNews - la situazione si sta facendo ancor più tesa. I cristiani del Kandhamal sono ancora più discriminati e corrono il serio pericolo di venire ridotti a cittadini di serie b: non hanno documenti d’identità e quindi sono privati della possibilità di esercitare un loro diritto fondamentale che è quello di voto”.

Il 12 febbraio, Krishan Kumar, responsabile dei campi profughi governativi per il Kandhamal, ha dichiarato che “degli iniziali 25mila sfollati raccolti nei campi ora ne restano 4mila. Di questi 2500 sono stati trasferiti in campi temporanei vicini ai loro villaggi d’origine. Nei centri d’accoglienza di Tikabali, K Nuagaon and Raikia attualmente restano solo 1500 persone”.

John Dayal, direttore dell’organizzazione All Indian Christian Council (Aicc) commenta la dichiarazione del funzionario governativo affermando che ”oltre questo gioco di parole è ovvio che non ci sono ancora case per queste persone sfortunate. E oltretutto il governo non tiene in conto quelli che sono in campi d’accoglienza non governativi, quelli rifugiati nello Srikakulam nello Stato confinante dell’Andhra Pradesh e le migliaia di altri che hanno trovato accoglienza da parenti in altri paesi e città o che sono finiti a New Delhi e in altre località a cercare lavoretti per sopravvivere”.

Spagna - Si accende la sfida su aborto ed eutanasia

da IlSussidiario.net

lunedì 16 febbraio 2009

Mentre stanno per essere presentate le conclusioni della sottocommissione sull’aborto, il gruppo editoriale Prisa cerca già di spingere a una legislazione sull’eutanasia dopo il caso di Eluana Englaro. Due facce della stessa medaglia, con lo stesso protagonista.

Alla battaglia di Garzón contro il Partido Popular sul presunto caso di corruzione, il Governo ha aggiunto un nuovo alleato per calmare l’opinione pubblica alle prese con una situazione economica complicata. Il partito di governo vuole autorizzare le ragazze di 16 anni ad abortire senza il consenso dei genitori. L’Esecutivo pretende di agire come uno pseudo-padre libertino per dire sì alle giovani che non vogliono avere un figlio indesiderato.

Un ulteriore punto del cerchio al cui centro c’è la creazione di un programma ridotto della vita. Cosa può pensare una giovane adolescente a cui dicano che la vita del figlio indesiderato è a sua completa disposizione? Cosa farà se non avrà chi le spieghi, chi le faccia sperimentare che la vita è un dono? Ancora una volta, senza un popolo che educhi e che incarni la bontà di ciò che difende, la risposta sarà scontata.

Ma all’aborto si aggiunge ora - sebbene dicano che al momento il tema non si tocca - il dibattito sull’eutanasia. La domanda sociale, secondo l’Esecutivo, è l’argomento perno della decisione di trattare questi temi. L’eutanasia non era contemplata nel programma elettorale, ma dallo scorso venerdì Eluana Englaro è diventata una bandiera per agitare il tema.

Appellarsi alla domanda sociale è una falsa retorica per giustificare l’applicazione di un progetto politico. Un progetto che non a caso ha alcuni particolari portavoce. Parlano dei casi che contribuiscono alla causa che si sostiene e tacciono quelli che provano il contrario. Proprio quelli più umani.



(Roberto de la Cruz)

Bioetica - Edmund Pellegrino: attenzione alle idee distorte di felicità e libertà.

da IlSussidiario.net

All'indomani del triste epilogo della vicenda di Eluana Englaro rimangono molti gli interrogativi aperti sui temi cruciali della bioetica. Eutanasia, aborto, sperimentazioni genetiche sono temi difficili da normare che interrogano la coscienza individuale e dividono la cosicenza collettiva della società travalicando i vecchi schemi di "destra e sinistra", come di "cattolici e laici". Ilsussidiario.net ha raggiunto Edmund Pellegrino, capo del Consiglio di Bioetica del presidente Barack Obama, e prima di George W. Bush, chiedendogli di rispondere dall'alto della sua esperienza ad alcuni interrogativi. Pubblichiamo in esclusiva il suo intervento.

La Bioetica è una scienza che viene vista spesso come un insieme di divieti e ostacoli all'autodeterminazione dell'essere umano. Qual è la corretta relazione tra la bioetica, la libertà e l'umana ricerca della felicità? Crede che i temi della bioetica (aborto, eutanasia ...) riguardino solo la coscienza personale o l'intera società? Perchè?



La bioetica è un ramo dell’etica e di conseguenza le sue limitazioni alla libertà umana sono limitazioni morali, che non devono essere confuse con la legge, gli usi o le convenzioni sociali. La bioetica non è quindi una nuova disciplina, ma una nuova applicazione di un’antichissima disciplina, l’etica, a quel settore degli atti umani associati all’uso della biotecnologia nelle questioni dell’uomo o più in generale nella biosfera.

Parlare quindi, come implicherebbe il quesito proposto, di “bioetica” che pone “ostacoli alla libera determinazione degli esseri umani” significa spostare la fonte di questi “ostacoli. Questi cosiddetti “ostacoli” derivano dal fatto che la bioetica ha per oggetto, come deve avere ogni sistema etico, ciò che è giusto e sbagliato, ciò che è bene e male nella condotta umana. Un’etica che non ponesse restrizioni alla libertà umana non sarebbe etica, sarebbe semplicemente licenza, autorizzando qualsiasi cosa che si avesse voglia di fare. Questa è delinquenza morale. E conduce solo alla ricerca di un paradiso tecnologico libero da malattia e morte, o di illimitata licenza.

La filosofia morale sulla quale si fonda la bioetica determina la natura, i livelli di flessibilità e di responsabilizzazione derivanti dalle restrizioni morali imposte dalla bioetica. Queste limitazioni possono derivare da varie teorie morali, teoria della virtù, deontologia, consequenzialismo, situazionismo e altre. Le limitazioni alla “libertà” di cui al quesito proposto, sono limitazioni a danneggiare altre persone nel perseguimento senza limiti della propria personale libertà. La bioetica non è stata concepita per limitare la libertà, ma per stabilire se vi devono essere dei limiti, perché e in quale modo le questioni devono essere decise.

Nel 1947, la Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha affermato la dignità della persona umana come suo primo principio. Nel 2005, il Comitato Internazionale di Bioetica dell’Unesco ha dichiarato la dignità della persona umana come primo principio della bioetica. Queste due dichiarazioni indicano che, anche nella nostra odierna società secolarizzata, il riconoscimento della intrinseca dignità della persona umana rimane il fondamento per i nostri obblighi e doveri verso gli altri esseri umani.

Piuttosto che “ostacoli” alla libertà umana, le norme etiche sono sforzi per mantenere in equilibrio il bene della ricerca e della tecnologia con il bene degli uomini in quanto uomini. L’etica in generale e la bioetica in particolare sono perciò protezioni della libertà. L’etica in generale e la bioetica in particolare sono quindi non “ostacoli”, bensì guide al giusto uso delle biotecnologie.

Il quesito posto include la relazione tra bioetica e libertà umana e sottintende quindi la questione del miglioramento dell’umano. Di nuovo, le limitazioni non sono imposte dalla “bioetica”, ma dagli aspetti etici che sorgono quando si usano le moderne biotecnologie per andare oltre la terapia. Se questo è un passo verso la “felicità” o la ricerca interminabile di una nozione distorta di felicità è una discussione aperta, che merita una indagine critica e sistematica.

Il Consiglio di Bioetica del Presidente ha affrontato questo tema come materia di importanza etica privata e pubblica1. Il punto in questione non è che la bioetica causa ostacoli alla felicità, ma che non sappiamo se questi miglioramenti promuovono la felicità.

Interventi che correggono deformazioni fisiche, migliorano le capacità funzionali o favoriscono uguaglianza di opportunità sembrerebbero meritare l’approvazione sotto il profilo etico. Quelli diretti a ottenere vantaggi ingiusti, che danneggiano i poveri o nutrono fantasie di superuomini sono eticamente scorretti. La risposta a queste domande va ben oltre la ingenua contrapposizione tra bioetica e ricerca della felicità.

Lo stesso discorso si può applicare ad un altro aspetto, pure implicato, e cioè: vi sono cose o esperimenti che non dovrebbero essere mai fatti? La limitazione della sperimentazione su base etica non è “anti-scienza”, ma è contro lo scientismo. Il potere della biotecnologia è tale che le limitazioni della bioetica sono necessarie, se l’umanità non vuol essere sopraffatta dalla sua stessa ingegnosità.

Infine, è ormai evidente che le questioni di bioetica coinvolgono l’intera società, anzi la società globale, perché i confini nazionali sono permeabili sia all’etica che alla tecnologia. Siamo ora testimoni, e lo saremo ancor più in futuro, di un impegno di tutto il mondo su questi temi. Nella bioetica, in futuro, sarà sempre più necessaria l’attenzione per l’etica altrettanto che per la biologia: se non si raggiungerà una corretta relazione tra questi due elementi, scienza ed etica soffriranno entrambe e diventeremo prigionieri di una inutile guerra tra tecnologia ed etica.

1 Beyond Therapy: Biotechnology and the Pursuit of Happiness, A report of the President’s Council on Bioethics, October 2003

Le opinioni qui espresse sono dell’Autore e non rappresentano le opinioni del President’s Council on Bioethics (Consiglio presidenziale sulla bioetica)

sabato 14 febbraio 2009

Un aforisma al giorno - 93

Questo aforisma è splendido:

"Non puoi amare una cosa senza desiderare di combattere per essa".


Gilbert Keith Chesterton, Introduzione a "Nicholas Nickleby".

Un aforisma al giorno - 92

"La verità deve necessariamente essere più strana della finzione; perché la finzione è la creazione della mente umana, e quindi congeniale ad essa".

Gilbert Keith Chesterton, "Il Club dei Mestieri Stravaganti".

Un aforisma al giorno - 91

"Se desideriamo salvare la famiglia, dobbiamo rivoluzionare la nazione".

Gilbert Keith Chesterton, "What's wrong with the world".

Un aforisma al giorno - 91

"Quando un uomo dice la verità, la prima verità che dice è che egli stesso è un bugiardo".

Gilbert Keith Chesterton, "What's wrong with the world".

venerdì 13 febbraio 2009

Un aforisma al giorno - 90

"C'è più canto e musica d'umanità in un impiegato che indossa i vestiti della Domenica che in un fanatico che corre nudo per Cheapside".

G. K. Chesterton, "William Blake".

Rassegna stampa

13 Febbraio 2009 - CorrieredellaSera
Eutanasia
ELUANA. Un addio blindato 118 KB

13 Febbraio 2009 - Repubblica
Eutanasia
ELUANA. La lettera prima dell'incidente 189 KB

13 Febbraio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. Senza piaghe e pesava 52 kg 151 KB

13 Febbraio 2009 - Avvenire
Eutanasia
ELUANA. L'Ordine ascolta De Monte 105 KB

13 Febbraio 2009 - Panorama
Eutanasia
ELUANA. Effetto Eluana 1.9 MB

19 Febbraio 2009 - Panorama
Eutanasia
ELUANA. Brunetta: da laico ho detto sì alla vita 195 KB

13 Febbraio 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Da Marino alla Bianchi, giallo in casa Pd 80 KB

L'Osservatore Romano sul convegno organizzato l'11 Febbraio 2009 da Andrea Monda a Roma


Dai discorsi di Obama ai fumetti, tutte le mutazioni
di un genere letterario antichissimo

E se avessimo bisogno dell'epica?


di Silvia Guidi

Che fine ha fatto l'epica? Come mai il genere letterario più antico e per molti secoli - almeno da Omero fino a Tasso - più importante, è poi quasi del tutto scomparso dalla letteratura occidentale del Novecento? Tutta colpa di Montale. O meglio, della visione del mondo che esprime in una delle sue poesie più famose e più belle, "Non chiederci la parola". Ecco i versi incriminati: "Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo/Codesto solo oggi possiamo dirti".
"Non domandarci la formula che mondi possa aprirti"; non è esattamente questo che dovremmo aspettarci dalla letteratura e dall'epica in particolare? Mondi lontani nel tempo e nello spazio, o vicinissimi ma trasfigurati dalla creatività dell'autore, storie di collettività o di singoli personaggi, di imprese grandi o piccole che cambiano il destino di un popolo o di una singola famiglia, mondi paralleli che ci aiutano a mettere a fuoco meglio il nostro, a recuperare uno sguardo fresco sulle "cose solite"? È evidente che si tratta solo di una provocazione, Montale non produce il fenomeno ma lo descrive con la sintesi folgorante della grande arte, fotografa un disagio reale, il sottile fastidio che noi moderni proviamo di fronte a questo genere letterario, alla stessa parola "epica" che associamo quasi automaticamente a vuota e pretenziosa retorica. Disincantati e individualisti come siamo, facciamo fatica a dire "noi" senza sentirci ridicoli o ipocriti, e ad avere la consapevolezza che gli altri non sono un fastidio necessario, ma un'opportunità - la personalità del singolo "esiste di più", ha più occasioni di esprimersi e di conoscere se stessa grazie ai suoi rapporti con gli altri - per questo non potremmo sentire più lontana e astratta la dimensione corale dell'èpos.
Non solo: proviamo una diffidenza istintiva verso la categoria dell'eroe, definitivamente screditata dal mito del "superuomo" Nietzsche e dai deliri di superiorità etnica comuni ai totalitarismi di ogni colore ("felice il paese che non ha bisogno di eroi" scriveva Brecht). La data di morte degli ideali della cavalleria in letteratura è ancora anteriore; risale al Cinquecento, quando "le donne, i cavalier, l'arme, gli amori" sono stati seppelliti sotto i mulini a vento dell'ironia amara di Cervantes.
"L'epica non coincide necessariamente con l'eroismo" chiosa Antonio Spadaro, l'autore del J'accuse contro il manifesto nichilista di Montale, "c'è anche un'epica delle piccole cose, capace di vedere la grandezza dovunque; tra i contemporanei, penso al poeta svizzero Philippe Jaccottet". "La vita quotidiana è la più romantica delle avventure, ma solo chi ha il cuore dell'avventuriero lo scopre" diceva Chesterton. Di avventure e sguardo ancora capace di stupore si è parlato a lungo durante la tavola rotonda "Il ritorno dell'epica, da Tolkien a Cormac McCarty. Perché non possiamo vivere senza grandi storie" organizzata dalla casa editrice Rubbettino insieme all'associazione culturale BombaCarta. Trent'anni fa il critico letterario e padre gesuita Guido Sommavilla s'interrogava sullo stesso tema e citava come eccezione il nome di Tolkien che, bistrattato dalla critica, ha poi riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Ed è proprio a partire da Tolkien che ha preso le mosse il dibattito. "Perché non possiamo vivere senza grandi storie. Come a dire che l'uomo ha radicata dentro di sé l'esigenza del racconto" prova a rispondere Saverio Simonelli, uno dei relatori, accanto ad Andrea Monda, Giuliano Ferrara, il poeta Claudio Damiani e i critici letterari Fabio Canessa, Paolo Pegoraro e Giovanni Ricciardi, "il bisogno delle narrazioni grandi non si può estirpare, come dimostrano gli autori che regalano al lettore storie che provano a rischiare il mistero della sua posizione nell'universo". Il critico letterario sulle tracce dell'epica deve sconfinare in territori non suoi: è un genere che muore per rinascere, più forte di prima, sotto altre spoglie, dalla musica lirica alla canzone popolare, dal fumetto al cinema. Per essere accettato deve travestirsi da letteratura per ragazzi (da Harry Potter a Batman) e trovare pieno diritto di cittadinanza sul grande schermo (da Matrix alla saga di Guerre Stellari). Il potenziale comunicativo resta enorme, come ben sanno gli speachwriter dei politici; secondo alcuni, Obama deve molto del suo successo proprio alla capacità di rievocare l'epopea dei padri fondatori, gente che "ha piantato alberi che non avrebbe mai visto crescere" o ha scavato abbeveratoi di pietra nel deserto (come racconta lo sceriffo Bell in Non è un paese per vecchi di Cormack Mc Carty). Tra l'altro, anche nell'epica tradizionale dai toni aulici raramente l'eroe di una saga cerca di mettersi nei guai di proposito; non è entusiasta di combattere contro un avversario molto più potente o forte di lui, accetta di percorrere una strada che non si è scelto. "Noi della resistenza non è che andiamo in strada a sparare" scrive Claudio Damiani in una sua poesia, nel suo tipico stile dimesso e antieroico "né ci nascondiamo in montagna,/ né scriviamo sui giornali, /noi della resistenza non facciamo niente /ma quando moriremo avremo nella nostra mente /un ordine beato che ci ha consolato, /ci ha accompagnato nella vita, ci ha dato gioia /e felicità, ha fatto sì che la vita valesse veramente viverla, /morderla con tutti i denti come un pomo, /e quando moriremo questo paradiso /che noi abbiamo trovato, che era per strada /sotto gli occhi di tutti, /lo porteremo con noi sotto terra /e anche sotto terra continuerà a brillare".

giovedì 12 febbraio 2009

Confronti - Ermanno lo Storpio ed Eluana, due modi diversi di accoglienza


Da IlSussidiario.net

di Rino Cammilleri

giovedì 12 febbraio 2009

Quando nacque, nel 1013, suo padre, il conte Wolfrat di Altshausen, lo prese come una punizione divina. Ermanno, infatti, fu detto «il contratto» perché era conciato, tanto per fare un esempio, come Michel Petrucciani, il famoso pianista jazz da poco scomparso. Uno sgorbio di natura, un disabile così disabile da sembrare non un uomo ma un tralcio contorto. Eppure, come Petrucciani, si rivelò un genio.
Si fece monaco benedettino nell’abbazia di San Gallo e poi a Reichenau, diventando un maestro di portata mondiale che papi e imperatori facevano a gara per incontrare. Per l’ecletticità delle sue opere fu chiamato miraculum saeculi e anche doctor marianus (per aver musicato il Salve Regina e l’Alma Redemptoris Mater). La sua disabilità non gli impedì di viaggiare moltissimo e di scrivere un numero stupefacente di trattati in ogni disciplina. Inventò anche un nuovo modo di notazione musicale e uno rivoluzionario per la storiografia (cioè, «scientifico», come lo si fa oggi). Morì a quarantadue anni nel 1054 e fu beatificato dalla Chiesa.
Il suo è solo un esempio tra i tanti che potremmo addurre per affermare che ogni vita (ripetiamo: ogni) è degna di essere vissuta. L’individualismo utilitaristico agnostico di origine illuminista che l’edonismo ha reso ormai di massa (potentissimamente aiutato - anzi, indotto - dai massmedia) ci spinge a dividere il nostro prossimo in due categorie, la seconda delle quali è costituita dagli «inutili». Chissà perché questi ultimi vorremmo trattarli peggio dei «dannosi», di cui le galere sono piene.
Il suicidio, caritatevolmente assistito o meno, era vietato nei tempi cristiani non solo perché immorale dottrinalmente parlando, ma anche per un motivo più spiccio: piaccia o no, siamo tutti sulla stessa barca e a nessuno è consentito “chiamarsi fuori”, perché costringerebbe un altro a remare per due.
Il recente «caso Eluana» ha visto non pochi sepolcri imbiancati chiedere, a giochi fatti, rispettoso silenzio. Invece lo grideremo sui tetti fino a farli diventate sordi, imitando il padre di Eluana che ha fatto di tutto per anni affinché il suo caso avesse risonanza mondiale. Si può comprendere, certo, la disperazione. Ma non il “contagio” volontario di essa. La vita non è un giocattolo, che quando non mi diverte più lo butto via. La vita è un compito, serio e severo, che si può svolgere anche stando immobilizzati su un letto. A Hollywood tutti vogliono fare le parti assegnate a Brad Pitt e pochi quelle di Danny De Vito. Tuttavia, il secondo ha più Oscar del primo. Perché quel che conta, nel dramma dell’esistenza, non è la parte che fai ma come la fai.

EUTANASIA - Criteri scientifici? Ecco come si sceglie di far morire neonati e disabili

Da IlSussidiario.net - Qui trovate l'articolo, cliccando il nostro titolo si viene rinviati alla pagina del sito dove troverete anche lo studio di Carlo Bellieni e Giuseppe Buonocore cui si fa riferimento nell'articolo.

E' per tenere sempre la guardia alta.

articolo di Mario Gargantini

mercoledì 11 febbraio 2009

In queste drammatiche giornate, siamo tutti più sensibili ai temi del fine vita e forse siamo più pronti a esaminare e valutare nella loro essenzialità i dati che documentano i molti risvolti del tema. Come quello delle decisioni che devono affrontare i neonatologi di fronte ai loro piccoli pazienti che si trovano in condizioni disperate ma che non possono esprimere sensazioni, intenzioni, aspirazioni. A questo proposito è il caso di riflettere bene sui risultati di una ricerca condotta da due medici italiani e pubblicati sull’ultimo numero della rivista specializzata internazionale Acta Pediatrica. I due ricercatori, Carlo V. Bellieni e Giuseppe Buonocore, del Dipartimento di Pediatria dell'Università di Siena, hanno esaminato a fondo la letteratura scientifica sull’argomento analizzando i database dei due mega archivi mondiali di riferimento, PubMed e Medscape, a partire dai documenti del 1995.

I database sono stati setacciati con criteri molto rigorosi; sono state utilizzate come parole chiave: neonato, prematuro, decisioni sul fine vita, sospensione/limitazione del trattamento, qualità della vita; sono stati esaminati gli studi che considerano i fattori personali, psicologici, sociali e culturali che portano alle decisioni sul fine vita; sono stati invece esclusi gli articoli e le rassegne che riportano solo le “opinioni” degli autori. In totale sono risultati utili 34 studi e su questi si è concentrato il lavoro di Bellieni e Buonocore. Le conclusioni, messe in evidenza nel sottotitolo dalla redazione della rivista, sono impressionanti: «nelle decisioni sul fine vita dei neonati, i pazienti non ricevono cure basate solo sul loro miglior interesse».

I fattori emersi come determinanti nel processo decisionale dei medici sonopiuttosto il peso delle proprie paure, del proprio background culturale e di altre determinanti (sesso, età, etnia) che mostrano la mancanza di una linea oggettiva su cui decidere. «Questo è grave a mio parere – commenta Bellieni - perché ognuno può avere un'idea di quello che sia l'interesse del neonato diversa da quella dell'altro collega. Ma il vero problema non è puntare il dito sui medici o tantomeno sui genitori, ma sulle legislazioni che legando la rianimazione alla supposta qualità di vita - e non a un'oggettiva impossibilità alla vita – lasciano medici e genitori schiacciati sotto il peso delle terribili decisioni».

E non si può dire che ci sia uniformità di posizione a partire dall’età, dalla nazionalità e dal sesso dei decisori. Gli studi non sono ancora del tutto chiari su certi parametri; ma ad esempio uno studio del 2000 riportato nella ricerca mostra che sia l'atteggiamento mentale di fronte alla disabilità (per esempio se sia meglio morire o avere una grave disabilità fisica), sia quello verso l'accettazione della sospensione delle cure, variano molto da nazione a nazione. Così come influisce l'avere in famiglia dei parenti disabili, avere o non avere figli, essere o non essere religiosi. Alcuni studi hanno trovato anche una differenza di comportamento tra medici maschi e femmine.

Il criterio con cui si rianima un neonato appare da vari studi ben diverso da quello con cui si rianima un adulto: nel primo caso sembra in certi Stati prevalere il criterio della qualità della vita futura del bimbo e del parere dei genitori, cosa che negli stessi Stati non avviene quando si decidono le cure per l'adulto, per il quale certi eventi come l'arresto cardiaco hanno una prognosi ben peggiore di quella di un neonato di 23 settimane. Alcuni studiosi si domandano perciò se «i neonati hanno uno stato morale diverso dagli adulti».

Certo, l’atteggiamento dei genitori, un po’ in tutti i casi esaminati e indifferentemente nei diversi Paesi, conta molto fino a diventare determinante. «D’altra parte gli studi mostrano come, al momento della nascita prematura di un bambino verosimilmente grave, i genitori siano in un tale stato di shock che qualunque responsabilità venga loro addossata sarebbe una violenza».

Un criterio spesso invocato è proprio quello della previsione della qualità di vita; ma è difficile sottrarsi all’idea che si tratti di un concetto troppo generico e soggettivo per utilizzarlo in decisioni del genere. «E poi spesso è usato male. Vari studi mostrano che, analizzando in persone disabili (con spina bifida, o con paralisi cerebrale) il livello di qualità di vita da loro percepito, la risposta è simile a quella della restante popolazione: a dimostrazione che spesso sono i nostri pregiudizi a farci pensare che certe malattie alterino la qualità e addirittura la dignità della vita. Il problema è semmai che molto si deve ancora fare socialmente, culturalmente ed economicamente per le famiglie dei disabili. Inoltre, si sappia che alla nascita non esistono strumenti per prevedere la prognosi, che si renderà chiara solo molto tempo dopo».

Lo studio di Bellieni e Buonocore si spinge anche a delineare le prospettive per il futuro, indicando le principali proposte sul tappeto e alcuni nuovi criteri e metodi che si stanno elaborando per aiutare il personale medico nelle sue decisioni. C’è il criterio avanzato dal Nuffield Council of Bioethics, che considera l’età gestazionale e indica le 24 settimane come data per iniziare a somministrare cure intensive; c’è chi indica l’emergere della coscienza come criterio per far scattare un diritto alla piena assistenza: quindi un criterio interno alla persona, anche se stabilire quella data è tuttora un impresa al di sopra delle possibilità della ricerca scientifica. «In sostanza – osserva Bellieni - ci sono due criteri generali: decidere sulla possibile futura qualità della vita, oppure dare a tutti una chance, sapendosi fermare quando si vede che gli sforzi sono inutili. E si badi bene che "inutili" non deve significare "inutili a far diventare un bambino normale", ma inutili a salvare la vita: la disabilità (tantomeno se solo ipotetica o probabile) non deve essere un criterio per arrestare le cure. In questo secondo senso si è virtuosamente espresso il comitato Italiano Nazionale di Bioetica e il nostro Istituto Superiore di Sanità. È evidente che il secondo criterio, dare una chance a tutti, taglia fuori tute le possibili interferenze psicologiche».

Quello che più ha colpito i due medici autori dello studio è il peso dei pregiudizi personali degli operatori sanitari. Bellieni cita sopratutto una ricerca francese e una australiana: nella prima si domandava ai medici se rianimerebbero un bimbo di 24 settimane e, in una successiva domanda, se ne rianimerebbero uno col 50% di possibilità di sopravvivenza e il 10% di non avere conseguenze patologiche. Ebbene, solo il 21% degli intervistati rispondeva "sì" nel primo caso, mentre la percentuale saliva al 51% nel secondo, «non rendendosi conto che il secondo caso è esattamente la descrizione della prognosi di un bimbo di 24 settimane!»

Lo studio australiano invece ha evidenziato che, quando si ritiene "futile" una terapia, «i medici che più sospendono le cure sono quelli che più hanno paura di morire».